in memoria di me regia di Saverio Costanzo Italia 2006
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in memoria di me (2006)

 Trailer Trailer IN MEMORIA DI ME

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locandina del film IN MEMORIA DI ME

Titolo Originale: IN MEMORIA DI ME

RegiaSaverio Costanzo

InterpretiChristo Jivkov, André Hennicke, Marco Baliani, Fausto Russo Alesi, Filippo Timi, Stefano Antonucci, Rocco Andrea Barone

Durata: h 1.55
NazionalitàItalia 2006
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2007

•  Altri film di Saverio Costanzo

Trama del film In memoria di me

In un convento di gesuiti arriva un giovane, un novizio senza alcuna vocazione...

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Voto Visitatori:   7,06 / 10 (17 voti)7,06Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
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Voti e commenti su In memoria di me, 17 opinioni inserite

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DarkRareMirko  @  23/04/2019 00:05:33
   7 / 10
I commenti han inquadrato bene l'opera: tediosa, coraggiosa, diversa, sincera, semisperimentale.

Stile e temi avvicinano il film ad opere come Silence ed Il grande silenzio e, tra qualche dialogo retorico, molte parole spingono a riflessione.

Bene gli attori, discreto Timi, anche se qua e là, da parte di tutti, ho colto un pò di stile recitativo eccentrico, spiazzante.

Costanzo, figlio d'arte, si riconferma autore indipendente, intelligente e dotato.

Si astengano mainstreamers anche se, a volte, film del genere sono un vero toccasana: spingono a pensare e ad intrattenersi in modo diverso.

Buono il making of nel dvd, che dura sui 45 minuti.

Crabbe  @  07/03/2016 10:08:29
   7½ / 10
Saverio Costanzo è indubbiamente un regista valido e lo dimostra anche in questa pellicola. Non solo ci troviamo davanti ad un film notevole a livello di regia e fotografia, qui troviamo anche i contenuti.

Un film sull'uomo, sul suo bisogno di trascendenza e sul quesito moderno tra dottrina e "fai da te". Costanzo ha però il grande merito e l' intelligenza di non tentare di dare risposte su questioni così complesse, si limita a mettere in scena una lucida osservazione su alcune dinamiche ecclesiali e ci riesce.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  12/10/2010 20:17:54
   7 / 10
La maturità registica c'è tutta; resta il sospetto di un esercizio di stile che, pur nato da intenti sinceri (e coraggiosi) è incerto su che strada prendere, e se la cava alla fine con l'espediente di far vivere al protagonista una traslazione. Il suo desiderio di fuga è assunto dal personaggio interpretato da Timi, e mentre lo spettatore, insieme a quest'ultimo, è nel finale libero, quel campo lunghissimo che finalmente ci fa evadere da San Giorgio, include quella porta dietro alla quale il nostro protagonista ha deciso di segregarsi.

Riuscitissima la scelta di fare del protagonista, sin dall'inizio, un personaggio che incarna nei suoi silenzi la reticenza dell'ambiente che lo circonda.
Tanto lui è reticente tanto il personaggio di Timi parla, e alla fine la sua capacità di non trattenere dentro (mentendo a sé i propri dubbi) sarà la sua salvezza.

Trattenere e nascondersi i propri dubbi.
Di questo il film parla: suggerendo come dietro ogni certezza metafisica si nasconda un dubbio irrisolto, come una cicatrice rimarginata ma non scomparsa.

Purtroppo però il film, per quanto notevolissimo per regia (fotografia, tempi, movimenti di macchina: girare un film che non gira intorno a nessun delitto eppure farne un thriller, tutto dentro le mura di un convento non è cosa da poco), non sviluppa le implicazioni del tema (enorme) che si propone.
Si ha il sospetto, come si diceva, che alla fine lo stile abbia prevalso, e la carne messa al fuoco fosse troppa per poter chiudere il discorso così semplicemente.

dobel  @  24/08/2009 10:18:26
   7 / 10
L'ho visto alla sua uscita e ne sono rimasto favorevolmente colpito. Penso sia un'opera densa che pone non poche domande senza cercare (o riuscire) di incanalare lo spettatore verso una risposta preconfezionata. Anzi, da quanto ricordo, il messaggio che si ricava guardando il film, risiede proprio nel fatto che le strade per arrivare a Dio sono tante quanto gli uomini. Se Zanna sceglie di vivere la propria missione nel mondo, affrancandosi da delle regole che lo costringono ad una vita lontana dal contatto col Cristo che cerca nel prossimo, Andrea trova proprio in queste regole la sicurezza e la stabilità che sta cercando nel proprio percorso verso la trascendenza. Lo trovo un film tutt'altro che antiecclesiastico; pone certamente un quesito fondamentale: siamo sicuri che l'istituzione ecclesiale sia necessaria e sia una via preferenziale che conduce a Dio? O forse non se ne potrebbe fare a meno per plasmare ognuno la propria strada? Il regista (forse con più simpatia per questa seconda possibilità) ci mette di fronte alle due scelte legittimandole magari involontariamente. La chiesa è importante perché offre a molti la possibilità di trovare una via di sicurezza entro la quale spogliarsi della propria volontà e del proprio ego e trovare nelle regole un modo per staccarsi dalla propria presunzione di autosufficienza. Allo stesso modo possiamo farne a meno, magari correndo più rischi personali (ma il cristianesimo è il rischio per eccellenza), e seguire una strada libera e per questo soggetta a tutti quei 'venti di dottrina' che potrebbero sbalzarci fuori dalla carreggiata. Un film intelligente e ben realizzato (con un'ottima fotografia e musiche molto suggestive) perché pone domande e non cerca di dare risposte semplicistiche a problemi e tematiche troppo complesse per essere risolte nell'economia del racconto. L'unico momento in cui il regista si sbilancia decisamente e sembra volerci dare la propria visione e soluzione del problema è anche il momento più debole, a mio avviso, del film, un momento irrisolto proprio perché poco approfondito e convinto. Il congedo di Zanna nello studio del rettore del Collegio si conclude con un bacio. Questa scena è la trasposizione di un frammento dei 'Fratelli Karamazov' di Dostoevskij. Nella Leggenda del Grande Inquisitore viene raccontato come sulla Piazza di Siviglia, dove ardono i roghi degli eretici, un uomo si sia trovato a guardare in silenzio quella scena di aberrante dolore. Portato davanti al Cardinale Inquisitore, ne ascolta in silenzio le domande ed è il suo silenzio che fa capire al vecchio custode della fede che quell'uomo è il Cristo. La reazione del Cardinale Inquisitore è dura: "Sei Tu?... Sei Tu?... Non rispondere, taci. E che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto non hai bisogno di aggiungere nulla a quello che Tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei venuto infatti a disturbarci." La scena si conclude con il bacio con cui Cristo saluta il Grande Inquisitore, proprio come si conclude la scena del film identificando così esattamente le rispettive parti e scoprendo le carte del pensiero di Saverio Costanzo. L'Inquisitore, con il quale si identifica non tanto il rettore del collegio quanto tutta la tradizione secolare di cui lui non è che il momentaneo custode, è convinto di compiere il più grande degli atti d'amore: 'togliendo all'uomo la libertà, egli sa di renderlo felice, perché lo solleva dal peso dolorosissimo di dover continuamente cercare e scegliere. (...) Ma Cristo smentisce la presunta verità di questo ragionamento. Cristo è l'uomo libero che chiama l'uomo alla libertà. Egli sa che anche se la libertà ha un prezzo grande, vale sempre la pena di essere vissuta.' Egli sa che l'uomo acquietato dall'assenza di libertà sarà forse apparentemente felice, ma un uomo che non cerca più nulla, che si soddisfa del suo presente, non sarà più uomo. L'uomo che si ferma, che si sente padrone e sazio della verità, per il quale la verità non è più qualcosa da cui essere posseduto ma da possedere, ha ucciso in se stesso non solo Dio, ma anche la propria dignità di essere umano.
Questo il messaggio di Dostoevskij; questo anche il messaggio che forse, in fondo, avrebbe voluto comunicarci Costanzo; solo che in Costanzo non viene esplicitato, rimane timidamente in embrione. Non basta la citazione del congedo di Zanna perché possiamo penetrare nel pensiero più recondito del regista. Questo mancato approfondimento, probabilmente, non è comunque un male; l'ambiguità (forse non voluta) del finale diviene un valore. Il tenere aperte le due porte senza schierarsi eccessivamente per l'una o per l'altra giova ad un film che non avrebbe potuto in ogni modo risolvere un problema che attanaglia da secoli tutte le generazioni di esseri pensanti credenti e non. E' un problema che ha dato origine alla Riforma protestante e a crisi sociali non piccole. Qual è la via giusta per servire il cristianesimo? Se intrapresa in coscienza... chissà, forse proprio ciascuna.

Burdie  @  10/04/2009 09:29:39
   4½ / 10
...ammetto di essere uno spettatore medio....forse medio-basso, sta di fatto che nn l'ho apprezzato

Gruppo COLLABORATORI SENIOR peucezia  @  20/02/2008 15:53:46
   7 / 10
film lento e difficile sul rapporto tra uomo e divinità. Bravi tutti gli interpreti capaci di parlare con sguardi e di infilzare con le rare parole, sicuramente da vedere anche se con una necessaria consapevolezza

Invia una mail all'autore del commento Rusty il Selvag  @  18/10/2007 16:43:32
   8½ / 10
Sudore ed occhi in fiamme,

Metamorfosi in uccello di fuoco.

2 risposte al commento
Ultima risposta 26/10/2007 15.50.08
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Titty@  @  25/09/2007 21:54:33
   6 / 10
Film lento ma con una discreta trama

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  17/07/2007 12:49:08
   7 / 10
Dopo “Private”, sua interessante opera prima,Saverio Costanzo torna dietro la macchina da presa con un film rischioso,dal tema delicato ed interessante al tempo stesso, soprattutto in un periodo in cui le istituzioni ecclesiastiche hanno perso molta della loro credibilita’ soprattutto tra i giovani.
E’ interessante cosi’ cercare di capire quali siano le motivazioni che spingono un giovane uomo,in questo caso Andrea, interpretato ottimamente da Christo(un nome,un programma) Jivkov,ad entrare in seminario per farsi messaggero di D.io in terra,Costanzo è abile nel tratteggiare quali siano i dubbi,le paure e le sensazioni che attanagliano il giovane ed altri suo compagni di “corso” e soprattutto cosa li abbia spinti ad affrontare una scelta simile cercando di approfondire al meglio cosa sia la vocazione.
Il percorso interiore è ben rappresentato attraverso i rari dialoghi,che risultano sempre molto profondi,oltre che mediante il sapiente utilizzo di gesti e sguardi.
Tecnicamente il film è realizzato in maniera mirabile,davvero notevole la regia che era gia’ stata uno dei punti di forza di “Private”,ottima la fotografia che alterna in maniera mirabile toni scuri ad altri notevolmente luminosi,particolare l’accompagnamento musicale che riesce comunque a ben integrarsi con le immagini.
“In memoria di me” è pero’ anche un lavoro estremamente lento,a tratti ostico,di non facile approccio e in alcuni punti estenuante nel suo ermetismo,è comunque da ritenersi un buon prodotto grazie anche al notevole lavoro svolto sulle psicologie dei personaggi e sulla capacita’ di indurre alla riflessione.

forzalube  @  29/03/2007 17:02:42
   7 / 10
Suggestivo, stilisticamente ben curato e con una splendida (ma qui magari non molti saranno d'accordo con me) colonna sonora.


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Ultima risposta 31/03/2007 18.42.40
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marlamarlad  @  29/03/2007 10:58:22
   7 / 10
Che la regola va seguita non per paura/costrizione, ma perchè ne hai fatto una tua ragione di essere, è un messaggio potente, peccato che questo film non sarà visto dai piu'.
Interessante anche il paradosso del Dio debole, che li' sta a guardare e non ti obbliga a nulla.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  23/03/2007 14:43:55
   7½ / 10
"Per essere tutto nella vita ero arrivato a non essere niente"

Ci vuole coraggio a realizzare una storia di ricerca spirituale e religiosa senza pensare alla Cei e a tutto cio' che sta invero allontanando la gente della chiesa e ancor di piu' dalla "vocazione al mistero di D.i.o.". Il film è un vero e proprio oggetto non identificato del cinema italiano, ed è come se avessimo un po' tutti bisogno di trovare una via dello spirito che sembrava col tempo essersi completamente estinta. Non certo nel cinema: da Bellocchio a Ferrara tutti si interrogano sul senso della Vita, domanda immensa alla quale nessuno sa dare risposte, grande come gli spazi confinati di Costanzo, mentre filma l'isola di San Giorgio e il convento gesuita come se si trattasse di un'illimitata fonte tecnica: il bianco e il nero dominano sulla struttura, le stanze disadorne e pulite, il silenzio (come riflessione interiore) spezzato ogni volta dai contrasti interni ed esterni della vita "terrena" e quella della Rinuncia (scissione?).
Straordinario il volto di Christo Jivkov (presente anche nel cast dell'ultimo film dei Taviani), e molto di Bellocchio c'è nel personaggio di Zanna. interpretato da Filippo Timi.
Un film che aderisce alla storia quasi imponendo forti dibattiti, come se lasciasse allo spettatore il compìto di condividere o meno certe scelte, ma anche piuttosto laico come testimonianza di ragioni che fanno parte dell'individualità (la paura, la viltà, la debolezza, la codardia, la condanna, la liberazione spirituale).
Nei rituali simili a una quotidianità da caserma (come nell'abnegazione della vita dedita al sacrificio e riflessa al culto della stoicità della fede), nelle ombre che minano il pensiero dell'Uomo, nei rumori notturni che mimano gli ingredienti tipici di un noir, "In memoria di me" è un film forse freddo, tecnicamente superbo, che non riesce sempre a trasmettere la lucida alienazione di quei corpi che seguono, poco individualmente, il proprio ritiro dai clamori e dal materialismo del mondo.
E proprio per questo il film raggiunge i migliori risultati soprattutto nella cornice tecnica, quando Costanzo è davvero persuasivo nel colmare il "vuoto" e la sobria monumentalità degli interni con diverse velleità sperimentali (cfr. la stanza segreta di Zanna, la fuga all'alba di Fausto, il grido soffocato di Andrea nel silente rigore dei corridoi del convento).
Piu' discutibile il finale, con quel senso di velata utopia del Mistero e la consacrazione del (vero) dubbio.
Visto che "sopportiamo quello che siamo" (è antitetico al "diario di un curato di campagna" di Bresson) il film ha comunque la forza di esaudire il riflesso della coscienza, senza imporre allo spettatore vere risposte.

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Ultima risposta 31/03/2007 18.41.12
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Invia una mail all'autore del commento nike-82  @  22/03/2007 12:31:15
   8½ / 10
In memoria di me è un film complesso dai toni forti, di sguardi e grandi silenzi, è un Film per riflettere che costringe a guardarsi dentro. Non per tutti, almeno non per chi è abituato ai rumori dei film d'azione e ai tempi serrati. Favolosi gli attori Hristo Jivkov (Il mestiere delle armi e altro)e Filippo Timi (Saturno contro).

viagem  @  18/03/2007 15:30:32
   7½ / 10
In memoria di me è un film in vero ostico, per ritmo, atmosfere claustrofobiche e temi trattati. Ma lavora col tempo, ben dopo la visione, scavando e scoprendo in ognuno di noi emozioni e riflessioni le più diverse sulle grandi domande dell'esistenza.
Costanzo riesce a rasentare il banale senza mai cadervi, rischio dietro l'angolo per un'opera che si occupa di queste tematiche.
Il seminario, luogo in cui il protagonista si rifugia per trovare risposte ai suoi dubbi esistenziali, appare come luogo "lontano da", "privo di": un lungo corridoio spesso inquadrato con una camera fissa da lontano e il rumore lento dei passi dei novizi, un silenzio vuoto, le parole del padre superiore che ricordano l'importanza di acquisire un distacco da ogni emozione, positiva o negativa, che il mondo possa offrirci.
E in opposizione un novizio ribelle che ci ricorda che il Vangelo è anche sentimento, com-passione, non solo razionalità: c'è una Parola da diffondere al mondo, che è lì che si affaccia dalle vetrate di San Giorgio a Venezia con i vaporetti che sfilano e i fuochi del redentore giusto in faccia al convento. Dunque sarà vera libertà quella che nasce dal distacco, dalla lontananza del mondo o è più una prigione questo luogo con le porte spalancate verso la laguna, ma chiuse al suo odore di salsedine?
Andate a visitare l'isola di San Giorgio a Venezia, riempie il cuore.

Invia una mail all'autore del commento logical  @  14/03/2007 01:57:49
   7½ / 10
I gesuiti e l'amministrazione della fede. Sembra che tutti i nostri migliori registi debbano per forza affrontare l'argomento, come una prova di forza necessaria per perdere o prendere peso. Mentre osservavo gli occhi sempre sbarrati di Christo Jivkov pensavo proprio a Bellocchio, a lui che guarda Dryer e il mutismo forzato di Giovanna d'Arco, proprio come se fosse una lunga catena o un corridio infinito di stanze tutte uguali, come le prigioni di Genet...
In effetti una tensione omofila e maschile trattiene tutto il film sospeso in un silenzio che sembra stare sempre per spezzarsi, sia per le navi gigantesche e lente che riempiono inaspettatamente le finestre sia per la tensione di tutti questi uomini che evitano violentemente di guardarsi, di toccarsi o di incrociarsi.
Eppure la detenzione è libera: si tratta di dimostrare a sé e agli altri di sapere maneggiare con sapienza le scritture affinché dottrina e dogma siano strumenti di amministrazione delle anime. È un percorso che porta al distacco da ogni cosa, un superamento che si lascia raccogleire al di là di ogni principio di piacere. E i dialioghi sono degni della migliore tradizione nordeuropea: Bresson, Bergman... è bellissimo anche il suono in presa diretta, l'accento teutonico di André Hennicke, sinistro, nazista, suadente, la vera voce della dottrina nel suo stato più puro e disumano, accanto a quella accattivante, italiana e ciellina di Marco Baliani. Jivkov è bulgaro e mentre legge la sua riflessione sulla vocazione e i precetti di Matteo, penso alle voci dell'est e alle loro cantilene senza speranza, qualunque cosa dicano, anche queste come una lunga, lunga catena.
È una riflessione sul che fare di sé a propria memoria. Siamo figli di un dio debole, dice Hennicke nel suo ultimo fiato, e con una fede costruita sul sacrificio e sulla morte: o stai o vai.
Il dio che sorride è un sogno dell'oriente, a noi rimane ancora l'ennesimo valzer esistenzialista come se il nostro sé potesse ancora stupirci o farci una gran compagnia. Bella fotografia, musica stucchevole, impianto classico e potente gestito con sicurezza: l'esame di teologia è passato a pieni voti, ora facciamo qualcos'altro, maestro?

kairi86  @  13/03/2007 22:07:48
   9½ / 10
molto bello...pesante ma molto bello.non sono d'accordo con l'utente precedente.io ho trovato il tutto molto coinvolgente e soprattutto uno spunto per riflettere su moltissime cose..una cosa poco usuale oggi!ciao

suzuki71  @  12/03/2007 23:27:26
   4 / 10
Dopo il buon esito di critica del precedente primo lavoro "private", molto apprezzabile per arditezza della trama e delle scelte registiche, il "figlio di costanzo" torna al grande pubblico con un film che affronta il tema della vocazione religiosa, del senso da dare alla vita, del rispetto della propria interiorità. Liberamente ispirato al romanzo "Il Gesuita perfetto" di Furio Monicelli, il film scorre lento, ed è interamente ambientato nell'ex monastero che ora ospita la Fondazione Cini a Venezia. Monocorde, insiste più sui risvolti psicologici immaginati dei protagonisti piuttosto che sui dialoghi. Il risultato comunque appare pretenzioso e abbastanza velleitario, una sorta di tiepida prova di una giovane promessa. La sceneggiatura in diversi punti lascia perplessi (la discesa tardiva del protagonista nel refettorio) e anche i commenti musicali a volte appaiono fuorissimo luogo, con un uso a mio parere inappropriato di temi classici. La vetrata del seminario è inquadrata mille volte, e le espressioni del protagonista si contano in tutto su una mano.... insomma, non è un esperimento ben riuscito, "Private" era più acerbo, meno pretenzioso, più omogeneo...

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