Recensione adam regia di Max Mayer USA 2009
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Recensione adam (2009)

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locandina del film ADAM

Immagine tratta dal film ADAM

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Immagine tratta dal film ADAM
 

La sindrome di Asperger è una variante dell'autismo, appartenente alla categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo, e si caratterizza principalmente per le grosse difficoltà nelle relazioni sociali e nella presenza di interessi molto circoscritti per intensità e tipologia, che le persone affette da tale patologia presentano.
Pur essendo accumunata all'autismo, in realtà le persone con sindrome di Asperger non presentano ritardi intellettivi e linguistici, tipici dell'autismo classico. Al contrario, i soggetti che soffrono di questa patologia presentano capacità razionali molto sviluppate o superiori alla norma, anche se circoscritte a pochi o ad un solo argomento, spesso insolito per le altre persone, a cui si dedicano con dedizione quasi maniacale e impegno ossessivo. Presentano inoltre grosse difficoltà nella comprensione dei linguaggi non verbali e delle situazioni sociali, con conseguente tendenza ad affrontarle in modo rigido e stereotipato; capacità empatica molto ridotta, uso peculiare del linguaggio, a cui spesso si aggiunge un certo impaccio motorio ed un ritardo ad acquisire alcune abilità manuali (come andare in bicicletta, stappare una bottiglia, allacciarsi le scarpe, ecc).
La sindrome risulta essere molto più diffusa tra i maschi che tra le femmine e, secondo alcune convinzioni molto diffuse, si ritiene sia la patologia dei geni, perchè si reputa ne soffrissero personaggi come Mozart, Einstein, Newton, Darwin e parzialmente lo stesso Bill Gate (per sua ammissione), anche se, ovviamente, non si hanno notizie certe al riguardo, in quanto la sindrome di Asperger è stata introdotta nel manuale diagnostico solo nel 1994, e i clinici hanno cominciato ad a riconoscerne i sintomi e a promuoverne interventi solo a partire da quella data.

Di una lieve forma della sindrome di Asperger soffre Adam Raki, il protagonista della pellicola, che prende il suo nome, scritta e diretta da Max Mayer, che racconta la storia di questo ragazzo quasi trentenne di New York, bello, intelligente, gentile, tenero, ma goffo e impacciato.
A prima vista parrebbe una persona normalissima (è un brillante ingegnere elettronico, anche se lavora in una fabbrica di giocattoli) con una forte passione per l'astronomia (ha costruito un planetario nel suo salotto e spesso ama indossare la tuta da astronauta). E invece è goffo, insicuro, ha profonda difficoltà a instaurare relazioni sociali, non guarda mai negli occhi i suoi interlocutori, non riesce ad entrare in sintonia con la gente, non riesce a decodificare i messaggi non verbali né a capire e trasmettere emozioni e ad agganciarsi alla realtà.
Il problema principale di Adam è che non riesce a capire cosa pensino gli altri, ovvero non riesce a capire il senso recondito di un discorso se gli altri non lo esplicitano apertamente; è incerto e imbranato ma anche terribilmente sincero, come se gli mancasse il comune "buon senso", tale da non permettergli una vita "normale", qualunque significato possa assumere questo termine.
Dopo la morte dei genitori (specialmente del padre, che costituiva il suo principale punto di riferimento), vive praticamente da solo nel suo appartamento in un condominio di Manhattan. Ha un unico e solo amico, Harlan, un omone di colore che lo aiuta e si prende cura di lui con dedizione e calore umano.

Quando nell'appartamento vicino al suo trasloca una bella e dolcissima scrittrice di libri per ragazzi, Beth, la sua vita acquisterà un nuovo significato e la solitudine per lui non sarà più fonte di malessere.
Beth dal canto suo ha una storia personale non meno complicata e tormentata: giovane, bella, intelligente, non si è ancora ripresa dalla fine di una difficile e dolorosa storia d'amore (è stata appena mollata dal suo ex, e la cocente delusione la fa ancora soffrire), e la sua famiglia sta attraversando un periodo non propriamente felice, a causa dei comportamenti poco corretti del padre. Per cercare di dimenticare l'una e l'altra frustrazione, sperando di ricominciare una nuova vita, ha lasciato il suo vecchio appartamento e si è trasferita a Manhattan, nello stabile dove abita Adam.
L'incontro con Beth mette per la prima volta il ragazzo di fronte al mistero dell'altro sesso, e lo pone di fronte alla sfida di intraprendere una relazione amorosa, senza capirne il senso e la portata.

Inconsapevole del disturbo che affligge il suo vicino di casa, all'inizio Beth rimane sconcertata dal suo strano comportamento (le galleggia davanti alla finestra in tuta da astronauta) e dai suoi discorsi, che spaziano dalle prigioni alla morte, all'eccitazione sessuale.
Perché Adam dice parole a sproposito, é ossessivo nei comportamenti e ripetitivo negli argomenti; non riesce a mentire e spesso finisce per essere brutalmente diretto e impulsivo, ma è un puro di cuore e un incontaminato dalla vita. E questo lo rende un "diverso".
È un universo a se stante quello di Adam, un universo inquietante ma anche affascinante, tenero e commovente. L'universo di "un piccolo principe arrivato sulla terra da un asteroide molto lontano".

Beth, dopo l'iniziale diffidenza, ne rimane colpita e affascinata e diventa il "pilota dell'aereo caduto nel deserto, a cui il piccolo principe insegna molte cose, soprattutto sull'amore". Iniziano insieme un percorso di amicizia che li condurrà a condividere sogni e "creature meravigliose", nelle serate passate ad osservare i procioni a Central Park, o a rimirare il planetario nel salotto di Adam.
Poi la storia si evolve a mano a mano che si evolvono le loro personalità, per ritrovare se stessi nella scoperta dell'altro.
La tenera e inconsueta storia d'amore che sboccia tra "two strangers, one a little stranger than the other" ("due sconosciuti, uno un po' più strano dell'altro", come suona la traduzione italiana, che fa perdere il gioco di parole tra i due significati di stranger: "sconosciuto" e "più strano") aprirà ad entrambi nuovi modi di vedere la vita e le cose; un amore fatto di tenerezze e incomprensioni, di complicità e di emozioni, destinato a lasciare segni indelebili sull'uno e sull'altra e arricchirà entrambe le loro esistenze, proprio nel momento in cui i rispettivi drammi personali rischiavano di rinchiuderli in un mondo di solitudine e di inappagamento.
Una storia d'amore destinata però a sfilacciarsi fino al limite, come tante storie d'amore senza futuro, metafora delle difficoltà ad entrare in relazione con l'altro e, a volte, con se stessi.

Non è la prima volta che il cinema affronta il tema della diversità psichica ("Rain men", "Forrest Gump", "Mi chiamo Sam", "Buon compleanno Mr. Grape") con alterna fortuna, ma è la prima volta che il tutto è condito da un tocco di sentimentalismo e di romantica delicatezza: un film su una delicata storia d'amore tra due differenti solitudini, che non si discosta poi molto dalle tante storie d'amore "normali"; le difficoltà che incontrano Adam e Beth sono le difficoltà della nostra vita, sono le difficoltà della nostra quotidianità che rendono problematico ogni sentimento, che rendono difficile oltrepassare il confine che ci separa dall'altro e a volte ci separa da noi stessi.
Così Adam diviene metafora delle difficoltà più ampie di tutte le relazioni umane, delle difficoltà ad entrare in sintonia con un'altra persona, una persona che, nel bene e nel male, ha una diversa visione del mondo. Una diversa, ma sua, visione del mondo.

"Adam", come tutti i film che trattano patologie umane, è un film toccante e fragile, che, però, non scade mai nel compiacimento e nella piaggeria, ma esplora i sentimenti umani e il male di vivere, le difficoltà amorose e le problematiche relazionali, la complessità dei rapporti padre/figlio e la persistente compromissione delle relazioni sociali, riuscendo magicamente a trasmettere quel senso di impotenza che prende di fronte ai grandi e per certi versi insormontabili ostacoli della nostra routine quotidiana, specie se visti con gli occhi di un "diverso".
Ne esce fuori un piccolo, sincero film, fatto di poesia e di malinconia, di atmosfere e di suggestioni, che ci insegna a capire come solo la comprensione per gli altri, la solidarietà, la tenerezza, il rispetto, il sentimento, ci permettono di varcare quel confine che racchiude mondi a noi sconosciuti, e che credevamo impossibili.

Non serve un lieto fine, perchè "Adam" non racconta una fiaba, ma una dolorosa realtà, non gioca con i sentimenti del pubblico, non punta alla facile commozione con situazioni strappalacrime, ma ci porta in un mondo parallelo e anche misconosciuto, il mondo della diversità e della patologia; nel mondo del disordine pervasivo dello sviluppo e delle difficoltà nelle relazioni sociali, del disagio ad agganciarsi alla realtà.

La regia sobria e discreta, quasi invisibile, come si conviene ad un film così, un po' lieve e un po' ironico, punta più sull'utilità divulgativa del problema che sulla spettacolarizzazione della storia; e si avvale di due interpreti, per certi versi sorprendenti. Soprattutto Hugh Dancy, l'attore inglese che finora si era caratterizzato per ruoli non particolarmente interessanti, che sfodera qui l'interpretazione della sua vita, e che si è preparato al difficile ruolo parlando con soggetti affetti dalla sindrome di Asperger (e si vede come è riuscito ad identificarsi con il personaggio) ed ha preferito evidenziare l'aspetto interiore della vita bloccata di un ragazzo, dagli sviluppi emotivi sempre imprevedibili, piuttosto che forzare su una mimica caratteriale eccessivamente accentuata.
Lo stesso fa la brava australiana Rose Byrne (Coppa Volpi a Venezia 2000 per la migliore interpretazione femminile per "La dea del '67"), molto efficace nel tratteggiare il ruolo di una ragazza ferita nei sentimenti eppure capace di ricominciare.
Peccato che un film così abbia avuto scarsa visibilità e una ancora più scarsa distribuzione.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 25/05/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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