Trama del film Women talking - il diritto di scegliere
Un gruppo di donne si trova in una colonia religiosa mennonita in Bolivia, in un posto isolato e sperduto. Conciliare la loro fede con la triste realtà è difficile e richiede impegno quotidiano, perché nella stessa colonia invece gli uomini compiono senza scrupoli stupri e aggressioni sessuali nei confronti di tutte loro.
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Perché parlare dei massimi sistemi come femminismo, violenza sulle donne, religione, pacifismo, democrazia e poi subordinare tutti gli aspetti politici (e polemici) ad una costruzione teatralizzante, ingessata, e soprattutto sottomessa a logiche da "film per tutti/e" (i bambini, la storiella d'amore strappalacrime, ecc.)? Resta la carica emotiva di un film che prova quantomeno ad affrontare in maniera differente temi attualissimi e importanti, ma se si finisce con l'analizzarli in tale forma alla fine si fa il gioco di superficializzarli e banalizzarli.
Il plot è potenzialmente interessante e ha dei messaggi forti da proporre e rimarcare. I concetti dell'emancipazione femminile, la voglia di ricominciare, il ribellarsi alle violenze degli uomini sono ampiamente dipanati e, oggi, più che mai argomentati. Il problema di questo film risiede nella sceneggiatura (incredibilmente premiata con l'oscar) ricca di contraddizioni e lungaggini nei dialoghi, ripetitiva e narrativamente lenta. A fronte di questi che sono difetti riscontrabili, e potenzialmente invalidanti per una visione pienamente appagante, c'è da considerare la regia senza grosse sbavature, la discreta performance del cast (nonostante la McDormand relegata in un cameo), gli ambienti ricreati degnamente e, soprattutto, una colonna sonora davvero intensa. Sufficiente ma non esaltante.
Gruppo d'autocoscienza femminista in un fienile. Nel 2010 non combattono il patriarcato bensì una mascolinità tossica più che mai: schiave di narcotizzatori, stupratori, violenti, aggressori che negano loro l'accesso al voto e all'istruzione. Mentr'in Occidente il diritto di famiglia ha ammesso cert'eccessi vittimistici e si sta riequilibrando, Towes, Polley e McDormand (qui anche produttrice con Pitt) o possono parlare dell'esperienza personale della scrittrice canadese oppure del regime talebano o d'una setta/colonia/comunità di bigotti in Bolivia, invece criminalizzano l'intero universo maschile (August, l'unico attore del lungometraggio, è impersonato dal gay Ben Whishaw). Il film è così schierato che fa dialogare le protagoniste analfabete dei massimi sistemi. Più indisponente che provocatorio, è stato paragonato a "Dogville" (2003) dov'al contrario Trier sapev'affrontare questioni assai più universali del #metoo. Perdend'ogni senso della misura, questo cinema s'autocondanna al ridicolo: a fine 2022 il decennale sondaggio di "Sight and Sound" ha eletto per la prima volta come miglior film della storia "Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles" (Chantal Akerman 1975), e le aspre critiche non sono mancate (https://en.wikipedia.org/wiki/The_Sight_and_Sound_Greatest_Films_of_All_Time_2022#Reception).
La cosa curiosa di questo film è che sembra ambientato in un passato abbastanza remoto, invece nei momenti successivi si scopre che siamo nel 2010. Quindi un'epoca attuale in cui questa comunità rurale vive isolata, con una forte connotazione patriarcale che costringe le donne a rimanere ad uno stato di semialfabetismo e vittime di abusi sessuali. Il film è quasi interamente ambientato in un fienile dove un gruppo di donne si riunisce scegliendo come agire e cosa fare dopo l'ennesimo abuso. L'impostazione è molto teatrale, basato su dialoghi dove vengono portate argomentazioni e contro argomentazioni su come agire: lasciare tutto come prima, restare e combattere oppure andarsene. Certamente qualche aspetto appare un po' inverosimile. Infatti le donne nei loro ragionamenti sono tutto tranne che delle semianalfabete, tuttavia è altrettanto ovvio il simbolismo della Polley nel descrivere ancora la condizione attuale della donna, specie in contesti dove domina il patriarcato. Aldilà dei suoi difetti e di un'impostazione statica il cast di attrici è superbo ed il lavoro collettivo di prim'ordine.