Recensione bad guy regia di Kim Ki-duk Corea del sud 2001
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Recensione bad guy (2001)

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locandina del film BAD GUY

Immagine tratta dal film BAD GUY

Immagine tratta dal film BAD GUY

Immagine tratta dal film BAD GUY

Immagine tratta dal film BAD GUY

Immagine tratta dal film BAD GUY
 

Una ragazza aspetta il suo fidanzato seduta su una panchina mentre un uomo la scorge e inizia a fissarla avidamente. Quest'ultimo, preso da un incontenibile raptus, le si avvicina, la stringe a sé e la bacia, nonostante la resistenza della ragazza. Il disprezzo e la paura della donna non basteranno ad allontanare da sé quello sconosciuto, che ha ormai deciso di cambiarle per sempre la vita.

Kim Ki-Duk è un regista noto per il suo modo particolare e personalissimo di sposare poesia e crudeltà. "Bad Guy" potrebbe infatti essere inquadrato abbastanza efficacemente dentro questo binomio, la cui visione può comunque disturbare e apparirci quasi incompleta. Ciò che attenderà lo spettatore è una visione gretta della vita, una realizzazione umana molto vicina all'annullamento di se stessi e delle proprie speranze, perché tutti i personaggi in qualche modo falliscono. Ma questo quadro degradato e privo di risposte non ha una vera ragion d'essere: è così e non ci sono alternative. E' probabilmente questa chiave di lettura che turberà e irriterà il pubblico: non c'è nessuna redenzione, non c'è niente che si possa cambiare (in meglio).
L'articolazione della storia dipende da questa visione. E' come assistere al graduale appiattimento di una vita che viene stravolta e cambiata, finché colei che ne è vittima non finisce per abituarcisi; il fulcro su cui ruota la vicenda è la vita della giovane studentessa. Lei non è la protagonista ma l'oggetto sul quale ogni azione si fonda. E si potrebbe scandire la storia, che resta comunque poco definibile, in tappe precise in cui le sensazioni e gli umori della ragazza fungono da spinta alle reazioni del suo carnefice e di altri personaggi minori. Si passa dal rifiuto al dolore, dalla rassegnazione all'accettazione, consapevole e attiva di una nuova vita.

Kim Ki-Duk crea un insolito intreccio capovolgendo una vita comune. Affida il suo estro ad una situazione iniziale molto banale,  apre inaspettatamente il sipario su un'opera coinvolgente e non completamente leggibile. Ciò che il regista ci suggerisce sin dall'inizio è lo sguardo sull'ipotesi meno probabile, la meno tollerabile, scaturita dall'insignificante e usuale eventualità di uno sconosciuto che fissa una bella e giovane ragazza.Lo spettatore dovrebbe, non riuscendovi, abituarsi sin dalle prime sequenze a gestire l'assurdità delle conseguenze di questo preludio.
Questo è l'invito, ma l'effetto desiderato, e centrato in pieno, è l'esatto contrario.
Per tutta la durata del film, l'impressione prevalente sarà quella di non accettare, assieme alla protagonista, la sorte che il suo carnefice le riserva perché si stenta ad ammettere di poter essere così vulnerabili e così fragili da divenire la pedina della follia di un altro essere umano.

Ma oltre a questo effetto disturbante e provocatorio ve n'è un altro, sottinteso ma ugualmente importante.
La presenza di un'antagonista, così assoluta e determinante nello svolgimento della vicenda, assume un ruolo altamente ambiguo. Sfumano infatti i caratteri del carnefice e si è portati a vederlo con occhi diversi, quasi con simpatia, nonostante questa sensazione non sia mai piena. Lui appare sensibile e attento verso di lei, malgrado la sua contorta e malata natura di distruggere la sua vita. Non le parla, evita di toccarla quando può. La guarda, la protegge o la espone, come se fosse un burattinaio con la sua bambola, e tale lei è, in fin dei conti. Un oggetto del desiderio che investe non solo Han-gi ma anche uno dei suoi scagnozzi. Del resto, Cho Jae-Hyun, ci regala una valida prova attoriale, intensa e misurata, capace di mettere in mostra la pericolosità e l'imprevedibilità di Han-gi, uomo disturbato e imprigionato nel suo ruolo di "boss", impassibile e spietato.

Lei, Sun-Hwa, delicata e innocente studentessa ancora illibata quando la sua vita viene rovesciata, si strugge ma non accetta passivamente, continua a sperare, ma rimanendo attiva nel suo nuovo ruolo di prostituta. Finisce per sognare una vita con Han-gi.
E questo diventa il sogno di entrambi (non del tutto comprensibile a noi), sogno che si mischia con la realtà. Il regista intreccia l'illusione di un modesto e semplice sogno di vita di coppia insieme ad una realtà molto gretta e misera di un protettore e della sua prostituta. Una foto di un uomo e una donna abbracciati, col viso ritagliato, genera in un Sun-Hwa l'attaccamento ad una situazione che non conosce. Ma l'impressione è anche quella di avere di fronte un'immagine sia del passato, dove loro forse erano persone diverse, o del futuro, nel quale magari i due riusciranno ad abbandonare quel mondo corrotto e degradato per approdare in una vita più stabile e serena.
Sun-Hwa è vittima e oggetto, ma forse c'è stato un momento, breve ma significativo, in cui lei avrebbe potuto scegliere che tutto andasse diversamente. Han-gi infatti la adesca nella sua trappola di schiavitù, connettendo una serie di eventi che mettono Sun-Hwa nella condizione di colpevolezza. Senza svelare ai lettori l'esatta dinamica della situazione che Han-gi crea, si potrà comunque dire che Sun-Hwa sceglie di sbagliare e di comportarsi esattamente come il suo persecutore voleva, ma senza che quest'ultimo la costringa. Sun-Hwa, forse innocentemente, fa ciò che la coscienza normalmente proibirebbe e cade in un abisso non calcolato nel suo gesto. E le conseguenze saranno esageratamente gravi, e questo perché dietro non c'era la casualità ma il suo ancora poco conosciuto carnefice.

L'atmosfera è squallida e sporca, continuamente disturbante, nella quale però cambia gradualmente la prospettiva: una prima estraneità che poi diventa l'ordinario scenario per la protagonista. E' come se anche il nostro occhio, effettivamente, si abitui e finisca per accettare il destino da cui, è sottinteso, non si tornerà mai più indietro.

E' questo un lavoro che non vuole essere capito del tutto, molto è lasciato alla sensazione dello spettatore e alle suggestioni personali che la foto rotta, il silenzio di Han-gi e l'ambiguo rapporto tra i due impongono. La visione non è dunque unitaria. I personaggi, la storia e il suo divenire non sono classificabili, perché molte sono le sfumature che ogni sensibilità può essere in grado di cogliere." Bad Guy" è un amaro racconto il cui giudizio è completamente affidato a ciò che suscita la sua visione, poiché i concetti sono rarefatti nella crudezza della situazione.
Sta quindi unicamente alla soggettività di ognuno di noi stabilire cosa serbare di quest'opera e cosa rifiutare. E' però indubbia l'originalità e l'intensità di fronte alle quali il regista pone lo spettatore.

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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 01/02/2011 12.11.00

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