Basato su una storia vera, Bob Zellner, nipote di un membro del Klan, diventa maggiorenne nel profondo sud e alla fine si unisce al movimento per i diritti civili.
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Inaspettatamente soft e smussato di picchi drammatici, è un biopic che segue le orme dell'insuperabile "Mississippi Burning" (Parker 1988) e non capisco perché Spike Lee insist'a produrre rievocazioni storiche quando questi temi sono d'urgentissima attualità: che fine ha fatto il problema razziale nell'agenda politica della presidenza democratica di Biden e della Harris?
Il colore della libertà fotografa in maniera piuttosto efficace di come il razzismo e la segregazione si respirasse anche nell'aria in stati come Alabama e Mississippi. Segregazione che vedevi in ogni momento del tuo quotidiano al punto di entrarti nell'anima e pensare che in fondo sia giusto tenere separati bianchi e neri. Attraverso la figura di questo attivista bianco, nipote di un esponente del KKK e figlio di un pastore cresciuto nella segregazione ma passato dalla parte delle vie liberaliste è forse una delle lacune di questo film: un conflitto generazionale, soprattutto fra il nonno ed il padre che pur essendo personaggi secondari avrebbero certamente risaltato la qualità di un film, che rimane comunque discreta nel suo complesso. Ciò che manca forse è quella cosa che rimanga veramente impressa nella memoria.