luci della ribalta regia di Charles Chaplin USA 1952
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luci della ribalta (1952)

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locandina del film LUCI DELLA RIBALTA

Titolo Originale: LIMELIGHT

RegiaCharles Chaplin

InterpretiSidney Chaplin, Claire Bloom, Buster Keaton, Charles Chaplin

Durata: h 2.25
NazionalitàUSA 1952
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1973

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Trama del film Luci della ribalta

È stato un clown di successo, ma ora ha perso il suo pubblico e cerca consolazione nell'alcol. Un giorno salva dal suicidio Teresa, una giovane ballerina che una crisi psicologica ha reso incapace di muovere le gambe. Calvero riesce a ridarle il gusto della vita e ora è lei che cerca di aiutare l'anziano clown.

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Voto Visitatori:   9,12 / 10 (62 voti)9,12Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Miglior colonna sonora
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior colonna sonora
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Voti e commenti su Luci della ribalta, 62 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  25/12/2013 12:20:45
   10 / 10
C'è una sorta di meta-emozione a commentare questo film. Il fatto che anche ora, dopo più quarant'anni il capolavoro finale, assoluto di Charlie Chaplin ti renda le dita instabili, mentre corrono sulla tastiera, e devi tirare fuori da un cervello che la magia evocata da quell'artista non riesce mai ad afferrare, poche parole, quello che per un uomo come sei ha significato questo film.

Ogni parola non può significare ciò che è riuscito a fare Chaplin con il suo "Limelight". Esprimere in forma di immagini, di carne viva di celluloide il suo vissuto di attore e autore. Nessuno, diceva Bazin in un suo memorabile e commuovente articolo, è stato in grado nella cavalcata dell'uomo novecentesco verso la forma terminale del cinema, di compiere l'operazione intellettuale, umana e artistica di Chaplin. "Limelight" è il viaggio al termine del cinema. E' un film in cui i piani consueti della metafisica si sono scombinati, si sono intrecciati, hanno idealizzato un'idea in un unicum artistico di meravigliosa e insuperabile bellezza e profondità. Limelight è un capolavoro sconvolgente perché è l'autonarrazione di una vita e delle sue molteplici possibilità, ma lo è vincolata a un referente vero: l'uomo-Chaplin. Che muore sullo schermo, sublimando la propria esperienza di uomo di cinema mettendo a nudo ciò che sta oltre il palco. E' la prima vera autobiografia che si perde nella metafisica larga e inafferrabile del mondo dell'immaginazione. Calvero è allo stesso tempo ciò che non è e ciò che avrebbe potuto essere Chaplin, nella sua vecchiaia. Una meditazione universale sull'artista, sul pubblico e sui committenti (le tre anime dell'arte secondo Gombrich) canalizzata nella propria esperienza. Chaplin smentisce ogni luogo comune sull'autobiografismo, mettendo se stesso in un personaggio che ha pericolose somiglianze con lui e la sua carriera. Gli affida ogni sua idea irripetibile, ogni suo sogno, ogni sua ambiguità, ogni sua velleità e lo travolge con la morte. E' una morte di artista, ma forse anche suicidio, o omicidio. Bazin parlava non a torto di "morte di Moliére", sottolineando come Chaplin sia riuscito ad andare oltre, a sconvolgere l'ontologia del mezzo cinematografico. A parlare del segreto, di ciò che si sarebbe dovuto tacere poiché impossibile da asserire, il convulso rapporto che ci lega all'idea di attore, all'idea di mitologia, di genio cinematografico e artistico, a quel lavorìo della vita e dell'invecchiare che tocca la nostra condizione metafisica di esseri umani. L'abuso della parola "metafisica" si rende inevitabile quando un uomo riesce a toccare i più intimi e sconvolgenti temi della nostra vita cognitiva e interiore, il problema dell'ispirazione, delle sostanze stupefacenti, degli amori idealizzati, della distonia tra l'insopprimibile bisogno di avere dei modelli e riconoscere che nessun modello è quello che a noi si confà, alla dicotomia tra corpo e anima, l'uno destinato all'invecchiare, l'altra sempre giovane (il mito greco di Tithono e Aurora) ad amare ciò che è immortale, e il conforto degli amici e colleghi, anche loro destinati a essere malvoluti dal pubblico, e la natura di questo pubblico, che non è solo il pubblico dell'artista, ma anche quello da cui ogni giorno ci nascondiamo creando false identità, annegandoci nell'azione pacificatrice e distruttrice di una molecola.

Siamo alle fasi finali di un uomo molto intelligente, un genio, che riflette sugli stessi nostri temi universali, sulla nostra banale vita intelligente, sugli uomini e le donne che la popolano, sul dolore e l'angoscia sorda che accompagnano la nostra solitudine, e poi c'è la messa a nudo delle angosce di un artista destinato a invecchiare, dietro il trucco (magnifica la scena in cui si lava via il belletto), dietro l'alcool, dietro ogni sconto che fa alla sua mancanza di ispirazione che, come una donna malata e insicura, visita i nostri sogni restituendoci solo il sapore amaro di un'ambiguità che si esprime sotto la presa di una domanda sconvolgente e che con tanto dubbio accompagna la nostra nascita, la nostra vita sulla terra e il nostro morire, dietro a un palco, con la scialba compagnia degli amici e colleghi di sempre: "Sono o non sono artista?".

2 risposte al commento
Ultima risposta 12/03/2014 15.42.53
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