Recensione le vite degli altri regia di Florian Henckel von Donnersmarck Germania 2006
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Recensione le vite degli altri (2006)

Voto Visitatori:   8,36 / 10 (217 voti)8,36Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior film straniero
Miglior film dell'Unione Europea
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film dell'Unione Europea
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior film straniero
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locandina del film LE VITE DEGLI ALTRI

Immagine tratta dal film LE VITE DEGLI ALTRI

Immagine tratta dal film LE VITE DEGLI ALTRI

Immagine tratta dal film LE VITE DEGLI ALTRI

Immagine tratta dal film LE VITE DEGLI ALTRI

Immagine tratta dal film LE VITE DEGLI ALTRI
 

1984. Repubblica Democratica Tedesca, il muro separa Berlino tra Est e Ovest, la "Stasi" ovvero il Ministero per la sicurezza di Stato, con i suoi 100.000 agenti ed altrettanti informatori controlla l'intera popolazione: vivere sorvegliati fuori e dentro le proprie case è la normalità per gli abitanti di Berlino Est, e considerato che quasi un tedesco dell'est su cento è una spia, il clima che si respira è quello di totale diffidenza. In questo quadro vivono e svolgono il loro lavoro Georg Dreyman (un bravo Sebastian Koch) drammaturgo, scrittore e regista di successo, e la sua compagna Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck) nota attrice di teatro; i due non tardano ad entrare nel mirino della Stasi, sia per la posizione sociale e la capacità di comunicazione di Dreyman ma soprattutto per l'interessamento passionale da parte del ministro della cultura (Thomas Thieme) nei confronti di Christa-Maria.

Il compito di sorveglianza del drammaturgo viene affidato al capitano Gerd Wiesler, nome in codice HGW XX/7 (uno straordinario Ulrich Muhe) ed al suo superiore, il tenente colonnello Anton Grubitz (Ulrich Tukur).
Nascosto in soffitta, sotto l'immancabile cuffia, Wiesler pian piano inizia a far parte della vita di Georg e di Christa-Maria, penetra nella loro intimità; come un torrente in piena, comincia a propagarsi in lui un certo spirito di insubordinazione, sotto l'impulso del quale le differenze di mentalità e di costituzione iniziano a vacillare: ed è qui che il film distoglie lo sguardo dall'invincibilità del potere di regime, del sistema totalitario che tutto monitora e controlla, ed entra nelle debolezze dell'animo umano. La frattura emotiva che incrina il granitico cuore di Wiesler è irreversibile, lo porta ad una lenta ma inesorabile conversione, stravolgendo completamente l'esito dei piani della polizia di stato.

La pressione psicologica che la Stasi operava nei confronti della popolazione è magistralmente rappresentata all'inizio del film da un imperturbabile Wiesler che spiega in aula ad alcuni futuri agenti i trucchi e le tecniche di interrogatorio della Stasi, dimostrando come l'obiettivo viene sempre portato a termine.

Particolarmente interessante è comprendere i motivi che inducono il capitano Wiesler a prender coscienza della propria condizione di onesto e inflessibile servitore di partito, ma anche di involucro vuoto se si guarda all'interno del proprio Io: la sua palingenesi avviene soltanto a causa della consapevolezza del proprio fallimento esistenziale, della propria mediocrità quotidiana o assumono importanza vitale gli impulsi che gli giungono dalle "vite degli altri"? E' lecito supporre che sia la seconda ipotesi la più accreditabile; l'apparente glaciale freddezza dell'uomo viene meno di fronte alla possibilità del confronto, il voyeurismo di fronte ai corpi nudi dei due amanti modifica la sua struttura, lo trasforma: l'arte, la musica, la cultura lo inebriano, si troverà, quasi senza volerlo, a leggere i bellissimi versi di "Ricordo di Marie A." da un libro di Bertolt Brecht sottratto dalla casa di Dreyman, ascolta Beethoven, è venendo a contatto con tutto ciò che Wiesler sposta l'ago della propria bilancia, allontana da se il grigiore imposto dal regime e si apre ai colori della vita vissuta.

Florian Henckel Von Donnersmarck, neodiplomato alla scuola superiore di cinema di Monaco di Baviera, al suo esordio centra subito un successo di pubblico e di critica stabilendo il record di candidature mai ottenute da un film agli oscar del cinema tedesco con 11 nomination, vincendo l'oscar come miglior film in lingua straniera del 2007.
Non è cosa da poco per un giovane regista sconosciuto: gli studi a S.Pietroburgo e ad Oxford nonchè la preparazione all'"Academy of television and film" di Monaco di Baviera hanno giovato al talentuoso regista, che ha creato un' opera intelligente e coraggiosa. Prima di lui il cinema tedesco aveva preferito soffermarsi, salvo rare eccezioni, esclusivamente sui danni provocati dal nazismo e non dal comunismo; d'altra parte il controllo che la Stasi operava nei confronti della popolazione tedesca (anche se negli interrogatori non si raggiungevano tali torture e aberrazioni) ricorda, mantenendo le dovute distanze, quello della famigerata Gestapo.

A tratti drammatico, commovente, affascinante, accurato nel ricreare le atmosfere che gravano nei quartieri di una Berlino Est triste, cupa, negli anni prima della caduta del muro, il film gode di una sceneggiatura compatta, curata in ogni dettaglio, con dialoghi essenziali mai sopra le righe. Anche gli interni non danno licenza al respiro, appaiono tristi e soffocanti: dagli uffici della Stasi dove avvengono gli interrogatori, alla cantina dove si svolge l'azione di spionaggio, fino alla squallida casa dove vive il capitano Wiesler, nella quale, occasionalmente, consuma fugaci incontri con delle prostitute, gli interni trasmettono tutti lo stesso misero grigiore. L'assenza di sensazionalismo non intacca comunque un ritmo che risulta incalzante dall'inizio alla fine.

Merita una menzione a parte il cast, che si è avvalso di alcuni dei migliori attori tedeschi, dal protagonista Ulrich Muhe (purtroppo recentemente scomparso) che avevamo già visto in "Funny Games" e "Amen", a Sebastian Koch, ammirato già nelle vesti del nazista buono in "Black Book", a Martina Gedek, bella e brava, apprezzata nel buon "Le particelle elementari", nonchè Ulrich Tukur ("A torto o a ragione"), Herbert Knaup ("Agnes and his brothers") e Thomas Thiere ("Gli ultimi giorni di Hitler"), tutti molto bravi.
Le musiche sono di Gabriel Yared (premio oscar per "Il paziente inglese"), la fotografia è di Hagen Bogdanski ed il montaggio di Patricia Rommel.

In definitiva un film elegante e coinvolgente che pone l'individuo come metafora di una società che inevitabilmente subisce un mutamento imposto dalla storia: gli orizzonti delle persone cambiano, contribuendo al cambiamento dell'umanità.

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 02/01/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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