Osservavo pensieroso il fumo della mia sigaretta che inondava la stanza, come danzando tra spirali infinite, e compresi che era stata una cazzata gettarla ancora accesa nel cestino delle cartacce. Mentre riflettevo sulle differenze tra le volute di fumo e le danze degli storni sopra il Tevere (la principale delle quali era che le volute di fumo non ti scacazzano in testa se ci passi sotto), irruppe nella stanza la mia segretaria. Il suo nome era Alice, ma la chiamavamo tutti Trota perché amava accoppiarsi risalendo i fiumi.
“Samuele ma che cazzo ti guardi, non vedi che il cestino sta prendendo fuoco?”
Cara, vecchia Trota. Il suo linguaggio schietto e colorito mi metteva sempre di buon umore, quando non era accompagnato da violenti schiaffi. Oddio, avrei potuto sopportare anche quelli, se lei non avesse usato un tirapugni regalatole da uno spacciatore russo suo ex.
“In realtà no, non riesco a vedere bene col fumo negli occhi”, risposi sincero. Lei mi sputò in un occhio. Fu una mossa sciocca, dal momento che non ero io ad andare a fuoco. Senza contare che una così misera quantità di saliva non sarebbe stata comunque sufficiente a spegnere l’incendio. Stavo per farglielo notare, quando mi accorsi che aveva il tirapugni in tasca.
Poi finalmente gettò dell’acqua nel cestino, placando le fiamme. “Samuele così non si può più andare avanti. Tu te ne stai qui tutto il giorno a non fare una mazza, e intanto le bollette chi le paga?”, mi urlò contro rancorosa.
“Tu, è per questo che ti prostituisci”, fui costretto a replicare, riportandola con i piedi per terra.
Conobbi Trota ormai 5 anni fa, quando aveva solo 20 anni ma a causa della concorrenza thai ne dichiarava 16. Faceva la prostituta d’alto bordo, ma era penalizzata dalla voce roca, il ventre prominente, la folta peluria sul volto ed il pomo d’Adamo. Ma anche il fatto che avesse il pene non è che deponesse molto in suo favore. In effetti non è che guadagnasse granché, come prostituta d’alto bordo, ripensandoci. E forse fu proprio per questo che accettò di lavorare come mia segretaria. L’annuncio diceva “Cercasi segretaria esperta bella presenza”, ma lei non si fece scoraggiare, era analfabeta.
Ricordo ancora il colloquio. “Salve, signorina Alice”, le chiesi sorridendole nervosamente. “Alice è il mio cognome, mi chiamo Guido. Ma tu puoi chiamarmi Trota, per motivi che ti spiegherò domenica, al picnic al fiume che sto organizzando”. In realtà devo ammettere che all’inizio non ero molto convinto delle sue capacità. Ma poi fui costretto ad assumerla, perché qualcosa dentro di me mi diceva che il nostro sarebbe stato un proficuo sodalizio. E poi temevo che quella protuberanza nei pantaloni fosse una pistola.
E così eccoci qua: una segretaria scorbutica e moralmente discutibile ed io, Samuele Spada, un detective che fatica a trovare clienti in un mondo in cui anche l’adulterio è diventato una pratica comune ed accettata di buon grado dal coniuge, come mi ha sapientemente fatto notare mia moglie. “Oggigiorno, Samuele, intessere una relazione extraconiugale è diventato la normale espressione dei tempi in cui viviamo, e va accettato di buon grado”. All’inizio non capivo cosa stesse dicendo, quelle parole faticavano a farsi strada nelle mie orecchie, il loro senso mi sfuggiva. Credo fosse perché mia moglie parlava a bocca piena, cosa che trovo molto maleducata. E le dimensioni del pene del Geometra Bonfanti non facevano che peggiorare la cosa.
A quel punto il flusso dei miei pensieri fu interrotto dal suono del campanello. Trota andò ad aprire, e quello che vide la lasciò senza fiato.
[
continua]
(Sezione "
Giovani (de)menti allo sbaraglio")
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