Una suora del XVII secolo in Italia soffre di inquietanti visioni religiose ed erotiche. È assistita da una compagna e la relazione tra le due donne si trasforma in una romantica storia d'amore.
Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Verhoeven si muove nel cinema che conosce meglio, quello erotico-provocatorio e lo fa ragionando in modo iconoclasta ed eretico sul corpo e il sesso come strumenti del potere: fin dall'incontro con Bartolomea il contatto fisico diventa veicolo di "trascendenza spirituale" (lo vediamo quando Benedetta ha una visione mentre viene toccata nella scena del canto in chiesa) e da quel momento Benedetta scopre che il corpo, le sue possibilità inesplorate, è centro di un potere che può travalicare l'ambito chiuso di un microcosmo conventuale per divenire modo universale di parlare al popolo (e di parlare con Cristo). Benedetta diventa così idolo populistico, figura miracolistica, simbolo popolare (quanti dittatori populistici hanno costruito gran parte della loro fortuna popolare sulle movenze del corpo e il suo utilizzo politico?) E se è vero che Verhoeven forse si muove fin troppo nella sua comfort zone con una nuova indagine della sessualità che non desta più lo scandalo di anni passati, è altrettanto vero che l'elemento più interessante del film sta proprio in questa indagine sulle possibilità del corporeo e su come il corpo è "libro" su cui leggere le manifestazioni del potere: quelle che vanno e vengono, del potere proprio e altrui (da quello martoriato di una giovane donna continuamente stuprata da padre e fratelli, a quello di Benedetta in grado di assurgere a teatina dei miracoli, da quello che segnala la decadenza del potere quando la peste arriva a distruggere le figure apicali, dalla anziana badessa al cardinale).
Andrebbe poi fatta una riflessione sul perché in un paese non marginale del mercato cinematografico mondiale, in un paese di 60 milioni di abitanti e dove per di più il film è ambientao e in gran parte girato, ci siano voluti due anni (no dico, due anni...) per vederlo in sala. Mistero della fede...
Verhoeven è riuscito a rendere questa trasposizione della storia di Benedetta Carlini, nei limiti del possibile, assolutamente perfetta. Scenografie, fotografia, interpreti, tutto perfettamente curato ed equilibrato. Perchè non un voto più alto? Perchè "ci ho visto" troppo "I Diavoli" di Russell (curiosa coincidenza: Benedetta nacque nel 1590, Grandier nel 1591).
Ora, non so se Russell, all'epoca, si fosse ispirato a Benedetta per il personaggio della superiora delle Orsoline ma le scene delle allucinazioni/visioni si rimandano molto in una curiosa simmetria tra un film e l'altro.
Tra l'altro il personaggio "scomodo" (altra simmetria con "I diavoli", dove il personaggio scomodo era Grandier), fuori dagli schemi e singolare, è ben gestito dalla regia potente e talvolta cruda e diretta tipica di Verhoeven. La storia fila senza perdere un colpo, appassiona ed incuriosisce, le oltre 2 ore non pesano affatto.
Tutto ciò che negli anni abbiamo imparato ad amare di Paul Verhoeven è condensato in queste due ore di cinema orgogliosamente spudorato, velenoso, grezzo e carnale. Ancora una volta l'autore olandese insinua tra le pieghe narrative la sua acutezza, il suo disincanto, la sua capacità di bilanciare alto e basso, arte e kitsch estremo. Un'opera forse troppo disomogenea (eccessivamente bruschi alcuni raccordi) per poter risultare totalmente riuscita come quel gioiello che fu Elle, ma anche senza urlare al miracolo non si può dire che non sia un film coraggioso. E per questo, la promozione è categorica.
Quella di Paul Verhoeven è la solita storia del regista europeo che dopo essersi distinto in patria per buoni film, subito risponde al richiamo delle chimere Hollywoodiane e corre in America dove realizza qualche pellicola commerciale e dimenticabile (tranne il cult Robocop). Per fortuna da qualche anno l'olandese è tornato nel vecchio continente a dirigere film più seri ed impegnati. Avendo letto la trama non vedevo l'ora di visionare questo "Benedetta" (e volevo commentarlo per primo ma The Gaunt mi ha battuto...che rabbia!) e l'attesa non è stata delusa: basato su una storia vera, già bella intrigante e stimolante di suo, si parte subito con molto poco velate critiche alla chiesa del periodo che predicava la povertà ma riceveva fior di quattrini per accogliere le novizie e soprattutto la retrograda visione che la fede e l'amore per Gesù dovevano per forza essere dolore, mortificazione e sofferenza anziché gioia. Senza dilungarsi per niente sul concetto di suore costrette al convento senza alcuna vocazione, si arriva dritti al morboso rapporto tra Benedetta e Bartolomea, così profondo dal non capire più chi sia la vera tentatrice e la vittima. Con scene di violenza e di sesso estremamente realistiche ed esplicite (caratteristica tipica di Verhoeven) si sviluppa la storia in un costante clima di misticismo e peccato, di divinità e di materialismo, in un turbinio di figure ambigue. Benedetta era una santa od una millantatrice? Arriviamo al punto che non vogliamo più saperlo piuttosto abbandonarci a seguire la storia delle protagoniste che pare vogliano farci capire quanto possa essere bello il peccato...come se amare fosse peccato; d'altronde religione e sesso hanno sempre costo un connubio molto interessante. Uno splendido film blasfemo quanto basta che riunisce il diavolo e l'acqua santa, il sacro ed il profano e che mi permette un'uscita poco signorile: le suore lesbiche hanno sempre funzionato...e Verhoeven lo ha capito decisamente bene! Straordinarie le interpreti e le scenografie.
Chi è Benedetta Carlini? Una perfetta mitomane o una santa imperfetta? Verhoeven si muove sul filo della perfetta, quella sì, ambiguità nell'osservare questa suora nei suoi deliri mistici fin dalla sua infanzia. Che sia mistificazione o miracoli, l'atteggiamente di Benedetta è dettato da una sincerità di fondo che lascia stupiti. Donna illuminata al pari del Grandier dei Diavoli di Ken Russell, uomo religioso anch'esso ma dalla religiosità particolare, fuori dagli schemi. Nel mirino del regista olandese ci finisce anche la Chiesa come istituzione, pronta a determinare cosa sia miracolo o meno, oppure uomini o donne in odore di santità a seconda degli umori e delle convenienze. Il classico mercinomio di santa madre chiesa o presunta tale. Ottimo film di un regista a cui è adattibile il vecchio detto. Come il vino, invecchiando migliora o almeno in questo caso, non perde colpi.