Recensione i cavalieri del nord ovest regia di John Ford USA 1949
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Recensione i cavalieri del nord ovest (1949)

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locandina del film I CAVALIERI DEL NORD OVEST

Immagine tratta dal film I CAVALIERI DEL NORD OVEST

Immagine tratta dal film I CAVALIERI DEL NORD OVEST

Immagine tratta dal film I CAVALIERI DEL NORD OVEST

Immagine tratta dal film I CAVALIERI DEL NORD OVEST
 

Secondo film della trilogia militare di Ford (Fort Apache nel 1948, I cavalieri del Nord Ovest nel 1949, e Rio Bravo nel 1950).
Film pacifista, ricco di atmosfere epiche, con una fotografia dai colori indimenticabili, paesaggi western straordinari per bellezza e carica poetica. I cieli variopinti, insuperabili per luminosità e contrasti occupano sovente buona parte dello schermo e in ciascuna scena svelano particolari diversi legati allo scorrere delle ore delle giornate. Cieli che si presentano come cupole irregolari evocanti un culto di adorazione, fulgenti di rosso all'alba e carichi di suggestione violacea al tramonto.

Fortissime le emozioni suscitate dalla coreografia naturale del territorio, teatro degli episodi: piane rosse e dorate perdute in meravigliosi e immensi spazi richiamano arcani e smarriti desideri sensibili al selvaggio.
Ford ci immette gioiosamente in un spettacolare e invitante infinito spaziale. Si entra all'improvviso e increduli nel noto e favoloso scenario della Monument Valley che tanto ci ha fatto sognare da ragazzi. Territorio magico che si trova oggi al confine tra L'Utah e l'Arizona. Una zona del west suggestiva, punteggiata qua e là da gigantesche guglie solitarie (mesas), protese superbe verso il cielo. Cime di roccia da favole fantascientifiche. Ricche sorprendentemente di ossido di ferro (ciò spiega forse il colore rossastro dei monti).

Nel film sono presenti anche montagne più grandi che fanno da sfondo alle scene, anch'esse composte da rocce e sabbia e dalla sommità piana.
Le mesas sono molto alte e hanno innumerevoli e disparate forme, accompagnano pazientemente gli episodi di guerra e di pace restandone indifferenti, ma si fanno sentire, quasi bisbigliando, quando dai gridi e dagli spari dei combattimenti si forma un drammatico eco.
Queste improvvise colate di roccia della Monument Valley, che compaiono puntualmente sullo schermo ad ogni variare di scena, sono veramente la parte forte del film, stupiscono e sorprendono gli spettatori, lasciando di stucco tutti coloro che non ne immaginavano l'esistenza. Tuttora la Monument Valley è abitata da pellerossa: i Navajo. Essi vivono vendendo ai turisti le immagini-ricordo del proprio illustre passato.

La musica del film è in stile country, malinconica durante le scene di eventi tristi, e vibrante quando i personaggi si trovano nell'imminenza di un pericolo da fronteggiare. Evoca pagine di storia leggendaria: densa di fermenti sociali e politici innovativi. Una musica mai estatica o passiva: raramente compiaciuta di se stessa.
Il film, a differenza dei western anni '30, non ha un andamento serioso, intercala ad ardue scene di missioni di guerra, disseminate qua e là da eventi drammatici, atmosfere più leggere impregnate di dialoghi autoironici e forme di umorismo, quest'ultimo nasce da episodi che hanno al centro l'imbarazzo.
A volte la narrazione prende pieghe più familiari e riesce quindi a sfociare anche nel comico.

La pellicola si rivede volentieri. Il film si trova facilmente sul mercato dei DVD e VHS. I cavalieri del Nord Ovest ritorna in tutto il suo splendore anche nei programmi televisivi.
Il film suscita ancora meraviglia e curiosità, forse proprio per lo straordinario effetto di autenticità storica che emana dalle scene. Una verosimiglianza che scaturisce dall'aver girato il film nei luoghi dove sono realmente avvenuti i fatti in oggetto.
Probabilmente sul ritorno di un certo interesse verso questo film influisce anche la crisi, più che decennale, di cui è affetto il genere western.
Rivedendo il film viene anche da pensare alla differenza di realismo tra i western all'italiana e quelli alla John Ford. D'accordo sul fatto che erano due tipi di western diversi, l'uno ironico e ieratico l'altro epico, ma i film alla Sergio Leone erano ambientati in Sardegna e ciò si notava mentre quelli di Ford oltre a nascere nella terra di origine dei personaggi protagonisti risaltavano con maestria il folclore etnico di culture specifiche in via di estinzione.
Alcuni film di Leone sono diventati un cult per l'originalità dello stile. Quelli di Ford sono capolavori di costume, qualcosa di diverso, forse anche più importanti dei cult perché hanno suscitato con il loro realismo polemiche e coinvolgimenti politici di rilevanza mediatica.
Ford procura sentimenti di partecipazione verso un'epica storica da tutti riconosciuta leggendaria: probabilmente mai più eguagliabile per intensità mitica.

Il film è ambientato in un fortino militare di frontiera nel 1876, subito dopo la notizia della disfatta infausta del generale Custer. Una sconfitta quest'ultima che suscitò stupore in tutto il mondo per il modo con cui avvenne. Il 25 giugno del 1976 i Sioux e i loro alleati, più di 5.000 combattenti, avevano sconfitto e annientato parte del settimo Reggimento di cavalleria di Custer sul fiume Little Bighorn, una sconfitta evitabile dovuta soprattutto ad una serie di errori del comandante.
Tra le innumerevoli sviste tattiche del generale spicca quella legata all'ispezione di guerra. Custer trascura di ispezionare accuratamente il territorio da battaglia e i suoi dintorni, non può quindi valutare con precisione la consistenza numerica dei Sioux. Probabilmente negli errori compiuti da Custer avevano influito le notizie sulla situazione generale della guerra, le informazioni che arrivavano dal centro non lasciavano infatti dubbi sulla ormai netta superiorità territoriale e numerica dei "bianchi" nonché sul forte assottigliamento delle fila dei pellerossa.
Nonostante la sconfitta di Custer e i numerosi vittoriosi assalti degli indiani alle diligenze postali, nonostante quest'ultime fossero sempre militarmente scortate, nel 1876 il destino di tutti i pellerossa è segnato. Nel film, varie tribù, tra le più bellicose, preparano nuove offensive contro le divise blu, esse sono galvanizzate dal successo ottenuto su Custer.
Nel racconto del film il capitano Nathan (John Wayne) deve scortare due donne, dal fortino, sede della cavalleria, alla stazione della diligenza. L'ufficiale fallisce nell'impresa a causa dell'ostilità degli indiani che prima del suo arrivo incendiano la diligenza e uccidono alcuni soldati preposti alla difesa militare della stazione. Con questo macabro gesto di guerra Toro seduto proclama la guerra santa contro i bianchi.

Il film appartiene alla serie delle pellicole americane un po' celebrative delle virtù della cavalleria e sempre attente a mettere in risalto le nobili finalità politiche delle divise blu contro gli indiani.
In questo caso però la pellicola è pacifista. Anche perché gli ufficiali sanno che, grazie alla pressione delle numerose divisioni dell'esercito contro tutti i territori dei pellerossa, gli indiani vengono sempre più spinti in zone di riserva, quest'ultime risulteranno predisposte da tempo. I nativi sono destinati in breve tempo ad arrendersi. La situazione consiglia perciò ai soldati blu gesti e azioni di pace: l'importante è riuscire ad evitare bagni di sangue inutili.

Il film manda messaggi di concordia e di auspicio di convivenza con gli indiani sconfitti.
Essenziale, sembra dire Ford, è andare verso la costruzione degli Stati Uniti d'America.
Il film è stato criticato da alcuni critici cinematografici per i numerosi falsi finali (Morandini).

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 27/03/2007

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