Recensione il figlio piu' piccolo regia di Pupi Avati Italia 2010
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Recensione il figlio piu' piccolo (2010)

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locandina del film IL FIGLIO PIU' PICCOLO

Immagine tratta dal film IL FIGLIO PIU' PICCOLO

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Immagine tratta dal film IL FIGLIO PIU' PICCOLO

Immagine tratta dal film IL FIGLIO PIU' PICCOLO
 

Il cinema di Pupi Avati è caratterizzato da film sempre molto amari, che si costruiscono intorno a figure di verghiana memoria come quella dei "vinti".
Quasi si fosse preposto come compito quello di scardinare le basi dei rapporti interpersonali, partendo dall'amicizia fino ai rapporti familiari, Avati sembra non voler guardare in faccia a nessuno, negando anche l'amore di un padre verso un figlio.

Christian De Sica interpreta Luciano Baietti, emblema dell'imprenditore arrivista e truffaldino, vittima egli stesso delle sue magagne costruite con la complicità delinquenziale del socio di una vita Bollino.
Sommerso da debiti mai pagati, Luciano decide di cedere tutto il suo patrimonio al figlio più piccolo Baldo, abbandonato insieme alla madre e al fratello in tenera età, scaricandogli addosso anche tutti i debiti contratti. Baldo accetta, speranzoso di poter riallacciare con il padre sfuggente i rapporti di una vita, restando deluso per essere stato nuovamente oggetto di strumentalizzazione da parte di un uomo egoista e ruffiano.

La trama è pienamente in linea con le tematiche del cinema di Avati, gli ingredienti sono i soliti e, oltre all'intenzione di raccontare la bassezza a cui un uomo può arrivare in nome del potere e del danaro, è anche l'occasione per mostrare un'Italia perversa e malata, che vive di menzogne e di ricatti.
L'Italia degli imprenditori squattrinati, dei furbetti del quartierino e dei politici corrotti, con l'occhio rivolto alla finanza creativa che ha tanto fatto parlare i giornali negli ultimi anni.
Insomma gli ingredienti c'erano tutti per costruire un buon film, purtroppo però "Il figlio più piccolo" naufraga sulle buone intenzioni del suo autore, restando un film nel complesso anche gradevole ma totalmente incoerente e superficiale.

Va detto che questi difetti sono rinvenibili in molte delle pellicole di Avati negli ultimi anni, dovute forse anche ad un "eccesso produttivo" del regista emiliano, capace di portare in sala un film all'anno (a volte anche più di uno) che hanno tutti la pecca di sembrare poco curati. Sotto il punto di vista tecnico la regia è del tutto convenzionale, il doppiaggio in alcuni casi approssimativo , come mal girate sono alcune scene in automobile e in elicottero.
Piccoli esempi che singolarmente sarebbero tralasciabili ma che messi insieme rendono un quadro inquietante e soprattutto confermano come lo standard qualitativo del nostro cinema sia sempre più vicino a quello delle tremende fiction televisive.

Come se non bastasse la sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Avati, come accade oramai da anni, che non riesce a comprendere e sviscerare in modo esauriente tutte le tematiche che tocca. In primo luogo emerge una difficoltà nel rendere comprensibile al pubblico non istruito i metodi che vengono adottati da questi pseudo- imprenditori arrivisti; il film introduce certi argomenti ma volutamente evita di entrare nel particolare. Questa scelta, mentre da un lato aiuta a rendere il senso di smarrimento che vive il protagonista davanti alla situazione in cui è stato messo dal padre, dall'altro però rischia di far cadere il film in un qualunquismo difficilmente comprensibile. Se non si riesce a capire in che modo funzionano certi meccanismi finanziari non si comprende nemmeno la denuncia sulla degenerazione dell'economia moderna.
I personaggi sono presentati quasi come dei semplici truffatori, in realtà nella maggior parte dei casi i grandi imprenditori agiscono sempre in una facciata di legalità.

Per quanto riguarda il secondo aspetto che si caratterizza principalmente nel rapporto tra padre e figlio, va detto che Avati sbaglia nello scegliere un attore come Christian De Sica. Il problema non è rinvenibile in De Sica in quanto attore, ma è legato a quello che oramai la sua persona stessa rappresenta all'interno del panorama cinematografico italiano.
Comprensibile la volontà dell'attore romano di voler tentare nuove strade, va detto che in questo caso, venti anni di vari "Natale a..." non possono essere ignorati.
Il personaggio di Luciano è un personaggio tremendo, ambiguo, arrivista ed accattone, tutti sentimenti che De Sica non riesce a trasmettere nella sua interpretazione. Il problema di fondo sta nello spettatore che tende ad avere un naturale sentimento di simpatia nei suoi confronti che, in questo caso, risulta essere controproducente. Spesso la sua recitazione cade nella macchietta dei film alla Neri Parenti, come nella scena dell'arresto, ma soprattutto il personaggio manca di un'ambiguità assolutamente necessaria per rendere in pieno le sfaccettature di un uomo particolare come Luciano.
Questo fa si che non sempre sia chiaro perché eserciti questo fascino nel confronti della famiglia di origine, tanto che il finale risulta essere stridente e difficilmente comprensibile.

Questo difetto ritorna anche in film come "Papà di Giovanna" o la "Rivincita di Natale", con una difficoltà di fondo nel rendere in coerenza lo sviluppo narrativo della storia raccontata.
Alcuni personaggi, come quello interpretato da Luca Zingaretti, sono molto ben delineati e interessanti ma purtroppo mai realmente approfonditi e restano colpevolmente nello sfondo. Avati è sicuramente un maestro nei film corali e riesce a caratterizzare in maniera attenta anche il più piccolo personaggio; peccato che non sempre sia interessato ad approfondirli.

La ricerca di Avati all'interno dei rapporti umani prosegue ma forse egli stesso è troppo concentrato sul suo punto di vista, incapace di comprenderne in pieno le mille sfumature esistenti. Il suo pessimismo è sicuramente la cifra stilistica del suo cinema in quanto è sempre attento a non cadere nel cinismo, questo però non salva le sue ultime pellicole da un generico senso di incompletezza che le caratterizza.

Inoltre è sempre presente una tendenza a divagare, ad introdurre sempre nuovi elementi che tendono a sviare i film, a renderli interessanti ma spesso inconcludenti.
A personale opinione di chi scrive, il cinema di Avati ha grandissime potenzialità e l'Avati stesso ha tutte le carte in regola per creare il suo capolavoro tanto atteso ma, va detto, che questo avverrà quando curerà con più attenzione i suoi film, magari prendendosi un po' più di tempo.

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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 01/03/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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