ali' ha gli occhi azzurri regia di Claudio Giovannesi Italia 2012
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ali' ha gli occhi azzurri (2012)

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locandina del film ALI' HA GLI OCCHI AZZURRI

Titolo Originale: ALI' HA GLI OCCHI AZZURRI

RegiaClaudio Giovannesi

InterpretiNader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian

Durata: h 1.40
NazionalitàItalia 2012
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 2012

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Trama del film Ali' ha gli occhi azzurri

Ostia, il lungomare di Roma, inverno. Due ragazzi di sedici anni, alle otto del mattino, rubano un motorino, fanno una rapina, e alle nove entrano a scuola. Nader e Stefano: uno è egiziano ma è nato a Roma, l'altro è italiano ed è il suo migliore amico. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana, ma proprio per questo i genitori del ragazzo sono contrari al loro amore. Nader allora scappa di casa. Alì ha gli occhi azzurri racconta una settimana della vita di un adolescente che prova a disubbidire ai valori della propria famiglia. In bilico tra l'essere arabo o italiano, coraggioso e innamorato, come il protagonista di una fiaba contemporanea, Nader dovrà sopportare il freddo, la solitudine, la strada, la fame e la paura, la fuga dai nemici e la perdita dell'amicizia, per tentare di conoscere la propria identità.

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Voto Visitatori:   5,89 / 10 (9 voti)5,89Grafico
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Voti e commenti su Ali' ha gli occhi azzurri, 9 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Project Pat  @  16/12/2013 00:27:23
   5½ / 10
In qualsiasi modo la si metta alla fine risulta un film banale, senza tanti fronzoli. Ferma restando la buona volontà dell'opera di esporre una vicenda cruda e veritiera come questa (a mio parere le storie di strada, nonostante lo scorrere del tempo e il gran numero di innumerevoli "tributi" a riguardo non diventano mai banali ed anzi sono sempre interessanti da approfondire) e riconoscendo la bravura del protagonista, la fotografia è pesante (ma d'altronde si tratta di quel particolare tipo di regia), le dinamiche prevedibili e il finale, di tipo aperto, appare ingiustificato: sono altre per me le storie su cui gettare un po' d'ombra alla fine, non certo quelle quelle per cui parlano pellicole come questa, alla fine di poca sostanza. In poche parole, "Alì ha gli Occhi Azzurri" in via di principio sarebbe un buon film, in pratica non lo è. Visto una volta, si dimentica alla svelta.

edoppa  @  03/06/2013 11:58:46
   7½ / 10
Un po' pasoliniano e un po' la Haine (l'odio), film dai contenuti nuovi e con scene molto poetiche nonostante i luoghi disagiati che descrive

Gruppo COLLABORATORI atticus  @  23/05/2013 20:00:24
   6 / 10
Da Fratelli d'Italia, il documentario che Claudio Giovannesi presentò al Festival di Roma nel 2009, ad Alì ha gli occhi azzurri il passo è breve se non inesistente; da quel primo lavoro, il racconto di tre storie di adolescenti non italiani che frequentavano la stessa scuola, infatti, il giovane regista romano riprende il personaggio di Nader, troppo interessante e complesso per essere concluso in poco più di mezz'ora di narrato.
Figura emblematica di una nuova generazione di figli del melting pot socioculturale degli ultimi tempi, Nader è un sedicenne egiziano nato a Roma e nervosamente diviso tra costumi musulmani, vissuti come una ristrettezza insopportabile, e italiani, interpretati in maniera molto più superficialmente liberale. Quando la famiglia si oppone alla sua storia d'amore con una ragazza italiana e non islamica, Nader scappa di casa e, in una settimana, vivrà freddo, disperazione e solitudine, alla ricerca di una propria identità.
Prendendo a prestito una straordinaria riflessione pasoliniana (Profezia, 1962-64), il film di Giovannesi arriva sullo schermo con tutta l'urgenza storica che la vicenda impone; giorno dopo giorno, ora dopo ora, assistiamo al vagabondaggio di un ragazzo vittima dell'integrazione, in guerra con sé stesso e le proprie culture ma irriducibile nei suoi valori morali assoluti.
L'amore senza limiti e il senso dell'amicizia che diventa fratellanza sono solo due dei pilastri apparentemente incrollabili nell'animo del ragazzo, fustigato da una condizione sociale evidentemente sofferta e dall'omologazione al degrado che lo circonda.
In una Ostia di spaventosa aridità (merito anche della fotografia plumbea di Daniele Ciprì), Giovannesi fa agire il suo eroe tra criminalità, aspirazioni e illusioni, senza tuttavia risolvere il groviglio multiculturale che lo anima: le pressioni sono enormi e il risultato finale ne risente, come incapace non tanto di suggerire una speranza per Nader, quanto di completare il quadro tristemente amaro di un'identità perduta nello scontro tra razze.
Resta, in ogni caso, un film necessario, rigoroso nella messa in scena e pregevole per la schietta prova collettiva del cast di non professionisti, auto-rappresentatisi in una storia che continuerà a ripetersi.

davmus  @  02/05/2013 14:50:50
   6 / 10
Spaccato di vita...ma niente altro, nessuna storia.

marimito  @  02/04/2013 09:07:54
   6 / 10
Scontro fra civiltà che sembrano non volere e potere dialogare, di mezzo un ragazzo che lotta con tutto se stesso per affrancarsi da queste logiche, ma che scopre alla fine di esserne parte integrante mentre intorno a lui quel mondo cui vorrebbe appartenere in fondo lo ripudia; non è un messaggio di speranza quello che trapela da questo film che nel complesso ed a dispetto dei suoi contenuti mi ha solo lasciato tanto amaro in bocca.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  31/03/2013 11:52:57
   5½ / 10
Buono nelle intenzioni, offre uno spaccato di una seconda generazione di immigrati che come suggerisce il finale rimane in un limbo indefinito di perdita delle radici culturali e la mancata integrazione ad un nuovo contesto, che appare comunque, per dirla alla Pasolini, foriero di pericoli di un'omologazione forzata per sembrare, anche fisicamente, (con tanto di lenti a contatto) più italiano.
Il guaio è che vengono messe sul tavolo tante tematiche, senza adeguatamente affrontarle. Inoltre il film risulta essere troppo dispersivo nel suo minimalismo, tanto da perdere il contesto, il quadro generale. Cosa che non accadeva, tanto per fare un esempio, all'Odio di Kassowitz.

Gruppo REDAZIONE Cagliostro  @  28/02/2013 00:29:22
   2 / 10
No vabbe' non si può andare avanti così!
Per una volta che sono in italia mi faccio abbindolare dalla rassegna Cinema di Qualità e vado a vedere 'sta roba.
E non scherziamo questo film è una vera porcheria.
Di vaga matrice pasoliniana da cui il riferimento nel titolo, la pellicola di Giovannesi è cinematograficamente sgrammaticata: con un soggetto buono anche se non originale e già visto, con una sceneggiatura, se tale la si può definire, pessima e con una regia mediocre.
prendiamo questi tre elementi.
Il soggetto:
fin qui ci siamo. una storia di confronto scontro fra culture, vite vissute al margine, ragazzini egocentrici e disadattati che voglio dire agli altri come devono vivere.

Sceneggiatura:
è scritta malissimo con una partizione in scene del tutto casuale, senza rispettare nessuna valenza e dimenticandosi completamente dei tempi cinematografici. monotona, monocorde piena di scene appiccicate che hanno poco senso e che nulla apportano allo sviluppo del film né all'evoluzione psicologica del suo protagonista. slegata e sconclusionata, possiede quasi tutte le caratteristiche che una sceneggiatura cinematografica non dovrebbe possedere. ingenera noia, non instaura nessun rapporto fra il pubblico e i personaggi, né empatia né antipatia, al massimo indifferenza. i dialoghi sono sine infamia et sine lodo. complessivamente quindi questa chiamiamola sceneggiatura è un disastro.

Regia:
mediocre, arrogante, presuntuosa.
La camera a mano la fa da padrona perché si crede di voler riprodurre la realtà della strada e della vita quotidiana. errore madornale! qui la regia non riproduce nulla se non il fastidio dello spettatore che non vede quasi mai un'inquadratura che non gli provochi il mal di mare. La macchina a mano è un mezzo artistico interessantissimo quando si vuole calare lo spettatore nell'ottica del personaggio, ma qui non ci sono soggettive e la macchina da presa si limita a seguire i personaggi e a seguirli male. Nessuna valorizzazione dei dettagli. Nessuna valorizzazione dell'azione. Nessuna valorizzazione degli attori. Se possibile la regia è ancora più noiosa della sceneggiatura. forse il regista si considera un adepto di Dogma 95, ma in realtà sembra che non sappia neppure di che cosa stiamo parlando.

Come accennato si vuole citare (scimmiottare) Pasolini, ma Alì non è Accattone e Giovannesi non è Pasolini.
Questo film risente anche profondamente della propria presunzione, come se per fare un buon film bastasse trattare tematiche sensibili.
Ha preso i soldi da Rai Cinema e dal Mibac... vorrei caprine il perché.
Non c'è nessun merito tecnico. Non ci sono meriti artistici.
Alì ha gli occhi azzurri è un film brutto, noioso, presuntuoso, scritto male, fotografato male e diretto ancora peggio.
Ma siamo ancora così trogloditi in questo paese da pensare che un film per essere autoriale e di denuncia sociale debba violare tutte le regole della grammatica cinematografica e per ciò solo essere applaudito?
è una vergogna!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  19/11/2012 17:18:08
   7 / 10
Ok, un'altro buon film italiano, dopo Reality-Io e te-Bella addormentata-E' stato il figlio pur con qualche carenza registica (il limite di affrontare stilemi diversi rischiando di amalgamarli un pò troppo) che tuttavia si riscatta nei gesti, nella storia, nella (squallida sì) quotidianità. Rilegge Pasolini in chiave multietnica, con la dimensione contemporanea che ferisce, ma sembra crogiolarsi nella "normalità" di un disagio che è quasi reticente, e per questo abituale. Se il regista voleva scommettere sul registro sessista/religioso, è facile riscontrare che esistono o sono esistiti parametri simili anche nella nostra cultura occidentale. Passando così da Salvatores ai Dardenne come se fossero fonte della stessa verità, rischia di convincere meno sul registro espressivo. Tuttavia, l'epilogo è di una bellezza sfacciata, con quella chiave (di accesso appartenenza o conformità) consegnata dal padre al figlio. No non è uno spoiler, sfido chiunque a dirmi il contrario... è questo il cinema italiano di cui abbiamo bisogno, certo, ma non vedo ANCORA il modo perfetto per affrontare certi temi. Interessante in ogni caso

Invia una mail all'autore del commento Andrea Lade  @  12/11/2012 02:28:47
   7½ / 10
Nader , un sedicenne musulmano , residente con la sua famiglia ad Ostia è fidanzato con una ragazza romana e questo rapporto non viene accettato dalla famiglia di lui,che per ribellarsi decide di scappare di casa , vagando assieme al suo amico fraterno Stefano in cerca di un riparo migliore.
I due ragazzi , pur non essendo dei delinquenti professionisti, vivono di espedienti e se la rapina al mercato può essere un evento occasionale, la lite in discoteca o il furto alla prostituta sono effettuati con estrema disinvoltura; sullo sfondo troviamo una fedda ed insolitamente inospitale periferia romana popolata da bande di rumeni, prostitute , trans ed immigrati ben al di sotto della soglia di povertà. Anche le frequentazioni più ortodosse , quelle non malavitose , sono di stampo corposamente periferico e se la classe scolastica conserva come tratto identificativo un linguaggio fortemente dialettale, nella famiglia di Stefano e perfino della ragazza Brigitte si ritrovano i valori del sottoproletariato: rispetto assoluto del pater familias, espressioni primitive, rapporti padre-figlio di natura marziale, gerarchie interne ben costruite.
Il protagonista pur indossando spesso le lenti azzurre, simbolo un po' forzato della ricerca di una identità differente non ha nessuna ambizione borghese e nessuna voglia di riscatto , ma solo il desiderio di non omologarsi al dettame della sua religione che non gli permette di frequentare la sua Brigitte.
Il film odora molto di documentario pasoliniano: saranno le immagini dell'idroscalo (e del lungomare ostiense), la presenza di attori non professionisti , forse le sequenze in movimento o i riferimenti sessuali ed omosessuali , ma Stefano e Nader , il cui rapporto fraterno ricorda vagamente Marco e Ciro in Gomorra, non riescono ad essere inseriti in una vera storia. Pur essendo la recitazione molto comunicativa , il film manca di una sua struttura compatta e si ha la sensazione di un laboratorio (perdonatemi il termine) neo- neo realista , dove una cinepresa segue e pedina le vicende domestiche di famiglie nella realtà quotidiana. Belli però alcuni momenti: mi sono piaciute le scene dirette nella scuola , dove la spontaneità degli studenti (studenti è veramente un eufemismo) e il freddo trasmesso da un litorale invernale mi hanno fatto vivere sensorialmente il film.

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