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Corea del Sud, Provincia di Gyunggi. Una giovane donna viene rinvenuta stuprata e uccisa.
Successivamente altre due donne vengono ritrovate e salta all'occhio della polizia il fatto che tutte le vittime erano molto belle, vestivano un abito rosso e sono state uccise in un giorno di pioggia.
E' il 1986 e questa è la vicenda del primo serial killer della storia coreana. Un detective locale, Park Doo-man, viene coadiuvato da Seo Tae-yoon, detective giunto appositamente da Seoul. I due hanno modi di procedere diversi e quando la tensione aumenterà lo scontro sarà inevitabile.
Seconda opera di Bong Joon-ho, questo noir di ambientazione rurale, basato sulla vera storia del primo assassino seriale della Corea, si lascia guardare con grande interesse.
Il divario tra i due poliziotti è raccontato con abilità e la trama, seppur semplice nella sua linearità, si arricchisce di riferimenti culturali sulla Corea del periodo.
Intervistato circa l'effetto divertente di alcune scene sulle procedure di polizia, Bong asserisce che le parti che il pubblico del 21esimo Torino Film Festival ha trovato divertenti non erano state pensate per strappare il sorriso o per far risaltare il divario culturale tra i poliziotti di provincia e il detective cittadino, ma sono semplicemente il frutto degli studi che egli stesso ha compiuto per realizzare il film, quindi derivanti dalla realtà dei fatti accaduti all'epoca.
Certo è che la regia non ci risparmia né il lato brutto della storia, con i cadaveri in bella mostra, né quello seppur involontariamente divertente.
Come nel caso della scena in cui i poliziotti vanno ad una festa e nella stessa inquadratura vediamo in primo piano il detective di Seul e Park che discutono del caso arrivando alla rissa, in secondo il capo della polizia che vomita in una terrina e sullo sfondo, dietro un divano, un agente che assale una spogliarellista.
Questa brevissima scena racconta sui metodi e la moralità dei poliziotti dell'epoca più di quella in cui, per incastrare un sospetto, Park fabbrica dal nulla delle prove.
Il racconto dell'indagine si dipana con lentezza e la frustrazione dei poliziotti diviene un elemento predominante nei loro scambi verbali. E se anche il finale ci lascia con una sensazione di amarezza, in realtà appare decisamente un po' troppo forzata la deriva emotiva del poliziotto di Seul alla fine dei fatti.
La regia è misurata, l'ambientazione accurata e gli attori risultano tutti ampiamente nella parte.
L'uso da parte del regista di ogni singolo fotogramma per sottolineare una situazione insostenibile, sia sul piano sociale che su quello umano, rendono l'opera realistica e assolutamente innovativa dal punto di vista della rappresentazione.
Siamo anni luce dalle storie di poliziotti eroici o di cacciatori indefessi di assassini seriali. Questa è la realtà, e nella vita vera quasi mai i cattivi vengono puniti per i reati che commettono.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 19/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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