Recensione la casa dei fantasmi (1958) regia di William Castle USA 1958
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Recensione la casa dei fantasmi (1958)

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locandina del film LA CASA DEI FANTASMI (1958)

Immagine tratta dal film LA CASA DEI FANTASMI (1958)

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Il benestante americano Frederick Loren (Vincent Price), alla sua quarta esperienza di matrimonio viene incontro, un po' a malincuore, al forte desiderio della bella moglie Annabelle (Carol Ohmart) - che ha già tentato in precedenza di avvelenarlo - la quale vuole organizzare una serata party speciale per sfuggire alle noiose abitudini della vita matrimoniale.
L'uomo però è ossessionato dalla gelosia per la moglie e ciò lo porta a decidere di scegliere lui stesso gli invitati e a mettere in piedi un gioco complesso, ambiguo, di cui neppure lui sa per quanto tempo riuscirà ad essere il protagonista.
Frederik affitta per il party una strana casa, dall'aspetto esterno squadrato, isolata, già teatro di sette omicidi. Il proprietario dell'edificio informa che le anime di quei morti vagano ancora, ostili, malefiche, inquiete, tra i numerosi vani e corridoi dell'appartamento: forse in cerca di una ritorsione-vendetta che plachi le loro pulsioni?

Gli ospiti invitati da Frederick sono un singolare insieme, composto da sei persone di estrazioni sociali molto diverse: Ruth Bridges (Julie Mitchum sorella di Robert Mitchum) una giornalista, Watson Pritchard (splendida l'interpretazione del personaggio di Elisha Cook jr) il proprietario della casa, Nora Manning (Carolyn Craig) impiegata in una delle aziende di Frederick, Lance Schroeder (Richard Long) un pilota e il carismatico psichiatra David Trent (Alan Marshal).
La lontananza di ogni affinità professionale e psicologica tra i sei invitati dovrebbe secondo Frederik allontanare il pericolo di facili familiarizzazioni o rapporti troppo confidenziali che attenuerebbero la forza delle tensioni che ha in mente di costruire: quelle tensioni cui contribuiscono per intensità sia le sue frustrazioni matrimoniali sia gli eventi-spavento creati dai fantasmi veri.
Frederick offre a chi riuscirà a passare l'intera notte in quella casa, e quindi a sopravvivere, diecimila dollari. Per vari motivi tutti e sei i contattati sono interessati a quel denaro e, anche se sono un po' impauriti dal modo, che si preannuncia fino a quel momento oscuro, con cui dovrebbero ottenerlo, finiscono tutti per accettare la strana proposta.

La casa viene chiusa dall'esterno con l'impossibilità di uscire sia dalle porte che dalle finestre, quest'ultime hanno sbarre fisse. In caso di necessità quindi nessuno potrà ricevere aiuto. La notte, si prevede, sarà terrificante.

Primo film di grande successo al botteghino di William Castle, regista molto noto anche nel Cinema di serie B americano. A quest'opera faranno seguito altri film di qualità come "Il mostro di sangue" (1959, horror), "13 Gost" (1960, horror), "Il castello maledetto" (1963, horror), "Corpi avvicendati" (1967, commedia), "Jonny fir cloud" (1975, trhiller).
Il grande successo e alcune modalità di esecuzione tecnica di questo film porteranno Alfred Hitchcock ad investire in seguito nel famoso progetto "Psyco", un'opera filmica horror – psichiatrica che avrà uno straordinario, globale, successo qualitativo, un vero capolavoro di regia e interpretazione di cui l'autore inglese otterrà per molto tempo moltissimi riconoscimenti. Di "Psyco" Hitchcock è stato sia un coraggioso produttore che un eccezionale regista.

"La casa dei fantasmi", nonostante le apparenze, è un film complesso che al di là dell'effetto d'insieme che rilascia, semplice e ben legato a una ricerca di spettacolo i cui esiti tutto sommato sono apprezzabili, obbliga a delle riflessioni ulteriori, in parte filosofiche e in parte psicanalitiche, strettamente cinematografiche ma di portata concettuale più estesa, culturale, che trasportano verso un maggior interesse critico e teorico sul film.
"La casa dei fantasmi" fa perciò in un certo senso scuola di cinema, con dei risvolti a volte anche teorici: l'opera di Castle insegna che in ogni film c'è un pensiero nascosto, situato più in profondità, dal carattere principalmente filosofico, qualcosa che scorre sotto il senso principale del racconto, esso è ciò che i grandi semiologi paragonano all'inconscio, una sorta di Es del cinema.
Per intenderlo occorre vedere questo film diverse volte come quando, di solito, si fa per una recensione; un modo di guardare che deve avvenire però da una angolazione particolare, diversa, stando più attenti alla rete significante che la narrazione rilascia lungo le quasi due ore del film, una rete composta oltre che dai dialoghi anche dal linguaggio più propriamente visivo, quello costituito da metafore, metonimie, simboli, o segni espressi dai dettagli ingranditi di una scena.
Per far questo occorre almeno in seconda battuta, rinunciare del tutto al piacere dello spettacolo, che comunque come accade spesso è già avvenuto nella prima visione d'insieme del film, e concentrarsi soprattutto su come si dispongono i segni, il senso delle parole, i significanti, tra le righe della sintassi.
Alla fine tutto ciò va vantaggio di una verità maggiormente estesa del film, qualcosa che ridefinisce il senso principale della narrazione portandolo in una direzione significante più aperta, polisemica, lontano dalla univocità più stucchevole del significato spettacolare; qualcosa che ci libera, per via di uno studio più analitico, dalla seduzione dell'immagine divenuta, per esigenze di esibizione, sostanza simile al godimento della carne.

Si è abituati dai giornali e dal web a recensioni concentrate sopratutto sull'aspetto estetico e spettacolare del film ma in esse non ci sono quasi mai tracce di analisi filosofiche e psicanalitiche, a cui pur si prestano numerosi film, sorprendentemente anche quelli dalle apparenze più banali e un po' volgari come i cinepanettoni.
Ad esempio quando Nora ne "La casa dei fantasmi" appare spaventata dalle apparizioni di spettri e addirittura terrorizzata dallo psichiatra David Trent (che agisce anonimamente facendole credere di essere Frederick, l'organizzatore della festa, intenzionato ad ucciderla) essa mostra aspetti clinici nel comportamento che fanno pensare anche a dell'altro rispetto all'effetto che quel tratto narrativo voluto dal regista ha dato da subito, è qualcosa che fa deviare per qualche istante l'attenzione filmica dall'azione al pensiero, in direzione di termini psicanalitici e filosofici, cosa che porta lo spettatore al doppio pensiero, quasi simultaneo: da una parte riflette per capire la logica più essenziale delle scene in quel momento dall'altra medita per associazione di idee a un senso più profondo, aperto dai dettagli chiave del film.
Ad esempio il comportamento di Nora braccata dai fantasmi fa pensare all'isteria in un'accezione più complessa, di irrisolutezza psichica profonda, di marcata suscettibilità alla suggestione creativa, rispetto a ciò che si può trovare in alcune logiche freudiane quando formulano invece che la violenta scarica somatica dello psichico che caratterizza l'isterica è dovuta al peso insopportabile di due desideri opposti che non trovano una possibilità di articolarsi verso una quiescenza armoniosa, unitaria tra psiche e soma.
Allora l'isteria potrebbe riguardare anche persone con accentuate caratteristiche soggettive, disposte a subire delle azioni ipnotiche, e tutto questo rimescolerebbe il senso di alcuni aspetti del film notati in precedenza, perché ciò che appare a Nora può non essere vero ma frutto dell'isterismo che la tormenta e che lo psichiatra del film David Trent vuol strumentalizzare per i suoi fini tenuti nascosti fino alla fine.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 31/01/2012 17.50.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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