Recensione lo sguardo di ulisse regia di Theo Angelopoulos Francia, Grecia, Jugoslavia 1995
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Recensione lo sguardo di ulisse (1995)

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locandina del film LO SGUARDO DI ULISSE

Immagine tratta dal film LO SGUARDO DI ULISSE

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Immagine tratta dal film LO SGUARDO DI ULISSE
 

Questo film è un capolavoro poetico e letterario, ma non del tutto riconosciuto dalla critica e dal pubblico. Uscito nel 1995 a ridosso della spaventosa guerra nei Balcani "Lo sguardo di Ulisse" ha suscitato commozione e riconoscimenti critici importanti ma inspiegabilmente ristretti.
La pellicola si cala nelle profondità più sensibili della memoria, in quella parte dell'inconscio che racchiude sentimenti significativi della storia, antichi investimenti che imprigionano il linguaggio di un tempo.
Zone d'ombra che accompagnano con crudele fedeltà l'intercalare della vita e sono una perenne testimonianza di amori e odi velati dal pietoso potere del tempo.
E' il ritorno del ricordo, inaspettato e straniante. Qualcosa che racchiude una passione divenuta misteriosa e che proprio perciò viene reinterpretata, quasi nostro malgrado, per la necessità di dargli un senso nuovo, nel mentre ci si allontana da lei per fuggire al dolore che provoca.

Nel lancio distributivo la pellicola non ha avuto alcun aiuto, è stata incredibilmente sottovalutata dall'industria della scrittura cinematografica di tutto il mondo, probabilmente perché il film trattava il tema della nostalgia dell'emigrato che mal si presta allo spettacolo commerciale. E' come se l'arte pura che questo film incarna a pieno titolo non potesse avere accesso ad una normale pubblicità, parallela a quella sostenuta dal produttore.
Triste ma vero.
Il cinema inteso come arte, e non come spettacolo che crea emotività, non può ancora avere pari diritti pubblicitari con il film commerciale. Ciò accade In particolare nella promozione editoriale che precede l'uscita delle pellicole nelle sale.
Angelopoulos punta tutto sull'emozione che la guerra dei Balcani ha suscitato nel mondo e in particolare sugli esuli di quei paesi sparsi nei vari continenti. Lo fa curando estremamente la sincerità autobiografica che permea tutta la sua opera; essa favorisce negli spettatori proiezioni e identificazioni di grande avvolgimento partecipativo.
Il film è originale per stile e linguaggio visivo. Il regista rifiuta nella realizzazione sia soluzioni di spettacolo che un ripercorrimento scenico a ritroso su orme linguistiche già conosciute e percorse nello stesso genere. Angeloupolos segue fino in fondo, evitando compromessi di botteghino, una propria ispirazione artistica.

La pellicola inizia con il ritorno di A. (H. Keitel), regista greco residente negli Stati Uniti, nella città natale di Ptolemais nella Macedonia occidentale per la proiezione di un suo film, in realtà il motivo principale del viaggio riguarda la ricerca di tre rulli di negativi del 1905 ("Le tessitrici") ancora da sviluppare. Le pellicole sono state girate dai fratelli Manakias suoi connazionali: veri e propri pionieri del cinema greco.
I rulli sono molto importanti per A. perché racchiudono gli ultimi sguardi innocenti di alcuni lavoratori con tratti espressivi tipici di un'altra epoca. Forse quelle tre pellicole sono l'unica testimonianza, di fine ottocento, di immagini in movimento legate agli abitanti di quei luoghi. I filmati racchiudono l'immagine di alcune tessitrici di origini macedone, intente a svolgere con disinvoltura e grazia il loro lavoro di filatura.
Per sviluppare i rulli occorreva una formula chimica di difficile composizione. La guerra in corso rendeva ancora più difficoltoso il reperimento di quei componenti chimici così necessari alla soluzione della formula.

"Lo sguardo di Ulisse" (gran premio della giuria a Cannes) si svolge nel periodo della guerra serbo-bosniaca-croata (inizi anni '90).
Il film svolge sia il tema dell'itinerario delle passioni umane e dell'avventura, che della questione dell'isolamento dell'eroe (in questo caso l'artista cineasta). Angelopoulos prende spunto per il film da alcune sue interpretazioni visive del famoso libro di Omero: "L'Odissea". Al centro della sua opera c'è l'emotività del ricordo: quella che nasce dalla nostalgia dell'esule. Una nostalgia causata dal suo viaggio verso l'ignoto: che è difficoltoso anche nel ritorno in patria, perché durante l'assenza tutto è cambiato e non si sa più dove fermarsi.
L'opera di Angeloupolos ha, rispetto al libro di Omero, un diverso finale; meno prevedibile e più aperto.
A. arrivato a Ptolemais scopre che il suo film ha suscitato nei religiosi ortodossi violenti isterismi: la stessa cosa è accaduta durante le proiezioni nel resto del mondo.
Il film, rifiutato in sala per motivi di ordine pubblico, viene proiettato nella piazza principale della città, nonostante una pioggia insistente, e gli altoparlanti mal sospesi sulle pareti dei palazzi.
La pellicola è stata giudicata in modo controverso dai cittadini di Ptolemais. Si sono formate nella città due fazioni contrapposte di cui una condivide l'opera di A. mentre l'altra, di religione ortodossa, è molto polemica tanto da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine. Il tono critico e ideologico delle fazioni sembra preannunciare allo spettatore le gravi divisioni politiche, etniche e religiose che si presenteranno nel breve nei Balcani e che accompagneranno gran parte del film.

Il montaggio della pellicola non si basa su una normale successione di inquadrature, filmate come accade in molti film in numero sufficiente da consentire di creare il corpo filmico principale, ma su una costruzione scenica costituita da numerosi e lunghi piani sequenza: spesso composti da scene dove i personaggi sono ripresi con movimenti della macchina da presa a semicerchio. Ciò consente una maggiore familiarità visiva con i personaggi, tale da far avvertire nello spettatore un senso di potenziale penetrabilità nelle scene.
Da notare che i numerosi flash back avvengono senza un distacco dalla scena che è già in corso ma con un prolungamento della stessa in un tempo diverso, di solito legato al passato, dove vengono conservate intatte le sembianze reali dei personaggi. Ciò procura un coinvolgimento sia emotivo che estetico nuovo; esso è più apprezzabile del flash back perché non c'è uno stacco dal regolare fluire visivo in corso. La dissolvenza e lo stacco scenico procurato dal flash back, hanno funzioni didascaliche, e sono mal sopportati dallo spettatore. Meglio l'idea di Angelopoulos di non dissolvere la scena del presente ma di prolungarla ambientata in un altro tempo della stessa storia. La continuità narrativa ne giova. Questa tecnica mostra aspetti del passato come nel flash back ma nello stesso tempo migliora l'intensità delle attese.

Il film è dedicato all'attore italiano Gian Maria Volenté, morto dopo alcuni giorni di ripresa e sostituito nella parte di Ivo Levi (il cinetecario anziano di Sarajevo) dall'attore Erland Josephson.
A Cannes 1995 questo bellissimo film ha ottenuto solo la palma d'oro come gran premio speciale della giuria, situandosi al fianco dell'altro grande film "Underground" che vinse come miglior film. Un'opera quindi poco premiata.
Un film che in sintonia con la tragica storia in corso era riuscito nel suo intento principale di essere poetica della nostalgia.
"Lo sguardo di Ulisse" è una scrittura che si cala coraggiosamente, senza speranza, tra gli interstizi di un'etica offesa e umiliata, lo fa rinunciando a forme retoriche già collaudate e senza trascurare il vero più crudo che la storia rilascia.
Da ricordare di Angelopoulos anche "Alessandro il grande" (1980), "Il passo sospeso della cicogna" (1991), "L'eternità e un giorno" (1998), "La sorgente del fiume" (2004).

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 21/09/2006

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