"Pulp Fiction", oltre a essere un ottimo film da guardare per divertirsi e passare una piacevole serata cinematografica, è probabilmente il film che passerà alla storia del cinema come quello che stilisticamente ha chiuso il cinema del XX secolo per iniziare quello del nuovo millennio.
E' forse il film che meglio di tutti sintetizza il modo postmoderno di pensare e rappresentare il mondo. In qualche maniera lo possiamo considerare un vero e proprio manifesto di questa corrente culturale, che ha segnato indelebilmente gli anni '90 del secolo scorso e di cui anche oggi sentiamo gli effetti.
Essendo un'opera molto importante, vale la pena spendere alcune parole in più e analizzarla accuratamente, partendo proprio da quello che è il suo cuore: lo stile.
"Pulp Fiction" si regge infatti per lo più su di un sottile e pervasivo gioco stilistico fatto di piccoli cortocircuiti estetici, i quali creano una sorta di sorpresa continua che intriga e coinvolge lo spettatore.
Allo stesso tempo si impiega la massima cura per estraniare e sviare lo sguardo e l'emotività dello spettatore dalla pura immagine che appare sullo schermo, portandolo a fare attenzione non a ciò che vede ma a come lo vede. Le situazioni contano più che altro per come sono presentate, piuttosto che per quello che mostrano. Basilare è poi il gioco dialettico fra il contesto stilistico delle scene di "Pulp Fiction" e le icone culturali cinematografiche di cui gli spettatori postmoderni (quali noi ormai siamo) sono ampiamente nutriti.
La forma, la struttura stilistica con cui si svolge il film è la sua stessa sostanza, la fonte da cui discendono tutti i significati e i messaggi del film. Per questo per capire a fondo "Pulp Fiction" non si può fare a meno di studiare a fondo il modo con cui vengono presentate le varie scene.
In pratica è già tutto contenuto in nuce nelle prime due scene. Il "cortocircuito" della prima scena avviene tramite il contrasto stridente fra l'identità dei personaggi, il linguaggio che usano, il luogo in cui si svolge la scena, il tipo di illuminazione e di ripresa e i riferimenti a situazioni e scene similari che sorgono spontaneamente nella mente dell'appassionato cinefilo.
La sorpresa nasce nel vedere dei piccoli malviventi, personaggi tipici dei film thriller o di avventura, gesticolare e parlare come fossero persone comuni appartenenti ai bassi strati della società americana. La percezione di avere di fronte dei piccoli malviventi comunque non viene persa, semplicemente rimaniamo interdetti nell'udire dalla loro bocca discorsi e locuzioni più consoni ad arguti ragazzotti di periferia. Il contrasto con la tradizionale situazione drammatica thriller è dato anche dalla fotografia nitida, chiara e diurna e dall'ambientazione normale e quotidiana, quale quella di un tipico bar americano.
Il tipo di scena richiama invece chiaramente situazioni appartenenti alla tradizione; infatti l'appassionato di cinema non si farà certo sfuggire il richiamo a Bonnie e Clyde in "Gangster Story" di Arthur Penn.
Abbiamo quindi mescolati e uniti fra di loro una forma iconica e semplificata proveniente dall'immaginario collettivo cinematografico (una scena thriller) e una sostanza iperrealista (tipi di periferia). Occorre specificare che in "Pulp Fiction", anche se le tecniche di ripresa richiamano la realtà comune, non si fa mai riferimento a situazioni e linguaggi reali (cioè banali, neutri, semplici) ma sempre e solo ad un registro iperreale. In altre parole si opera in direzione di una tipizzazione spinta del reale, da cui si estraggono gli aspetti estremi (mafiosi, drogati, spacciatori, mantenute, perversi) e esteriormente anticonvenzionali (continua intercalazione di parolacce), conditi da arguzie e battute che rendono il tutto attraente e affascinante.
La prima scena ci fornisce quindi una prima idea della struttura formale del film: un arguto contenuto iperrealista anticonvenzionale, nobilitato dalla forma che richiama le icone dell'immaginario cinematografico collettivo, reso plausibile e convincente dalla tecnica di ripresa tranquillizzante e realistica.
Una volta stabiliti i termini estranianti e formalistici del film, la seconda scena (il viaggio e la missione di Jules e Vincent) introduce il tema cardine del film, cioè la rappresentazione indifferente ed estetica della violenza e della diffusa "decadenza" morale.
Tarantino ha l'accortezza di far arrivare lo spettatore adeguatamente preparato al primo scoppio di violenza. All'inizio infatti facciamo la conoscenza di due tipi di bassa lega vestiti elegantemente, che discorrono in maniera arguta, colorita e tipizzata di argomenti anticonvenzionali e futili allo stesso tempo. Lo scopo è quello di catturare tramite l'assurdo, l'ironico e lo "scorretto", l'attenzione e la simpatia dello spettatore. Quest'atmosfera semiseria ci accompagna anche quando diviene chiaro che i due sono dei gangster in missione. L'assurdo e l'ironico si applicano perciò per inerzia anche a quello che segue, dove l'impatto di un atto estremo e drammatico, come quello di uccidere a sangue freddo delle persone inermi, viene annullato e sterilizzato, privato del contenuto drammatico e trasformato in espediente stilistico per un originale e insolito intrattenimento.
La forza sta tutta nel fatto che l'atto non viene annullato del tutto, mantiene comunque la sua identità (è pur sempre un'esecuzione a freddo) ed è questa consapevolezza mantenuta e curata che rende emotivamente esplosive le battute idiote, i giochi sadici e le uccisioni. Sappiamo che è violenza, ma allo stesso tempo ne gioiamo, ne godiamo amabilmente. E' così forte l'estraniamento, il cortocircuito stile-immagine che restiamo come anestetizzati nei confronti del dramma, ammaliati e ammirati per come e per cosa si osa ridere e godere.
Tarantino poi ha l'abilità di farci apparire all'improvviso le vittime, di non rivelarci nulla della loro identità. Proviamo perciò indifferenza nei loro confronti: sono percepiti come personaggi di un film, non come persone vere. Agli spari non segue alcun gemito, in questa prima scena non si vede neanche una goccia di sangue. Insomma, chi se ne frega se muoiono. "Uno di cui non sentiremo la mancanza", viene detto di questi personaggi in un'altra scena del film.
Le prime due scene forniscono quindi un'introduzione perfetta allo spirito e allo stile del film. Il resto sarà un susseguirsi di scene apparentemente staccate fra di loro, le quali disegnano in ogni caso un saliscendi di tensione con divertimento e di divertimento con tensione.
A questo punto entra in scena l'altro elemento fondante del film, cioè la particolare logica temporale e narrativa con cui viene trattato il materiale filmico. L'ordine e la sequenza con cui sono presentate le scene ha maggiore rilevanza rispetto a ciò che accade nelle medesime. Anche in questo caso il come prevale sul cosa.
Infatti in sé il film non è che narri niente di speciale, ma lo fa in maniera molto varia, ironica e fantasiosa. Si raccontano infatti due giorni abbastanza movimentati nella vita di due affiliati a una cosca malavitosa molto potente di Los Angeles (Jules Winnfield e Vincent Vega), e di un pugile da quattro soldi (Butch Coolidge). I due malavitosi si recano di buon ora ad espletare un regolamento di conti (come se fosse una normale mansione impiegatizia) e a ritirare una valigietta dal misterioso contenuto. Un incidente "banale" (un colpo partito accidentalmente fracassa la testa di un ostaggio) impone loro una sosta per ripulire l'auto. Un altro intoppo avviene al bar in cui fanno colazione (incrociano una coppia in vena di imprese criminali). La missione è comunque compiuta e la valigetta viene consegnata al capo della cosca (Marsellus Wallace) mentre questi si accorda per un incontro di boxe truccato con un pugile di nome Butch. La sera successiva Vincent Vega accompagna la moglie di Marsellus (Mia Wallace) a ballare in un locale di revival. Anche lì un "intoppo" movimenta la serata.
Dopo un lasso di tempo non definito, Butch non mantiene la parola all'incontro di boxe e cerca di fregare Marcellus. Anche la sua vicenda si complica con "intoppi" di vario genere (fra cui l'uccisione di Vincent Vega e l'incontro con una coppia di maniaci sessuali) ma avrà un suo "lieto" fine.
Questo è lo svolgimento ordinario e ordinato dei fatti. La singolarità di "Pulp Fiction" è che i fatti non avvengono nel loro ordine cronologico e narrativo, ma sono mostrati tutti rimescolati fra di loro (con un paio di episodi che sono addirittura interrotti e poi ripresi successivamente). Questa tecnica singolare (non nuova, perché tentata in passato già da altri registi) nel contesto del film assume soprattutto il significato di far identificare il film come prodotto "artistico", cioè elaborato intellettualmente ed esteticamente, dotato di strutture stilistiche singolari e originali, che fanno a meno dell'ordine narrativo sequenziale o di causa/effetto. Il film infatti rovescia espressamente e volutamente le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione.
In realtà un ordine e una logica ci sono e non sono neanche tanto difficili o complessi. Essendo un film che punta tutto sul come più che sul cosa, è proprio l'unità stilistica quella che cementa tutto il film e ne fa un'unità compatta e coerente. Il susseguirsi "casuale" di scene e personaggi, con lo scorrere del film, finisce per non meravigliare più, viene percepito come quasi naturale, proprio per il fatto che cambiano i personaggi, cambiano le situazioni, ma non cambia il tipo di linguaggio, il comportamento tipizzato, il verificarsi di intoppi vivacizzanti ed entusiasmanti. Atmosfera e stile si sostituiscono a tempo e spazio, divertimento e spettacolo a messaggio e riflessione.
C'è da dire che la struttura temporale e sequenziale viene comunque mantenuta scrupolosamente e strettamente nei singoli episodi, dove l'ora dell'orologio e il tempo occorrente viene messo continuamente in rilievo. Il tempo poi è usato finemente per stimolare la tensione nello spettatore. Infatti in molte scene ricche di suspense (quella dell'overdose, quella della pulizia dell'auto) i personaggi si perdono in chiacchiere o in battute, non si sbrigano, traccheggiano. Questo è un altro dei tipici cortocircuiti stilistici che animano il film.
Nonostante questi elementi "normalizzanti", la struttura artistica di tipo intellettuale rimane riconoscibile e come tale viene percepita. Solo che a differenza di strutture artistiche intellettualizzanti utilizzate in passato (come ad esempio quelle di "Un chien andalou", di "L'anno scorso a Marienbad", di Tarkovskij o del tardo Godard) che richiedevano di astrarre completamente da forme di comprensione razionale e comune e che si affidavano all'intuito metaforico, all'emozione, alla conoscenza filosofica degli universali umani, "Pulp Fiction" fa semplicemente appello alla memoria, all'intuito di natura enigmistica come quello occorrente per comporre un puzzle, un rebus o una sciarada. Richiede quindi capacità intellettive relativamente comuni e alla portata di tutti, non occorrono conoscenze scolastiche approfondite o acume specialistico, non bisogna scomodare l'irrazionale.
E' quindi un film che dà allo spettatore comune la soddisfazione di poter assistere a un film recepito come film artistico e di poterne agevolmente possedere le chiavi. Anche in questo caso incontriamo la caratteristica fondante di "Pulp Fiction", cioè quella di impiegare come forma elementi esterni culturalmente rilevanti e riconoscibili, tipizzarli, svuotarli e riempirli di cultura spicciola di larga diffusione.
Altro elemento formale che caratterizza il film e lo fa identificare come un prodotto elaborato intellettualmente è il lavoro di ridefinizione dei generi cinematografici tradizionali e il loro rimescolamento in qualcosa di stilisticamente nuovo. Se si sta attenti al tipo di situazioni narrate, al particolare posizionamento dei personaggi e della macchina da presa, diventa subito chiara l'intenzione di Tarantino di riferirsi volutamente a inquadrature, scene e situazioni simili, già rappresentate in film del passato. I riferimenti intenzionali potrebbero essere molti. Alcuni si riferiscono a film famosi e conosciuti, altri a opere più di nicchia e note solo ai cinefili esperti. Anche qui si fa appello a specializzazioni mnemoniche e al gusto ludico-intellettivo di natura enigmistica, stimolando in pratica una specie di sfida a chi indovina più "citazioni".
Normalmente vengono richiamati i film cosiddetti "di genere", che andavano molto in voga durante gli anni '60-'70. La loro caratteristica saliente era quella di puntare soprattutto sull'effetto estremo che producono certe immagini e certe storie sull'emotività dello spettatore. Erano per lo più film con paura, orrore, violenza, sadismo, comicità grossolana, sesso e perversioni varie. Nonostante la tipizzazione e la ricerca del facile effetto, molti di questi film erano prodotti di interesse e valore, in quanto mettevano spesso in scena personaggi a volte intensi e drammatici e soprattutto, in alcune pellicole, veniva conferito un notevole ruolo al contesto sociale e economico, chiaramente in relazione alle turbolenze di allora. Erano insomma documenti molto interessanti di un'epoca.
L'operazione di Tarantino, anche in questo caso, è quella di scartare il succo e di utilizzare solo la buccia. Il materiale preso in prestito viene adeguatamente svuotato del suo contenuto e tenuto in vita solo come semplice simulacro iconico.
C'è da dire che Tarantino ha l'abilità di usare i riferimenti in maniera da non esagerarli o distorcerli, lasciandoli in ogni caso riconoscibili per quello che erano. In altre parole le sue citazioni non si trasformano quasi mai in parodia (a parte la scena dell'orologio tenuto nascosto per lunghi anni nel deretano), ma diventano degli efficacissimi "richiami", dove senza alcuno sforzo si impiega materiale creato da altri per arricchire e nobilitare il proprio soggetto.
Il risultato è una specie di fluido scorrere indifferenziato di frequenti accenni meta-stilistici di vario genere, in ogni caso abilmente filtrati e adattati alla scena effettivamente in svolgimento. Si tratta in pratica di uno stile nuovo, dove diversi registri si succedono, si fondono fra di loro, rappresentando solo l'immagine di se stessi. Oltre all'effetto estraniante e distanziante (si percepisce più il come che il cosa), lo scopo è sempre quello di nobilitare, ricoprendolo con le nostalgiche vesti delle gloriose tradizioni dell'intrattenimento del passato (rinvivite spesso ad hoc), il banale e lo spicciolo di bassa estrazione, cioè l'intrattenimento del presente.
Anche il modo con cui sono gestiti i personaggi nel film è in linea con il disegno generale di catturare lo spettatore, fornendogli uno svago il più terra-terra possibile, abbellito da riferimenti "artistici", evitando ogni tipo di implicazione secondaria diretta (messaggio etico, approfondimento sociale o esistenziale).
Di Jules e Vincent (e degli altri personaggi) non sappiamo in pratica niente, se non pochi accenni del loro presente. Sappiamo tutto invece dei loro gusti, ma niente di cosa pensano, cosa sentono dentro. Agiscono solo per quello che serve al film e basta, la loro storia non ha alcun'altra implicazione. Sono dei tipici personaggi a due dimensioni, delle figure tipizzate, con poco spessore interiore. Per quel "poco" che è richiesto ai personaggi, gli attori si comportano in maniera egregia, recitandoli comunque in maniera naturale e credibile (soprattutto Samuel L. Jackson).
Qualche personaggio mostra accenni di complicazione di tipo etico. Jules, ad esempio, nel finale imbastisce una specie di "conversione", presa sul serio da molti critici cinematografici. Per come è presentata la "conversione" e per come continua a comportarsi il personaggio dopo la "rivelazione", si capisce che è di chiara natura ironica e da non prendersi sul serio.
Di natura ironica sono anche le implicazioni etiche che ha la storia del pugile Butch, in cui in maniera semiseria si prendono in giro i valori nazionalistici americani, mostrandone le doti eroiche condensate in un comune orologio e la virtù guerresca che si riduce a truffare un malvivente.
L'ironia è comunque onnipresente e colpisce inesorabilmente tutti i personaggi, facendoli apparire come dei semplici burattini con i fili mossi da Tarantino.
Un personaggio che però fa decisamente eccezione è quello di Mia Wallace e questo grazie esclusivamente all'interpretazione di Uma Thurman. Questa bravissima attrice non ci rende un personaggio, ma un essere umano. Lo si vede da come varia continuamente di espressione, dalla profonda espressività dei suoi sguardi, dalla naturalezza e spontaneità dei suoi sorrisi, dai piccoli movimenti e dai gesti molto umani perché apparentemente casuali (come giocherellare con un accendino). Si sente benissimo che c'è qualcosa di inespresso dietro il suo comportamento. E' come se chiedesse allo spettatore di cercare, di guardare dentro il suo animo, di interpretarne le inquietudini. Certamente fa trapelare noia, insoddisfazione, la ricerca di qualcosa di "diverso", qualcosa di più profondo delle solite vuote chiacchiere. Desidera "contenuto", non vuole solo forma. Involontariamente fornisce una chiave di critica al film e ne evidenzia la funzione di "copertura" di un profondo vuoto.
Tutta la scena che si svolge al Jack Rabbit Slim's è comunque importantissima e fornisce quasi tutte le chiavi estetiche e contenutistiche con cui interpretare e inquadrare il film, soprattutto al di là di ciò che vorrebbe mostrare e di ciò che vorrebbe essere.
Altra colonna portante del film è la colonna sonora, composta per lo più da canzoni degli anni '70. Diciamo che la sua funzione è quella di contribuire all'atmosfera vintage con cui vengono caratterizzate quasi tutte le scene del film. E' uno degli elementi portanti dei piccoli cortocircuiti presente-passato che contrappuntano quasi tutte le scene del film. In altre parole, vediamo un accadimento ambientato nel presente ma lo stile figurativo e la musica ce lo collocano idealmente nel passato o almeno stimolano il nostro "ricordo" di suoni e figure del passato. La musica quindi è un altro elemento di estraniamento fra ciò che si vede e come lo si vede. Inoltre contribuisce in maniera fondamentale a creare la sensazione di unità formale trasmessa dal film nonostante il suo andamento spezzettato e apparentemente casuale.
Un altro elemento formale importante da tenere presente è la traduzione e il doppiaggio della versione italiana. Si tratta forse di uno dei pochissimi casi in cui il film nella sua versione doppiata non perde quasi niente rispetto all'originale, anzi probabilmente acquista tratti e sfumature di cui addirittura l'originale era privo.
Infatti la traduzione e il doppiaggio aggiungono al film caratteristiche tipicamente italiane, le quali rendono il film più comprensibile e vicino alla nostra sensibilità. L'operazione era probabilmente necessaria, visto che è impossibile riportare integralmente in un'altra cultura lo spirito di un film così spiccatamente americano come "Pulp Fiction". Per come è stato tradotto e doppiato, addirittura forse migliora la versione originale, certamente la rende più ricca e vivace.
Facciamo alcuni esempi. Sembra strano, ma il gergo americano ha una ristrettissima gamma di parolacce. In pratica si riducono ai soli "fuck", "motherfucker", "shit". Nella versione italiana queste parole particolari sono tradotte invece con una gamma molto più estesa di termini e con maggiore varietà e fantasia.
Confrontiamo il dialogo fra Marsellus e Butch nella sua versione americana e italiana:
"I think you're gonna find when all this shit is over and done, I think you're gonna find yourself one smiling motherfucker. (...) Your days are just about over. That's a hard motherfucking fact of life. But it's a fact that your ass is gonna have to get realistic about. See, this business is filled to the brim with unrealistic motherfuckers. Motherfuckers who thought their ass would age like wine. (...) The night of the fight you may feel a slight sting. That's pride fucking you. Fuck pride! Pride only hurts, it never helps. Fight through that shit!"
"Penso che ti ritroverai quando tutta questa merdata sarà finita, penso che ti ritroverai a essere un figlio di puttana sorridente. (...) Il tuo talento sta per finire. Ora, questa è una merdosissima realtà della vita. Ma è una realtà della vita davanti alla quale il tuo culo deve essere realista. Vedi, questa attività è stracolma di stronzi poco realisti, che da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. (...) La sera del combattimento forse sentirai una piccola fitta. E' l'orgoglio che ti blocca il cervello e te lo mette nel culo. Mettiglielo tu nel culo. L'orgoglio fa solo male, non aiuta mai. Supera certe cagate."
Notiamo che i concetti di "shit" e "motherfucker" sono riportati in italiano con più termini, inoltre il verbo "fuck" in americano è usato indistamente sia per uomini che per donne, mentre in italiano si usano espressioni e sfumature diverse (quindi più varie e più ricche).
Molto interessante è confrontare anche il tono di voce originale che usano Vincent e Jules nella seconda scena, in cui si parla di usi e costumi europei, con quello che usano i doppiatori italiani. Nell'originale Travolta e Johnson parlano piano, quasi sottovoce, con tono monotono, distaccato, quasi duro, strascicando le parole. Nella versione italiana appaiono molto più baldanzosi e vivaci, hanno un tono di voce più colorito ed espressivo. Non sembrano gli stessi personaggi. Nella versione americana si dà alla scena un che di gangsteristico, l'accento è sul fatto che si tratta di gente dura e di mestiere; nella versione italiana invece la scena acquista una patina più comica, da commedia all'italiana, e i personaggi appaiono più umani e simpatici. In generale la versione italiana appare più vivace e scanzonata, mentre quella americana è più secca e dura.
Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 31/10/2012