Recensione il tempo dei gitani regia di Emir Kusturica Jugoslavia 1988
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Recensione il tempo dei gitani (1988)

Voto Visitatori:   8,48 / 10 (29 voti)8,48Grafico
Miglior regia (Emir Kusturica)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior regia (Emir Kusturica)
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locandina del film IL TEMPO DEI GITANI

Immagine tratta dal film IL TEMPO DEI GITANI

Immagine tratta dal film IL TEMPO DEI GITANI

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Immagine tratta dal film IL TEMPO DEI GITANI

Immagine tratta dal film IL TEMPO DEI GITANI
 

Il giovane rom Perhan (Davor Dujmovic) vive in un campo nomadi, alla periferia di Sarajevo, nel sud della Jugoslavia, insieme alla nonna, alla sorella storpia e a uno zio geloso e vizioso. Il ragazzo è orfano della mamma deceduta a seguito di una grave malattia e non ha mai conosciuto suo padre, soldato sloveno comparso in quei luoghi per una battaglia e poi svanito nel nulla.
Perhan è innamorato di Asdra, una bella ragazza rom interessata a lui; il ragazzo vorrebbe sposarla se nonché incontra l'opposizione rigida della madre che vede in lui una persona incapace di mantenere sua figlia e gli eventuali figli.
Un giorno, ritornano nel campo nomadi due violenti boss rom, denominati lo Sceicco e suo fratello, emigrati all'estero tempo addietro e divenuti ricchi vendendo bambini messi sul mercato da madri per lo più vergognose della loro gravidanza, spesso frutto di relazioni segrete. Con la loro venuta la famiglia di Perhan piomba nel caos perché lo zio perde tutto quello che ha al gioco delle carte manovrato dai due boss e, irritato, cerca di rifarsi sui beni della nonna rendendo inagibile, per ricatto in denaro, la casa.

Quando la nonna guarisce con la magia delle mani il figlio moribondo dello Sceicco, si apre improvvisamente uno spiraglio di aiuto per la famiglia in crisi di Perhan. Lo Sceicco accetta di far operare alla gamba la sorella storpia di Perhan, raccomandata dalla nonna, e parte insieme al ragazzo per l'ospedale di Lubiana.
La ragazza viene consegnata al personale infermieristico dell'ospedale con la promessa (non mantenuta) che un altro parente si sarebbe fatto vivo in pochi giorni con i soldi per l'operazione, poi il boss trascina con sé Perhan e fugge verso il campo nomadi di Milano dove con la delinquenza e la prostituzione è riuscito a fare già numerosi affari d'oro.
Perhan nel campo di Milano è male accolto, viene vessato in tutti i modi dagli aguzzini del boss per la sua riluttanza a diventare un delinquente; la violenza su di lui è sistematica, finalizzata al reclutamento, e arriva a un punto tale da sfinirlo. Perhan di fronte alla prospettiva di ritornare a mani vuote nel campo nativo di Sarajevo, che rappresenterebbe il fallimento dei suoi sogni, cede alle richieste dello Sceicco e inizia a Milano una scalata di tipo malavitoso, diventando in breve tempo un boss rispettato, cinico e cattivo.
Arricchitosi, al rientro al campo nomadi di Sarajevo, anziché realizzare i suoi sogni, Perhan va incontro a cocenti delusioni: la sua ragazza è incinta di un altro e l'amata nonna rifiuta di vivere con lui in una nuova casa. La donna infatti intuisce, dai modi insoliti del ragazzo, che suo nipote è diventato un delinquente. Perhan riprende il suo sporco lavoro a Milano ma scoprirà altri inganni e mancate promesse dello Sceicco sugli aiuti alla sua famiglia, cose che lo indurranno alla disperazione.
Come reagirà alle disillusioni Perhan, ritornerà sui suoi passi rifiutando la malavita o sarà per lui ormai troppo tardi riprovare a vivere onestamente e riguadagnare la fiducia della nonna tanto amata?

Opera n° 5 del bosniaco Emir Kusturica, che ricordiamo con simpatia in film come "Arrivano le spose" (1978), "Bar Titanic" (1979), "Ti ricordi di Dolly Bell?" (1981), "Papà è in viaggio d'affari" (1985).
"Il tempo dei gitani" è del 1989 ed è stato scritto insieme a Gordan Mihic, la pellicola è un vero e proprio capolavoro di costume, un generoso affresco sui miti e la cruda realtà quotidiana dei gitani rom. Il film brilla anche per originalità e fiabesche scene di suggestione, sognanti, legate con armonia a un ricco naturalismo di sfondo di cui Kusturika sembra voler scoprire con il lavoro onirico alcuni suoi lati più profondi e misteriosi.
Il film mostra mirabilmente, in chiave di avventura e d'amore, di sogni e illusioni, la vita più segreta dei rom, quella raramente proposta dai media che per fedeltà a una sorta di ideologia della normalità (tra le cui caratteristiche si impone quella della disinformazione sistematica), sono del tutto incapaci di scavare nell'intimo delle relazioni sociali degli emarginati, soprattutto se esse riguardano situazioni estreme rispetto agli usi e costumi più diffusi in una società, cioè se si riferiscono a contesti come quelli che vivono i componenti dei campi nomadi.
I rom sono solitamente oggetto dei media solo sotto l'aspetto inquisitorio, messo in atto con sguardi fugaci, con brevi operazioni invasive della telecamera nei campi, frutto di iniziative speculative-commerciali per lo più legate a interessi politici-partitici i cui rappresentanti tendono a voler mostrare fatti malavitosi o pietisti, di malaigienità o superstizione, per fini ambigui, di solito legati alla ricerca di vantaggi elettorali.

"Il tempo dei gitani" è un film molto importante dal punto di vista della conoscenza e diffusione più di massa delle verità etniche del mondo occidentale, è un'opera che contribuisce a rafforzare un'immagine seria di cinema vero, capace di occupare un posto sempre più di rilievo nelle istituzioni culturali di ogni paese occidentale.
Kusturica migliora la qualità media, sociologica e letteraria, verista e formale, naturalista e simbolica, dei film archiviati nella storia dal cinema noto perché contribuisce alla soddisfazione di quell'esigenza cinefila e culturale che vuole da sempre estendere nel cinema sia tematiche sociali in un sempre più stretto rapporto con generi filmici originali, sia forme rappresentative di scrittura cinematografica nuove, frutto di un'invenzione, capaci di unire al documento sociologico verista presente nella narrazione il piacere dell'intrattenimento e il godimento di forme artistiche-stilistiche più impregnate di originalità.
Sono questi aspetti che tolgono rigidità alla tradizionale classificazione di un film in un genere preciso, tagliato con l'accetta, riproponendo ad un altro livello la questione cinematografica dell'invenzione, cioè che se il cinema è soprattutto arte e l'intrattenimento è uno tra gli eventuali suoi componenti, è del tutto impossibile ordinare i film in pochi generi come si fa abitualmente per ragioni commerciali e di distribuzione, occorre coglierne le sfumature narrative, almeno quelle più evidenti, per dare un vero nome collettivo di appartenenza al film.
A tal proposito, per questo film si potrebbe inventare una sua collocazione nel genere socio-fiabesco, perché alla credibilità sociologica l'opera di Kusturica congiunge una forma estetica-letteraria del narrare fatta di metafore e simboli scelti con estrema cura dalla immensa cultura rom, con intrecci e situazioni visive armoniche, rese anche particolarmente melodiose dalle splendide musiche di Goran Bregovic.

L'effetto di insieme del film sfocia anche in uno spettacolo riuscito, grazie alle numerose creazioni visive impregnate di tensioni e suspense che sono in grado di accelerare il ritmo narrativo facendolo entrare in una dimensione temporale altra, tipicamente deleuziana, che alleggerisce ogni scena di quelle parti legate al tempo lineare convenzionale dell'orologio a vantaggio di una maggiore e complessa presa emotiva che sconvolge e affascina nello stesso tempo, senza suggerire facili e rassicuranti approdi, ma trasportando lo spettatore in una superficie del tempo più segmentata, dove a seconda del valore drammatico di una situazione filmica un attimo può appare infinito e una scena lunga molto breve.
Splendida per verismo visivo e un po' più paradossalmente per soggettività espressionista la Milano decritta dalle telecamere di Kusturica: nebbiosa, grigia, con riprese dal basso in una Piazza Duomo semideserta che fanno risaltare, in una gelida freddezza di colori, i bambini rom che chiedono l'elemosina. I piccoli hanno uno sguardo smarrito, terrorizzati sia dalla stranianza della città sia dai loro boss che non esitano a punirli pesantemente al primo cenno di ribellione o di fuga anche momentanea.
E' la Milano che tutto sommato i bambini rom non possono non vedere col cuore in gola, senza alcuna speranza di poter entrare in una relazione verbale, anche solo fugace, con gli abitanti. La Milano quella vera, civile e gioiosa, ricca e luminosa, gli è preclusa. Ma nonostante ciò la comunità rom di Milano dimostra di essere viva, passionale, aiutata da una follia dell'immagine onirica che non accenna a spegnersi.
Numerose sono infatti le simbologie fantastiche che compaiono in modo surreale in diverse inquadrature il film. Il mito della madre e del padre trasposti in una donna ideale e in uomo che cerca con ardore di affrontare la vita e farsi una famiglia, sono evidenti in numerosi punti del racconto e danno energia narrativa proprio grazie al contrasto tra pulsioni di vita e di morte in cui è preso ogni essere umano inserito in un contesto di cultura o sottocultura sociale preciso come in questo caso quello dei rom.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 16/12/2011 17.13.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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