Nel 1981, cinque anni dopo _L'uomo di marmo_ Andrzej Wajda porta sullo schermo, tramite il personaggio di Maciek, figlio dell'"eroe" del film precedente Mateusz Birkut, la Polonia di Solidarnosc.
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L'uomo di ferro continua il discorso del precedente L'uomo di Marmo, ma se il primo film della duologia era una discesa nelle ipocrisie di regime e nelle ingiustizie coercitive sovietiche, qui Wajda apre ad una speranza, realizzando un'opera con molti più spiragli di luce che affiorano nelle difficoltà dei lavoratori polacchi costantemente impegnati in lotte di classe per una migliore qualità di vita. A mio parere non raggiunge gli apici del precedente film, l'ho trovato eccessivamente idealistico e dalle tendenze utopiche, con lo stesso personaggio di Walesa che figura nei panni di se stesso a dare speranze che poi si infrangeranno con gli anni, ma effettivamente al periodo non lo sapevano.
Ricompaiono pure i personaggi del primo film, tra Agnieszka, che ne era la protagonista, poi finita in reclusione per la sua voglia di giustizia al figlio di Birkin, che porta l'eredità del padre ed è in prima linea negli scioperi nel porto di Danzica, oltretutto vengono chiariti alcuni aspetti lasciati in sospeso nel primo film, come appunto le circostanze della morte di Birkin.
Wajda a mio parere qui non brilla come nel precedente, ne viene fuori un film leggermente retorico e infarcito di dialoghi, non sempre riuscendo a tenere un mordente alto per tutta la durata, anche qui è presente la denuncia alle autorità del regime comunista con la figura di Winkel, giornalista infiltrato per incastrare Tomczyk finirà per redimersi e passare dalla parte degli oppressi preso da un senso di giustizia.
A cannes lo hanno apprezzato molto, essendo anche l'unico film di Wajda ad aver vinto la Palma d'oro, personalmente lo trovo uno dei meno belli, almeno di quelli che sono riuscito a vedere, in ogni caso è un film validissimo per interpretazioni e messa in scena, si vede che all'autore stava molto a cuore la questione e ci mette tutto se stesso, forse in questo caso anche un po' troppo.
L'uomo di Ferro è la continuazione del capitolo precedente di Wajda, L'uomo di marmo, ma se nel capitlo precedente l'indagine era rivolta verso il passato della Polonia, in questo caso è orientato prevalentemente all'interno della sua attualità, figlia comunque del suo passato ma più attenta ai profondi cambiamenti sociali che operano all'interno della società polacca, soffocata da un regime oppressivo contrapposto alle istanze sociali del sindacato indipendente Solidarnosc. Le tonalità sono marcatamente più cupe, quasi a sottolineare l'enorme posta in gioco, tanto da far apparire lo stesso Walesa nella parte di se stesso e registrando l'attualità delle febbrili trattative fra sindacati e governo. L'utopia del sogno di un socialismo dal volto umano, già manifestato dal popolo cecoslovacco, si riflettono in quello polacco sfruttando la forte identità cattolica come base per raccogliere consensi. Con il senno di poi sembra che le aspirazioni siano andate molto oltre rispetto ai reali intenti dell'epoca. Massice dosi di capitalismo occidentale era l'obiettivo finale? Ne dubito, in fondo la storia è andata ben oltre la finzione stessa.
"In Polonia col comunismo avevamo paura, ma tutti lavoravano. E anche le famiglie piu' povere avevano i buoni dal governo per andare in vacanza gratuitamente" non sono parole certo mie, ma di una polacca che conosco. Non è mia intenzione far cambiare idea a qualcuno ma quando la mia amica dice che "col capitalismo, speravamo tutti, invece hanno chiuso migliaia di fabbriche e molta gente povera è costretta a emigrare per trovare lavoro" capisco che, obiettivamente, è stata una "vera fregatura" cfr. il capitalismo, se così vogliamo chiamarlo.
Se poi pensiamo che i nemici principali dell'esodo degli extracomunitari dell'est o di qualsiasi altro luogo "difficile" del mondo infastidisce proprio coloro che sguazzano sul mondo Capitalista, occorre dire che qualcosa non va.
Oggi il signor Walesa ha - alla faccia della Democrazia - una ricchezza spropositata che gestisce incurante degli effetti dannosi che hanno portato le sue utopie (da un'utopia all'altra, è il caso di dire).
A modo suo, la "duologia" (Uomo di marmo/uomo di ferro) di Wajda fu un'evento cinematografico di tutto rispetto. Non lo rivedrei neanche sotto tortura (a tratti è davvero prolisso e manco a dirlo demagogico) ma ha significato "qualcosa". Peccato che abbia significato molto meno in tutti quelli che davvero "ci credevano" (comunisti o ex compresi).
Se non sbaglio una volta al telegiornale dissero che Krystyna Janda (volto molto bello e ottima attrice, una sorta di Bibi Andersson polacca) - attivista già di Solidarnosh - era sparita nel nulla per implicazioni politiche.
Sono trascorsi decenni, e lei (per fortuna) esiste ancora.
E tutto mentre l'Europa dell'esodo celebra la Morte di tutte le speranze agiografate con vero spirito nazionalista da questo film