Recensione carnage (2011) regia di Roman Polanski Francia, Germania, Polonia, Spagna 2011
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Recensione carnage (2011)

Voto Visitatori:   7,28 / 10 (231 voti)7,28Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Migliore sceneggiatura non originale
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locandina del film CARNAGE (2011)

Immagine tratta dal film CARNAGE (2011)

Immagine tratta dal film CARNAGE (2011)

Immagine tratta dal film CARNAGE (2011)

Immagine tratta dal film CARNAGE (2011)

Immagine tratta dal film CARNAGE (2011)
 

In una società dove le sovrastrutture diventano l'unico elemento che conta, dove i rapporti umani altro non sono che una serie di convenzioni sociali, anche una piccola discussione tra genitori può diventare un'occasione per mettere a nudo la vera essenza dell'animo umano.

"Carnage" è la denuncia verso una società che forgia i suoi componenti secondo regole predefinite, nella paranoia del "politically correct" e del conformismo esasperante.
Ma che cosa accade quando improvvisamente cadono queste barriere? Ce lo prova a raccontare Roman Polanski in questo film intenso, semplice e tremendamente crudo.

Il film è la trasposizione dell'opera teatrale della drammaturga francese Yasmine Reza, "God of Carnage" ovvero l'incontro-scontro di una coppia di coniugi, che si riunisce per discutere di una banale lite tra i due figli.
Roman Polanski torna agli anni 60/70 trovando, in questa piecè teatrale, gli elementi che hanno maggiormente caratterizzato il suoi primi film: la follia di "Repulsion", le pulsioni paranoiche de "L'inquilino del terzo piano", il conformismo moderno di "Rosemary's baby" ma soprattutto l'impostazione tecnica de "Il coltello nell'acqua", quasi un amarcord Polanskiano riveduto e corretto e contestualizzato negli Stati Uniti.

Il film si apre con un antefatto breve, dove si vedono in lontananza un gruppo di ragazzini che hanno una banalissima lite e dove uno di loro cade ferito dai colpi del bulletto di turno.
La scelta di Polanski di ridurre l'antefatto a pochissimi minuti è una scelta squisitamente stilistica, un'introduzione veloce per poi concentrasi immediatamente in una location ben definita.
Ed ecco che ci troviamo catapultati in un tipico appartamento delle middle class americana di New York dove i padroni di casa, genitori della piccola "vittima", interpretati da una sempre splendida Jodie Fosters nel ruolo di Penelope e dal John C. Reilly nel ruolo del marito Michael,accolgono Nancy ed Alan interpretati rispettivamente da Kate Winslet e da Chirstopher Waltz.Sembra che l'accordo si sia trovato e che i padroni di casa congedino gli ospiti, tutti mantengono il loro contegno e la cordialità, ma ben presto piccole parole di troppo, un cellulare che squilla incessantamente nei momenti meno opportuni e il rancore represso fanno si che cadano tutti i tabù e che la coppia abbia uno scontro vero, sincero, senza esclusione di colpi.

Molti sono gli spunti di rifessione che il film tenta di proporre e il tutto è visto sotto un'ottica psicologica e sociologica che emerge sotto diversi profili a cominciare da una profonda critica alla coppia moderna.
Da una parte abbiamo una coppia benestante, che incarna il valore squisitamente americano del vincente; Alan rappresenta l'uomo di successo, ricco e in carriera con una bella moglie, preso esclusivamente dal suo lavoro, viceversa, Penelope e Michael rappresentano la famiglia semplice, intellettuale e apparentemente anticonformista, che si dimostra essere l'esatto contrario .Ben presto le alleanze si modificano, lo scontro tra le due coppie contrapposte mette a nudo i rispettivi disaccordi coniugali da sempre censurati.

Inoltre, tramite il racconto dell'attaccamento morboso dei protagonisti ai beni materiali, che sia questo un cellulare, un sigaro di qualità, una borsa piuttosto che preziosi libri d'arte, si denuncia una società consumista dove ogni singolo individuo trova la sua realizzazione non più nella famiglia, piuttosto in un oggetto che diventa un feticcio di se stesso. Soprattutto emerge come il concetto di vittima, nella società moderna, sia in realtà spesso strumentale, predisposto all'interno di concetto molto ben delineati che fanno si che diventi vittima chi non lo è.
Emerge come in realtà ogni genitore, sebbene educhi il figlio nel rispetto del prossimo, risulta essere orgoglioso degli atti di sopraffazione che i propri figli hanno compiuto. Questo perchè la società moderna vive ancora nel principio dell'"Homo homini lupus" e il sapersi fare giustizia da sé, in fondo, è un elemento educativo inculcato fin da tenera età.
Sono tantissimi gli elementi e gli spunti di discussione che il film propone, merito anche di ottimi dialoghi, che sanno delineare la psicologia dei protagonisti da poche parole, quelle parole non dette che vengono "vomitate" nei momenti meno opportuni e che denunciano la cronica mancanza di dialogo e l'incapacità di veri confronti.

In realtà il vero punto di forza del film è l'impostazione ironica che si dà al tutto, merito anche di attori, non solo bravissimi, ma capaci di comprendere in pieno lo spirito dei protagonisti, la denuncia dell'ipocrisia borghese non è messa in scena in modo solenne, bensì quasi comico, che emerge benissimo nella metafora del vomito,rappresentante il momento di passaggio tra il formalismo dell'incontro allo scontro vero e proprio.
L'ironia diventa il mezzo di forza che in apparenza può cadere nel grottesco, ma ben presto evidenzia come siano reali le reazioni dei protagonisti, sebbene il contesto possa risultare calcato.

Dal punto di vista cinematografico invece emergono gli aspetti maggiormente controversi di "Carnage". E' difficile considerare difetti alcuni limiti oggettivi che i film tratti da piece teatrali hanno, perché, in alcuni casi, il confine tra il rigore della messa in scena e l'esercizio di stile, non sempre è evidente.
Chi conosce e ama il cinema di Roman Polanski non potrà non fare gli opportuni paragoni con un'altro bellissimo film del regista franco-polacco come "La Morte e la Fanciulla".
Anche li ci troviamo al cospetto di un film tratto da una piece teatrale, ambientato in un luogo chiuso (una casa in riva a una scogliera) e con soli tre protagonisti. Eppure in quel caso Polanski non ricerca la staticità ma, pur rimanendo fedele all'impostazione originaria, cerca di dare al film una particolare impostazione estetica con un'ambientazione suggestiva ma soprattutto con meno rigore.
In "Carnage" è vero che emerge l'elemento claustofobico come "fil rouge" della filmografia del regista polacco, ma è anche vero che ricorrere ad un ambientazione che lo è di per sé, diventa troppo facile.
L'appartamento è stata una location che ritorna spesso nella filmografia di Polnaski, ma in questo caso cade il suo valore simbolico, ergendosi a vero e proprio limite fisico del film.

Ad ogni modo si ha l'impressione che con un materiale di partenza così forte ed un adattamento così eccessivamente fedele, forse qualsiasi regista discreto sarebbe riuscito ad avere un risultato analogo.
La mano del grande di Polanski si vede nel modo con cui cerca di dare dinamismo, con continui primi piani alternati e cambi di scena, si cerca di imprimere ritmo necessario, che aumenta non appena le coppie si aprono allo scontro.

La direzione degli attori è grandiosa, come lo sono gli attori stessi: una menzione speciale alla grandissima Kate Winslet e anche alla scoperta di John C. Reilly, che sembrerebbe una nota stonata dinanzi a un cast di premi Oscar e che invece è forse il personaggio più riuscito, riesce con la sua interpretazione ironica e polemica a sintetizzare in maniera efficacissima il suo personaggio.
La semplicità di "Carnage" è solo un apparenza, in realtà siamo al cospetto di un film ricco di sfaccettature, difficile da sintetizzare, un ritorno al passato per Polanski, che si dimostra essere sempre in gran forma.
Un film difficile e intenso, forse poco cinematografico nella forma ma ricco, ricchissimo nei contenuti e di questi tempi non è facile.

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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 17/10/2011 18.01.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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