Recensione giovane e bella regia di François Ozon Francia 2013
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Recensione giovane e bella (2013)

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locandina del film GIOVANE E BELLA

Immagine tratta dal film GIOVANE E BELLA

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Immagine tratta dal film GIOVANE E BELLA

Immagine tratta dal film GIOVANE E BELLA
 

Cercare di definire o catalogare il cinema di François Ozon è impresa ardua ed estremamente complicata perché, fin dal suo esordio nel lontano 1998, quando debutta con il suo primo lungometraggio "Sitcom", il regista transalpino, oltre a porsi subito all'attenzione come uno dei più interessanti tra i nuovi autori del cinema francese, ha cercato sempre coerentemente di variare stile, registri e soggetti narrativi, pur rimanendo sempre il suo lavoro raffinato e personale.
Il suo cinema è sempre stato caratterizzato da storie e personaggi costantemente in bilico tra ambiguità e certezze, capace di spiazzare il pubblico con immagini e vicende che spesso sconfinano nel grottesco e nella trasgressione, ma sempre con gran gusto e senza intenti moralizzatori. Segno tangibile di autorialità e talento di un regista tra i più eclettici del cinema europeo.
Una conferma arriva dal recentissimo "Giovane e bella", il film che, senza addentrarsi troppo nella problematica della prostituzione minorile, indaga, con stimolate sensibilità, il mondo giovanile odierno nel contesto di un ambiente familiare disgregato e fallimentare, dall'alto della sua borghesia.

Protagonista è la bellissima adolescente Isabelle, in vacanza al mare con mamma, papà (in realtà è solo patrigno, in quanto secondo marito della madre) e fratellino minore, nell'estate del suo diciassettesimo compleanno.
É giovane, bella, ricca e viziata, il suo corpo sta sbocciando come donna; ma è ancora vergine. E allora la notte del suo compleanno decide di sbarazzarsi dell'ingombrante fardello in favore di un bel ragazzone tedesco, Felix, che le piace ma che le regala un rapporto frettoloso e insoddisfacente al punto che si ritrova a sdoppiarsi nella spettatrice di quell'evento e guardare con indifferenza quella ragazza lì, che è lei stessa, stesa sulla sabbia calda, che sta vivendo "il feticcio della prima volta", e la prima disillusione della vita adulta.
La scoperta dell'eros la lascia fredda e indifferente, ma al tempo stesso le fa acquisire la consapevolezza del potere che la sua bellezza e il fascino del suo corpo acerbo esercitano sugli uomini e sulle loro voglie di trasgressione.

Finite le vacanze e tornata a casa a Parigi sa già cosa farà da grande: la prostituta d'alto bordo. L'occasione si presenta un giorno all'uscita del liceo parigino, quando uno sconosciuto l'abborda e le offre del denaro in cambio di una prestazione sessuale. Senza pensarci due volte decide di assecondarlo e inizia a gestire la sua sessualità con la stessa afasia della prima volta.
Fa tutto da sola, si iscrive a diversi siti internet per uomini soli e, su un secondo cellulare alternativo a quello ufficiale, combina appuntamenti con clienti danarosi di tutte le età, a cui vende il suo corpo per 300 euro l'ora.
Tutti pomeriggi, dopo la scuola, esce furtivamente di casa in jeans e maglioncino, nascondendo in un borsone una camicetta di seta, un tailleur elegante e scarpe con tacchi a spillo, sottratti nell'armadio della madre. Si cambia in una toilette della metropolitana e sotto il falso nome di Lea (come la nonna), inequivocabilmente trasformata, si aggira per le stanze ovattate di alberghi a cinque stelle, dove consuma i suoi amplessi mercenari con uomini sconosciuti, senza volto e senza storie, preferibilmente in là con gli anni, ma anche quarantenni in cerca di emozioni forti o avventure extraconiugali. Poi torna a casa, ridiventa la ragazzina riservata e immusonita di sempre, inventa qualche scusa e nasconde tutto in fondo al suo armadio, compreso il denaro che ha guadagnato, che non spende mai.

Perché lo fa?
Non certo per soldi: ha già tutto e la sua famiglia non ha problemi economici.
Non certo per noia: ha una vita sociale intensa e normalissima.
Non certo perché le piace il sesso: ha clienti frettolosi, qualcuno anche volgare, spesso viziosi e pervertiti.
Non certo per vantarsi con le compagne o per sentirsi grande.
Lo fa e basta. Forse per una sorta di sfida verso sé stessa o forse proprio perché non ha motivo per non farlo. Non cerca né denaro né piacere, non dà spiegazioni, non esibisce traumi, tiene per sé il suo mistero.
E così quando sotto la doccia si lava via i segni dell'ultimo uomo, comincia già a pianificare il prossimo incontro che verrà, e quando torna a casa o anche in classe ripensandoci ha voglia di ricominciare. E' talmente convinta della sua scelta che mente sulla sua età e gestisce la sua attività in perfetta autonomia, tesa costantemente al rifiuto dei ragazzi comuni, delle loro feste e dei loro corteggiamenti.
Il suo non è un rifiuto occasionale, quanto una libera scelta in favore dello squallido amore a pagamento, alla ricerca di un amplesso diverso e ostentatamente professionale.
Un incontro dopo l'altro, con uomini di tutte le età, piacenti vegliardi, o quarantenni sbrigativi quanto evanescenti, disposti a pagare per averla, senza mai lasciarsi coinvolgere emotivamente da nessuno, opponendo la barriera dei soldi tra sé e quegli uomini, forte del potere che esercita su di loro e che scopre giorno dopo giorno.
Tutti, ad eccezione di un facoltoso signore, George, attento e gentile, che la tratta con affetto e le ricorda suo nonno, verso il quale prova una certa tenerezza, l'unico che si lascia andare a qualche confidenza sulla sua famiglia.

La svolta improvvisa, tragica e inaspettata arriva proprio mentre si intrattiene con quel cliente un po' più speciale degli altri dal quale, tuttavia, non si farà coinvolgere più di tanto. Saranno gli accertamenti della polizia che faranno incontrare le sue due vite, portando la madre incredula a scoprire ciò che succede nella vita della figlia.
Una mancanza di morale e valori (o un complesso di morale e valori diversi) che la ragazza non avverte, neppure quando la donna le chiede la ragione, oppure quando la polizia la interroga o quando parla con lo psicologo al quale è costretta rivolgersi dalla famiglia.
Forse ciò che incrinerà un po' le sue certezze sarà l'incontro con la vedova del suo ultimo cliente (una sempre bravissima Charlotte Rampling), la quale inaspettatamente le fissa un appuntamento proprio nella stanza dove tutto è avvenuto e dove condivideranno lo stesso affetto verso quell'uomo. Ritorna così ad essere Isabelle, ricomincerà a frequentare i suoi coetanei, con scarso interesse e distacco, senza riuscire ad identificarsi con nessuno di loro, neppure con l'inesperto fidanzatino, e soprattutto con la famiglia che sentirà lontana ed estranea.
E Isabel resterà la splendida ragazza di sempre, desiderosa di sperimentare la vita a modo suo, che passa anche attraverso il suo essere Lea.

Scandito da quattro bellissime canzoni cantate da Françoise Hardy, Ozon ha suddiviso il suo film in quattro capitoli, a cui corrispondono le quattro stagioni dell'anno (dall'estate alla primavera successiva) e quattro momenti della vita di Isabelle/Lea, che segnano il suo passaggio dall'adolescenza all'età adulta.
Una melodia per ogni stagione per questo romanzo di formazione con cui Ozon ancora una volta si cimenta in un'indagine sulle pulsioni umane, qui rappresentate dalle scelte sessuali di una giovane e provocante diciassettenne, che rifiuta ogni forma d'amore e coinvolgimento emotivo per scardinare col sorriso il mondo come lo vede lei, un po' delusa e un po' annoiata.
E Ozon, come sempre straordinario indagatore dell'animo umano, è molto attento a depurare il suo racconto da ogni moralismo o morbosità, per concentrarsi sul mistero di un personaggio ambiguo e sfuggente, che rimane una costante del suo cinema. Così come costante rimane nel cinema di Ozon l'esplorazione del mondo giovanile (come fa per esempio in "Gli amanti criminali"), idealizzato e dipinto da molti come la stagione più felice della vita ma che invece, spesso, si rivela imperscrutabile e carico di insicurezze e turbamenti, a volte tenuti nascosti agli altri e soprattutto a sé stessi.
Più che un film sulla prostituzione minorile, "Giovane e bella" si rivela un film sulle difficoltà adolescenziali: un periodo questo colmo di inconsapevole malinconia e mistero, dove tutto è preso con la leggerezza dell'irresponsabilità, quasi si fosse anestetizzati alla vita che gli gira attorno. Come studia a scuola Isabelle sui versi di Rimbaud: "Nessuno è molto serio quand'ha diciassette anni, o quando sono verdi i tigli del passeggio".

Ozon non è nuovo a rappresentare l'età dell'adolescenza come qualcosa indecifrabile e incomprensibile agli adulti; lo aveva già fatto nel 2003 con la Ludivine Sagnier di "Swimming Pool" e prima ancora nel 1999 con il noir adolescenziale "Amanti criminali", la favola nera in cui aveva intrecciato amore e perversione, morbosità e sesso.
Ora a raccontarci il fugace ritratto di un'adolescenza inquieta è il volto e il corpo di una splendida e ammaliante diciassettenne nei cui occhi è racchiusa perfettamente l'essenza del cinema di Ozon: l'indagine introspettiva di personaggi alle prese con le proprie turbe e i propri turbamenti.
Nel film emerge chiaramente tutto il mistero sulla realtà psicologica di una donna in divenire in rapporto con l'età adulta, attraverso immagini e scene particolarmente dettagliate ed esplicite che mostrano le profonde debolezze dell'uomo nei confronti della donna, vera protagonista dei nostri tempi, che si sono acuite soprattutto nella nostra epoca.

Inspiegabili infatti sono i motivi che spingono un uomo in là con gli anni, soprattutto se ricco e famoso, a imbottirsi di pasticche blu pur di sfiorare, o farsi sfiorare, forse per l'ultima volta dal vento della giovinezza (il riferimento alla italiche cronache politico/giudiziarie degli ultimi anni è puramente casuale).
Isabelle questo lo sa e in questa sua richiesta di un rapporto ostentatamente professionale c'è tutto il piacere di provocare il lato frivolo degli uomini (come ammette nello sfrontato flirt tentato verso il patrigno), e la fortissima consapevolezza di scoprire giorno dopo giorno il potere che esercita su di loro, come se volesse rendersi conto quanto può la sua bellezza, quanto un uomo è disposto a dare pur di averla, quanta soddisfazione procura il piacere di guardare ed essere guardati, quanto compiacimento le dà la percezione di desiderare e sentirsi desiderati (sessualmente e non solo) e contestualmente dare un prezzo al desiderio degli uomini.

Spesso al cinema o in letteratura l'adolescenza è descritta o rappresentata in modo estremizzato come un'età unica e irripetibile, l'età più bella e felice, dove ambizioni, riflessioni e prospettive si manifestano e prendono corpo, dove si inizia a scoprire e conquistare il mondo, dove si inizia ad intravedere la personalità e il carattere di chi sta entrando nel mondo adulto.
Con "Giovane e bella", Ozon ha voluto proporci un'immagine atipica, e per certi versi personale, dell'adolescenza, rimarcando le sue prime ansie e conflitti, le prime sensazioni e lacerazioni su come si è e come si dovrebbe o si vorrebbe essere, le prime emozioni e sentimenti nuovi, sconosciuti e per questo indecifrabili.
La scelta di Isabelle è il pretesto che usa Ozon per parlare del desiderio di questa ragazza di costruirsi un'identità sessuale e personale adulta, del bisogno di non riconoscersi più nell'ambiente familiare, che le appare sempre più limitato e claustrofobico, di ricercare nuovi oggetti in cui identificarsi e che allo stesso tempo l'aiutino a ritrovare parte della sua femminilità. Il suo prostituirsi, come verrà fuori durate le sedute psicanalitiche, non è solo gusto per la sfida, ma frutto della coscienza di non far nulla di sconveniente e perché sente di essere nel giusto nel voler accumulare nuove esperienze. Le cause di tale scelta resteranno un mistero e non risiedono certamente in fratture familiari, tanto meno nel divorzio dei genitori, cui prende atto come un dato di fatto.

Il film si regge tutto sulle spalle di una straordinaria, e bellissima, Marine Vacth, ex modella d'alta moda francese, qui al suo primo ruolo importante dopo alcune piccole apparizioni in film scarsamente distribuiti.
La sua performance è sorprendente non solo per la sua strabiliante e non comune bellezza, e per questo ancora più seducente, quanto perché la sua Isabelle, algida e sensuale al tempo stesso, riesce a rappresentare perfettamente sia le inquietudini adolescenziali di certi ragazzi che da un giorno all'altro diventano avulsi perfino ai genitori, e contemporaneamente l'enigma inesplicabile del desiderio femminile.

La bellezza e l'equilibrio del film di Ozon risiede proprio in questa sua capacità di raccontare una storia scabrosa nelle pieghe delle fantasie femminili nelle sue accezioni più oscure e inconfessabili - tema caro a molti registi prima di lui, a cominciare dal maestro Luis Buñuel, di cui ricalca le orme del suo "Bella di giorno".
La scena che meglio esprime la capacità di Isabelle di sdoppiarsi nella spettatrice di sé stessa è quella che la vede ad una festa tra coetanei, dove conosce un ragazzo della sua età che le piace e con cui esce a fare una passeggiata per le strade di una Parigi che si sta svegliando.
Quando questi le propone di salire da lui per fare l'amore, la Lea capace di passare per 300€ dalla braccia di un uomo a quelle di un altro un po' indignata gli risponde che non è bello per una ragazza andare a letto con un uomo appena conosciuto. Questo perché la sua è una scelta consapevole iniziata un po' per gioco e un po' per desiderio, forse come sfida al mondo degli adulti o forse per scoprire quel mondo e non restarne travolta.
Forse per mancanza della figura paterna o forse per voglia di dimostrare qualcosa agli altri e a sé stessa.
O forse semplicemente perché è giovane e bella.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 20/01/2014 15.07.00

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