Recensione nebraska regia di Alexander Payne USA 2013
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Recensione nebraska (2013)

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Miglior attore (Bruce Dern)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior attore (Bruce Dern)
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locandina del film NEBRASKA

Immagine tratta dal film NEBRASKA

Immagine tratta dal film NEBRASKA

Immagine tratta dal film NEBRASKA

Immagine tratta dal film NEBRASKA

Immagine tratta dal film NEBRASKA
 

Woody Grant (Bruce Dern) è un vecchio e povero pensionato, taciturno e dallo sguardo fisso, lontano dalle cose, il suo volto inespressivo ricorda per certi aspetti quello assente dal reale di alcuni malati di mente fotografati negli ospedali psichiatrici degli anni '70.
Woody abita con la moglie Kate (June Squibb) e due figli Ross (Bob Odenkirk) e David (Will Forte) a Billings nel Montana. Il vecchio pensionato è un ex conduttore di officina per auto; 40 anni di lavoro non gli hanno procurato alcun risparmio, vorrebbe lasciare qualcosa ai figli, ma non può permetterselo, inoltre ha vecchi conti da pagare a parenti e amici, debiti che la moglie, non senza suscitare un po' di ilarità generale, considera del tutto saldati perché suo marito, da lei ritenuto un uomo di grande generosità e capacità lavorativa, ha prestato più volte la sua manodopera di mestiere a tutto il vicinato.

Woody Grand nella breve vita che gli è rimasta davanti, ama avere soprattutto soddisfazioni di lavoro, anche se le sue condizioni fisiche sono sempre più precarie. Woody desidera poter comprare un giorno almeno un compressore e un furgone moderno. Un sogno, che il suo inconscio tiene in piedi donandogli speranze un po' irrazionali, cioè illusioni in un certo senso sagge, poetiche, ancorate per alcuni aspetti ai significati più ovvii della vita quindi non del tutto folli, che riescono a tenerlo lontano dalle angosce più paralizzanti.
Woody crede che nel suo breve futuro di vita possano ancora irrompere, magari per vie diverse, svariate fortune.

Un giorno il figlio minore, David, che lavora in un negozio di elettrodomestici, viene contattato dalla polizia per ricevere notizie su suo padre. Il ragazzo viene informato che il genitore è stato trattenuto negli uffici della polizia perché sorpreso a camminare confusamente per la strada che da Billings conduce in Nebraska verso la città di Lincoln, città quest'ultima che Woody vuole assolutamente raggiungere, situata a circa 700 kilometri di distanza dal punto di residenza del pensionato.
La stranezza di quel comportamento trova subito nei suoi familiari una chiara spiegazione. Il vecchio ha ricevuto per posta una delle tante lettere pubblicitarie, che invitano i cittadini ad abbonarsi ad alcune riviste. La missiva, con una impostazione tipica del marketing più astuto, sottolinea tutti i vantaggi che derivano dall'abbonarsi, compresa la possibilità di vincere per sorteggio ben un milione di dollari.

L'anziano, per una sorta di lapsus freudiano di lettura, forse originato da un desiderio inconscio divenuto una bozza di forma onirica, teso a compensare in qualche modo la sua triste condizione economico- sociale, legge male la lettera scambiando le parole della possibile vincita con quelle più rassicuranti di aver vinto.
Il figlio David, intelligentemente, sostiene l'illusione che si è impossessata del padre, avvertendo che così il genitore può rimanere per un certo tempo costantemente su di tono, e quando il vecchio gli chiede di accompagnarlo con l'automobile a Lincoln per intascare la vincita, non pensa affatto di dirgli di no.

Questo film di Alexander Payne, originario del Nebraska, girato in bianco e nero, stupisce per come riesce a tenere desta l'attenzione del pubblico, nonostante sul piano del ritmo non si ponga certo a livelli di ricerca e risultati estetici sufficienti. Potrebbe essere considerato essenzialmente un film d'Essai, ma ha trovato invece sui canali commerciali multisala un certo apprezzamento che ne incoraggiano la prosecuzione della distribuzione anche in quei circuiti.
Ma allora qual è di questo film la chiave del suo misterioso successo? Indubbiamente esse sono diverse, ma una brilla in particolare, ed è quella che sta nella capacità di narrare, espressa in una forma impregnata di sincerità e fedeltà al reale dei nostri tempi, lontano quindi da effetti eclatanti ed esteriori o da nuove ideologie propagandistiche e totalitarie.

Il film è semplice nei contenuti ma efficace per quanto riguarda gli effetti che essi procurano, il racconto mette sovente al centro delle scene o sullo sfondo una carica di umanità autentica, fatta di piccoli ma significativi gesti, eseguiti dai protagonisti in situazioni cruciali e a volte divertenti, essa è ben messa a fuoco, riconoscibile e confrontabile con ogni nostro punto di osservazione quotidiano.
Una carica che non può non suscitare una potente empatia grazie a tutti quegli anziani al tramonto che vivono nella tristezza, ma dignitosamente, amando ancora la vita. Un'empatia che trasporta lo spettatore verso lidi privilegiati, di intensa osservazione, al riparo da sguardi altrui, luoghi dove essi possono assistere a certe scene del tutto privi di freni inibitori e riconoscersi come individui etico-solidali: senza più indossare cioè le faticose maschere dell'esorcizzazione dell'immagine della povertà altrui, aspetto quest'ultimo sempre più diffuso in occidente.

Grazie alla bellezza discorsiva che anima questo film, può presentarsi nello spettatore medio un'idea nuova di civiltà: qualcosa che possa accostarsi al mondo degli anziani poveri, senza più il timore di rimanerne in qualche modo contaminato, devitalizzato, o intristito.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 23/10/2015 17.18.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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