Recensione i sette samurai regia di Akira Kurosawa Giappone 1954
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Recensione i sette samurai (1954)

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locandina del film I SETTE SAMURAI

Immagine tratta dal film I SETTE SAMURAI

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Immagine tratta dal film I SETTE SAMURAI
 

"I sette samurai" è uno dei più celebri film di Akira Kurosawa. Girato nel 1954, con attori di pregio come Toshiro Mifune e Takashi Shimura, il film è considerato da autorevoli critici cinematografici un prototipo del film d'azione a tutto campo: un fluire in un unico filone narrativo delle numerose istanze spettacolari e culturali che lo costituiscono. Un'opera che dà spettacolo riuscendo a trasmettere nello stesso tempo contenuti di rilievo.

Con quest'opera si affermano definitivamente quei noti codici visivi orientali, già apprezzati in altri ambiti, che tanta parte avranno nel successo dei film da intrattenimento a tinte forti.
Un linguaggio cinematografico sopra le righe, ne sono un esempio i personaggi che si muovono con toni recitativi ieratici, sguardi drammatici con espressioni essenziali, penetranti; i movimenti pulsionali legati alla vita e alla morte sembrano sempre in bilico e in buona evidenza dialettica: lungo una sfida tra il bene e il male che chiama in causa di volta in volta la fatica e l'incertezza del lavoro, il conflitto di classe, le inquietudini legate al sesso e all'amore.
Sesso e amore sono espressi spesso in una contrapposizione dinamica, come due soggetti impazziti combattuti tra la necessità di mantenere un decoro rispettoso della morale dei tempi e l'esigenza di una istintività misteriosa, meno controllabile, che non può imporsi del tutto perché il suo scopo è fortemente creativo e violento nel mentre è frenata e avvolta dalle sublimazioni sociali più nobili.

Kurosawa riesce a mettere a fuoco con disinvoltura anche tematiche complesse: etiche, storiche, filosofiche, avvalendosi di uno sfondo narrativo a carattere epico. Queste tematiche rispecchiavano buona parte della realtà culturale e sociale del Giappone del '600. Esse si combinavano felicemente con le ragioni dello spettacolo dando al film un sapore superiore al mero intrattenimento.
Da notare che diversi meccanismi narrativi di questo genere di film, come ad esempio le sequenze e le logiche dei duelli, verranno poi ripresi nel cinema occidentale suscitando entusiastici consensi di pubblico. I cineasti occidentali hanno trasposto gli intrecci narrativi di Kurosawa ambientandoli nell'epoca west del 1800, svuotandoli però degli aspetti etici più stranianti.
Gli atteggiamenti più ieratici e le tradizioni ritualistiche più seduttive presenti nei film giapponesi di Kurosawa alimenteranno per alcuni anni, con successo, i codici linguistici western dell'occidente. Codici che soffrivano da tempo di carenze di innovazioni risultando perciò permeabili alle idee esterne e commercialmente aperti alle novità straniere.

Escono i "I magnifici sette" e "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone. Quest'ultimo accusato di plagio da Kurosawa perse la causa legale.
Per Leone fu uno scacco serio, i danni economici per i produttori furono gravi perché dovettero risarcire il regista giapponese distribuendo il film con procedure di vendita e di circolazione vincolate. Leone risulterà colpevole di aver copiato nel suo film numerose idee chiave de "La sfida dei samurai", magistrale film del regista nippponico; Leone aveva trasposto nel suo western anche quelle logiche psicologiche che avevano dato maggior sapore al film di Kurosawa .
Purtroppo i risultati della copiatura da film giapponesi non furono culturalmente apprezzabili perché troppo legate al mero effetto spettacolare, né ebbero l'effetto di stimolare ulteriori elaborazioni rispetto ai vecchi codici visivi. Nonostante le idee-stimolo di Kurosawa i cineasti occidentali dimostreranno di essere incapaci di creare nuove forme linguistiche nei western degli ultimi venticinque anni.
Anche per quanto riguarda i contenuti del cinema western essi riusciranno ad aggiungere poco a ciò che di storicamente tematico e artistico, con tratti giapponesi, era presente nei loro film. Quel tipo di cinema western, sorretto dalle felici idee giapponesi, rappresentò in occidente solo un grande e breve affare da botteghino. Il pubblico occidentale apprezzava la carica mitologica delle scene, i rituali spontanei che ricordavano i personaggi giapponesi, l'altrove affascinante dei rapporti di classe duri e violenti che richiamavano le relazioni tra contadini e samurai, legati questi ultimi da rapporti difficili ma ricchi di poesia mitica e di reciproche identificazioni.

Identificazioni che trasudavano forme di passioni indicibili. Quei personaggi giapponesi, rivestiti con alcuni semplici abiti occidentali, sembravano inventare, pur all'interno del tipico western occidentale un genere filmico nuovo. Come se fosse un altrove di successo, seppur riflesso di molte nevrosi e frustrazioni presenti nelle società occidentali. Un altrove immaginifico che fece rispecchiare le passioni giapponesi legate al sangue e alle regole affilatissime dei rapporti umani, simili alle spade dei samurai.
E' bastato sostituire le spade dei samurai con le pistole, le velocità strabilianti e mortali delle spade dei samurai con l'abilità e la velocità nell'estrarre la colt dal fodero, per ridare al western nuovi orizzonti. Orizzonti però che non si dischiusero più di tanto a causa del declino irreversibile e misterioso del genere western che avvenne dal '80 in poi.
Quelle copiature reiterate rappresentano una pagina triste del cinema occidentale. Sono da considerare lavori pseudo artistici, estremamente negativi della storia del cinema. Eventi di cui purtroppo si parla poco per timore di danneggiare il mercato d'archivio i cui film continuano a circolare nelle case portando notevoli guadagni. Queste copiature, in cui anche il cinema italiano fu coinvolto, rimarranno, grazie alla costante protezione dei media, scheletri scomodi nell'armadio-archivio dei film mitici dell'occidente.

"I sette samurai" è un film epico. Si svolge lungo numerosi affreschi di personaggi appartenenti alla cultura contadina e delle armi.
Kurosawa mostra con maestria l'orgoglio di casta ma anche la sensibilità umana e individuale dei samurai (ciascuno di essi rivelerà personalità molto diverse) che accettano di difendere i contadini dai predoni solo per un pugno di riso. Kurosawa scompone analiticamente le differenze di casta e di cultura tra i samurai e i contadini, spesso mostrando i conflitti che li animano per poi a un certo punto del film ricomporre il tutto e andare oltre le differenze facendo prevalere i motivi della difesa e dell'identificazione rispettosa tra contadini e samurai.
Identificazioni necessarie e passionali: forte garanzia contro l'arrivo della morte straniera rappresentata dai predoni ma anche da un altro oscuro vicino al senso mitico del destino giapponese legato al tragico; un tragico che non è quello dell'occidente.
Kurosawa mostra anche i forti conflitti tra villaggi e città, ma esalta quegli aspetti umani di solidarietà che vanno più a difesa del lavoro dignitoso e delle armi, intese queste ultime al servizio del bene: non idealizzando i samurai ma mostrando i loro aspetti più nobili e umani. Evidenziando quelle particolarità emotive e simboliche che si manifestano nelle condizioni sociali più difficili e straordinarie o quando il fascino della morte sembra richiamare i samurai" a una sfida di massimo orgoglio: vicino all'eroismo.
Di rilievo nel film anche la tematica del mito degli antenati. Essa sembra proporre qualcosa, nel sociale giapponese, di simbolicamente alternativo alle religioni legate al soprannaturale.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 30/05/2006

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