Recensione la terra regia di Sergio Rubini Italia 2005
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Recensione la terra (2005)

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locandina del film LA TERRA

Immagine tratta dal film LA TERRA

Immagine tratta dal film LA TERRA

Immagine tratta dal film LA TERRA

Immagine tratta dal film LA TERRA
 

Che meraviglia... in un'Italia che premia a Sanremo una canzone da Zecchino d'oro, per un popolo di bambini mai cresciuti, trovare film zeppi di riferimenti culturali e collegamenti con la letteratura più nobile ed evoluta.
E sì, perché nel nuovo film di Rubini, "La Terra", citazioni ed affinità col romanzo classico si sprecano, invitando a precise riflessioni critiche: fino a dove può spingersi il riferimento senza perdere in originalità? E' d'obbligo citare le fonti, o possiamo esimerci? L'ispirarsi ad opere precedenti è sempre conscio, o può essere dovuto a procedimenti intimi reconditi?
E' più onesto rifarsi al pensiero poetico dei grandi autori del passato, e di lì ricercare una propria via autonoma, o puntare all'originalità del risultato a tutti i costi, col rischio di decantare... il verso dei piccioni?
Personalmente prediligo la prima via, comunque segno di raffinatezza intellettuale e di profondità di pensiero, a garanzia di un "incontro" con l'autore comunque felice.

Dunque, nel presentare l'ultimo film del bravissimo Rubini, partirei proprio col citare le radici letterarie che ci vedo: un certo "verismo" verghiano, per l'importanza primaria data alla terra e al denaro dai personaggi e dall'ambiente, un tocco di "recherche" proustiana, nelle rievocazione del passato di chi ritorna al paese dopo tanti anni, e, per finire una storia di fratelli, guarda caso quattro, come nel "Rocco" di Visconti, ma, ancor più , come nei famosi Karamazov di Dostojevski.
Come già in questo romanzo, le personalità dei fratelli del film di Rubini delineano simbolicamente precise tipologie dell'umano: il sognatore utopista spirituale, il lucido pensatore disincantato, l'avido affarista legato al denaro, e l'individuo più animale ed istintivo, crapulone, bevitore e assetato di sesso. Con sviluppi evidentemente diversi che restituiscono al film le sue caratteristiche di originalità.

Mentre nel grande romanzo russo le vicende dei personaggi fanno emergere le somme problematiche umane della colpa, della responsabilità e delle conseguenti espiazioni salvifiche, in chiave "spiritualeggiante", nella dimensione "pugliese" del film di Rubini, il tutto sembra ricondursi alla terra, con un recupero piuttosto ambiguo dei valori familiari in chiave "meridonale"; quasi di stampo mafioso, dove l'omertà a difesa dei fratelli, è un'offerta che non può rifiutare fatta alla vedova del "morto ammazzato", finiscono per coprire la responsabilità dell'effettivo assassino! Altro che espiazione, mentre il film si chiude con una scenetta elegiaca dei quattro fratelli che tirano sassi alla campanella come da bambini!
La cosa, volendo, potrebbe leggersi come grande atto di onestà intellettuale da parte del regista, quasi a dire: il fratello più vecchio, insegnante di filosofia, era scappato (al Nord) per fuggire dal padre padrone (dal Sud), e si era "civilizzato", sposando una padanissima Claudia Gerini.
Ma, tornato nella avita Puglia, ormai rimossa, ripiombava forzatamente, suo malgrado, nel medioevo di un costume dove la famiglia (leggasi pure come "cosca mafiosa") fa premio sulle istituzioni e sullo stato, con una morale a sé stante, all'origine di tutto.

Vero questo, al film potremmo attribuire un contenuto di denuncia politica e sociale, se pure stemperata benevolmente dalla nostalgia delle radici, in chiave preteritiva. Mentre, sul piano morale, potremmo ravvisare una lezione coraggiosa, al giorno d'oggi decisamente controtendenza: rinunciando al denaro, con la vendita della casa, i rapporti affettivi si riconsolidano, denegando così il classico detto "pecunia non olet!".
Denso di questi significati, il film ha però luci ed ombre. Splendida la fotografia, la descrizione dei paesaggi, degli uliveti e delle vecchie masserie, rileviamo alcune sbavature nella recitazione e nel racconto: Bentivoglio, così decantato, ha a nostro avviso espressioni troppo statiche e uniformi (meglio di lui i fratelli, e il fantastico usuraio Rubini).
E il personaggio della fidanzata del fratellino (Giovanna Di Rauso), che corteggia il fratello maggiore appena ritornato, non risulta mai credibile, né durante la gita al mare, né tanto meno, nella scena di mancato amore sotto la pioggia, all'interno dell'antica torre.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 08/03/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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