Recensione 7 days in havana regia di Benicio Del Toro, Laurent Cantet, Julio Medem, Elia Suleiman, Pablo Trapero, Gaspar Noè, Juan Carlos Tabío Spagna, Francia 2012
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Recensione 7 days in havana (2012)

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locandina del film 7 DAYS IN HAVANA

Immagine tratta dal film 7 DAYS IN HAVANA

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Il compito del cinema è quello di raccontare storie e ci sono luoghi nel mondo in grado non solo di ispirare la fantasia degli scrittori, ma anche di essere parte viva di un racconto, alla pari se non al di sopra dei personaggi (si pensi, tanto per fare due esempi, alla Parigi di Victor Hugo o alla New York di Woody Allen). L'intento di "7 days in Havana", film in sette episodi di altrettanti registi, è quello di mettere a fattor comune la capitale di Cuba per raccontarla da diverse angolature, mischiandone luoghi comuni, propaganda, miserie e glorie. Difficile giudicare un prodotto come questo pensandolo come un film unico. Non basta infatti la comune ambientazione per dare organicità e coerenza ad un progetto e non sempre i sette corti riescono davvero a far sentire L'Havana come il centro di gravità delle storie raccontate. La differenza di qualità dei singoli episodi, infine, suggerisce di trattare separatamente il giudizio sui vari "giorni" della settimana. Altri film simili - "Paris Je T'Aime" o "New York Stories", ad esempio - beneficiano di maggiore continuità tra i vari segmenti, almeno a livello stilistico, e si possono guardare più facilmente come un insieme. "7 Days in Havana" contiene essenzialmente due tipi di storie: quelle che raccontano del contatto tra un visitatore e la città (è il caso di Lunedì: "El Yuma", Martedì: "Jam Session" e Giovedì: "Diary of a Beginner") e quelle che raccontano storie di abitanti della città (Mercoledì: "La tentacion de Cecilia", Venerdì: "Ritual", Sabato: "Dulce Amargo", Domenica: "La fuente").

Più facile immedesimarsi ed entrare nella prospettiva dei primi tre. Lunedì: "El Yuma" (di Benicio del Toro) racconta della prima notte a L'Havana di un giovane studente di cinema americano (Josh Hutcherson), che si perde nei bar della capitale alla ricerca di sesso - trovando la cosa più difficile del previsto. Del Toro esordisce alla regia con un compito facile: introdurre lo spettatore (americano) nella capitale di Cuba, facendosi ambasciatore del progetto e - volutamente? - restando vicino ai luoghi comuni dell'immaginario occidentale. Già più interessante è "Jam Session", di Pablo Trapero, che racconta di Emir Kusturica, nei panni di se stesso, mentre rende la vita impossibile al suo autista, che si rivela essere un musicista formidabile. "Diary of a Beginner", di e con Elia Suleiman è il gioiello del film. Praticamente muto, ma divertentissimo, il corto di Suleiman racconta di un turista palestinese che aspetta la fine di un interminabile discorso di Fidel per una pratica burocratica. Anche dal punto di vista registico, questo è il segmento che meglio racconta la città ed i suoi scorci, non senza una punta di dolente ironia. Lo sguardo imbambolato e smarrito di Suleiman che fa da contraltare alle vedute da cartolina de L'Havana racchiude perfettamente la sensazione di spaesamento e sorpresa che i tre corti fin qui descritti vogliono comunicare. Se solo casualmente è il corto centrale, è certamente importante far notare che "Diary of a Beginner" è il punto di raccordo tra l'immutabilità di una città sospesa in una dimensione temporale unica, dovuta alle condizioni politiche di Cuba, e la fugacità dello sguardo del turista che ne coglie solo il presente e può ignorarne il dramma.

I restanti quattro frammenti raccontano L'Havana vista "da dentro" e forse per questo sono più difficili da giudicare. "La tentacion de Cecilia" racconta la notte di Cecilia, giovane cantante, divisa tra la vita a Cuba con il compagno e la famiglia e un contratto sulle navi da crociera per tentare di realizzare il sogno della sua vita. Realizzato da Julio Medem, è il corto più debole, soprattutto a livello registico, per un uso del ralenti e della musica un po' troppo melodrammatico ed una trama tutto sommato banale. Il regista di "Lucia Y el Sexo" ha uno stile particolare, che coniuga un eccesso di lirismo a scene da film erotico soft che non si giova della collocazione centrale (è l'episodio "del mercoledì") in un film ad episodi, soprattutto se posto tra i due segmenti di Trapero e Suleiman.
Unico caso di raccordo seppur parziale tra i vari corti, "Dulce Amagro" (di Juan Carlos Tabiò) racconta la giornata frenetica di una psicologa che arrotonda lo stipendio facendo di nascosto la pasticciera. Scopriamo durante il corso dell'episodio che la protagonista è la madre di Cecilia (la protagonista del corto del Mercoledì) e che a fine giornata la scelta di vita della figlia metterà a dura prova i consigli sulla vita dispensati dalla madre durante una trasmissione televisiva.

Gaspar Noè si prende il corto più cupo ed inquietante, "Ritual", che racconta del rituale di purificazione di una adolescente sorpresa dai genitori a letto con un'altra ragazza. Rispetto agli altri sei corti, "Ritual" è soffocante e buio, ma anche in questo caso, poco coerente in un progetto che dovrebbe mettere la città al centro. Non c'è L'Havana in "Ritual", sebbene si potrebbe obiettare che ogni città ha un'anima e che in fondo "Ritual" ne racconta il lato oscuro, così come "La Fuente" (Domenica) di Laurent Cantet sceglie un tono leggero per raccontare la spiritualità fracassona e semplice di una comunità locale che si fa in quattro per soddisfare le richieste di una santona che vuole costruire un altare alla Madonna in casa, in meno di un giorno.

Nel complesso "7 days in Havana" è una raccolta di corti molto disomogenea, seppur di matrice comune (la sceneggiatura è di Leonardo Padura Fuentes, scrittore cubano). Alcuni segmenti funzionano meglio di altri e hanno un respiro più ampio, che riesce ad abbracciare davvero la città. L'ordine dei racconti è studiato per rappresentare un'ideale immersione progressiva nella realtà de L'Havana ed un abbandono dei preconcetti occidentali: nei primi quattro frammenti i personaggi stranieri si rendono conto di essere di fronte ad una realtà che li stupisce, mentre i rispettivi ruoli diventano sempre più marginali nelle trame, fino al testimone muto di Suleiman che è l'ultimo personaggio non cubano del film. Il problema è che il gioco non riesce del tutto, complice una durata forse eccessiva - superiore alle due ore - che penalizza un affresco vivace, ma che non sempre risulta sincero fino in fondo.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 12/06/2012 15.04.00

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