Recensione il treno per il darjeeling regia di Wes Anderson USA 2008
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Recensione il treno per il darjeeling (2008)

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locandina del film IL TRENO PER IL DARJEELING

Immagine tratta dal film IL TRENO PER IL DARJEELING

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Tre fratelli che si erano persi di vista dopo il funerale del padre, decidono di intraprendere un viaggio spirituale in India per ritrovare se stessi e per ricostruire un'unione familiare, con l'ausilio della madre ritiratasi in un convento.

Dalla Belafonte di Steve Zissou al Darjeeling limited di quest'ultimo film di Anderson, che non abbandona il suo stile glamour e patinato per raccontarci un'altra delle sue strampalate e bellissime avventure familiari che non mancano di originalità e di spunti di riflessione.
"Il treno per il Darjeeling" si appropria di tutti gli stereotipi e dei luoghi comuni dei road-movie, dei viaggi riconciliatori, della famiglia e via dicendo, ribaltandoli con humour e intelligenza e rendendoli speciali ed inimitabili. Il solito gusto per il particolare in questo caso è reso ancora più forte dalla ristrettezza degli ambienti soprattutto nella parte iniziale del film, completamente girata all'interno dei vagoni del coloratissimo e fatiscente treno nel quale i tre ragazzi ne combineranno di tutti i colori, mostrando le proprie manie, le proprie nevrosi ed i propri difetti.

I protagonisti sono Francis (un Owen Wilson col volto perennemente fasciato), Peter (uno stralunato Adrien Brody) e Jack (un caratteristico Jason Swhartzman con tanto di baffetti, che ha contribuito alla stesura della sceneggiatura).
Ognuno di loro è contraddistinto da caratteristiche particolari: il primo tende ad assumere il comando dei fratelli minori, ordinando la colazione per loro o decidendo passo per passo l'itinerario del viaggio spirituale; il secondo, molto silenzioso e riservato, è fissato con gli oggetti appartenuti al defunto padre, credendo di esserne l'unico erede; e l'ultimo, il più piccolo di statura e di età, è un aspirante scrittore in crisi con la sua fidanzata (la Natalie Portman che compare nel corto che dà inizio a questa pellicola, "Hotel Chevalier") che tenta di sfondare come scrittore e che non vuole essere messo in mezzo alle liti degli altri due. Accomunati da una fissazione per le medicine indiane, che continuano a scambiarsi durante il corso della pellicola, i tre fratelli faticano a ritrovare il feeling di un tempo, quello che lega anche dei semplici amici (infatti uno di loro ad un certo punto si chiede se avrebbero potuto essere mai amici, se non fossero stati fratelli). E se all'inizio non li vedremo quasi mai parlare tutti insieme (infatti li vedremo a due a due parlare dell'assente di turno, promettendosi di non riferirgli niente, segno questo dell'incapacità di fidarsi dell'altro), alla fine del viaggio, dopo essersi liberati dal pesante fardello del passato (emblematica ed estremamente simbolica la scena nella quale si liberano delle griffatissime valigie appartenute al padre), li vedremo finalmente tutti insieme nella stessa inquadratura.

Le valigie (disegnate appositamente dalla casa di moda Louis Vuitton) sono parte fondamentale della messa in scena, così come lo erano le tute de "I Tenenbaum" o i cappelli rossi de "Le avventure acquatiche di Steve Zissou", proprio perché facenti parte dell'inconfondibile (e ovviamente opinabile) stile di Anderson che anche in questo caso (avvalendosi dell'aiuto della nostra bravissima Canonero) dà molta importanza all'abbigliamento e ai particolari: una cintura che passa da un fratello all'altro, un paio di occhiali, un paio di scarpe spaiate, una serie di bende e di cerotti.
Bende e cerotti che ci conducono verso un'altra metafora, quella di Owen Wilson che si scopre il volto mostrando le ferite e le cicatrici, nonché il coraggio di sopportarle e di superarle. E se Francis rappresenta il desiderio di andare avanti e la testardaggine di portare a termine un obiettivo prefissato, Peter rappresenta la paura di affrontare l'ignoto (sta per diventare padre, ma ha lasciato sua moglie da sola al settimo mese di gravidanza, perché pur amandola è sempre stato convinto che prima o poi avrebbero divorziato), e Jack incarna la figura dello scrittore che, pur negandolo o semplicemente non ammettendolo, trasporta su carta le sue esperienze di vita vissuta e racconta delle persone che lo circondano (nonostante Jack continui a ripetere ai suoi fratelli che i personaggi dei suoi racconti sono inventati).

Se tutto questo non bastasse ad incuriosire anche i palati più esigenti, basterebbe citare il meraviglioso incipit con un Bill Murray più in forma che mai, che dopo una velocissima corsa in taxi perde il treno sul quale per il rotto della cuffia riesce a salire un Adrien Brody che lo guarda dispiaciuto o la folgorante "apparizione" della sempre elegantissima Anjelica Huston nel ruolo di una madre assente e forse irresponsabile (che parla praticamente come il suo figlio maggiore, quello che poi ha insistito per andare a cercarla).
Una sequenza rimane particolarmente impressa ed è quella nella quale madre e figli decidono di comunicare senza parlare e nel frattempo vediamo scorrere il Darjeeling e i suoi vagoni, abitati da tutti i personaggi che abbiamo visto nel corso della pellicola, segno questo che siamo tutti volenti o nolenti dei passeggeri del treno che ci porta a confrontarci con noi stessi, con i nostri dolori e il nostro passato per poter vivere serenamente il presente ed il futuro.

Con straordinari movimenti della macchina da presa (alcuni piani-sequenza davvero prelibati, ma anche una serie di zoomate e di carrellate molto interessanti), "Il treno per il Darjeeling" si arricchisce anche di una fenomenale e deliziosissima colonna sonora (che vanta pezzi di gruppi come i Rolling Stones o i Kinks, trasmessi dall'Ipod di Jack munito di casse) e di una bellissima fotografia satura di colori e caratterizzante alla perfezione gli ambienti nei quali i tre fratelli si muovono.

"Il treno per il Darjeeling" è insomma una sorta di avventura tragicomica, da guardare con il sorriso perennemente stampato sul volto, con il cuore aperto alle emozioni e la mente libera da qualsiasi tipo di restrizione.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 06/11/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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