Recensione natale in casa cupiello regia di Eduardo De Filippo Italia 1977
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Recensione natale in casa cupiello (1977)

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locandina del film NATALE IN CASA CUPIELLO

Immagine tratta dal film NATALE IN CASA CUPIELLO

Immagine tratta dal film NATALE IN CASA CUPIELLO

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Immagine tratta dal film NATALE IN CASA CUPIELLO

Immagine tratta dal film NATALE IN CASA CUPIELLO
 

"Tommasì... te piace 'o presebbio?"

"Natale in Casa Cupiello", chi non la conosce? Persino chi ha visto al massimo due minuti di una qualunque altra commedia eduardiana (o chi non ha proprio mai visto niente) sa chi l'ha scritta e alcune delle frasi più famose.  Miracolo, prima della bravura di Eduardo, poi del teatro e infine della cattiva maestra per eccellenza, la televisione, che ha portato questa famosissima commedia agrodolce nelle case degli italiani, prima in una versione in bianco e nero del 1962, poi in quella diventata famosa a colori del 1977 (e spendo due parole per lodare tutto il cast, specie una Pupella Maggio strepitosa e un Luca De Filippo indimenticabile, su Eduardo non vale la pena spendere altre parole). Amata forse per quell'aria di familiarità che ogni personaggio riesce ad incarnare, grazie al nucleo familiare allo sbando, eppure tanto veritiero, formato da un vecchio sognatore (un antieroe eduardiano), una moglie con cui è perennemente in contrasto e un figlio mamo e "delinquentello" che la madre protegge come una chioccia. Andiamo però con ordine.

La nascita di "Natale in Casa Cupiello" è travagliata e rappresenta un vero e proprio spartiacque all'interno della produzione teatrale di Eduardo De Filippo. Alcune fonti fanno risalire il primo embrione di quello che sarà il secondo atto nel 1931; poi l'aggiunta di un secondo atto che amplia la commedia nel '32 o '33 (che corrisponderà al famosissimo primo atto) e infine il terzo atto che avrà una lunghissima gestazione decennale che attraverserà tutta la storia e lo scioglimento del "Teatro Umoristico dei De Filippo". Infatti si nota immediatamente che i ruoli scelti sono cuciti addosso ai tre fratelli De Filippo: Eduardo è sempre stato e sempre sarà Luca, Titina interpreta Concetta e il giovane e ribelle Peppino farà Tommasino, figlio ribelle e mamo (ruolo in cui era specializzato). Quando poi la compagnia si scioglierà per i contrasti feroci tra Peppino ed Eduardo sembra che l'ampliamento finale verrà finalmente attuato, rendendo la commedia quella che tutto oggi conosciamo. Ma fonti bibliografiche certe non ve ne sono su questo terzo atto benedetto, e lo stesso Eduardo cade spesso nella contraddizione in interviste rilasciate. Basti sapere che una lunga gestazione ha portato i tre atti ad essere perfetti e quasi autonomi l'uno dall'altro (un po' meno il terzo, forse), tanto da risultare in sé perfetti: il primo un prologo, e il terzo come epilogo. Venuti alla luce con difficoltà e di cui lo stesso autore parlava nei termini di un parto.

Venendo alla naturalezza di queste forme familiari e dei personaggi, non bisogna solo pensare alla recitazione pure straordinaria degli attori. C'è qualcosa di più: Eduardo la famiglia Cupiello "la conosceva veramente", parole sue. Tanto che inizialmente fu restio a rappresentarla a Napoli, dove diceva abitassero e che questo provocava in lui una commozione incontenibile. Molti affermano, ed è probabilmente vero, che i Cupiello fossero in realtà i nonni materni di Eduardo di cui tra l'altro marito e moglie condividono il nome. Ma poi a diventare il vero archetipo e simbolo di Natale è quello che piace chiamare "il Don Chisciotte dei presepi": Luca Cupiello.

Fissato nella sua mania di volere a tutti i costi costruire il presepe più bello, egli vive solo per quello, non accorgendosi di tante cose che gli accadono in casa: prima di tutto che a portare i pantaloni e ad essere la vera guida spirituale della famiglia non è lui, ma sua moglie Concetta; i due sono perennemente in contrasto (ma si vogliono bene, lo dimostra la preoccupazione di lui quando lei si sentirà male); suo figlio non è venuto su come avrebbe voluto, ma probabilmente il motivo di contrasto tra i due è quello che sempre accade nello scarto da una generazione all'altra: le continue domande di Luca, spesso ammiccanti, a volte veri e propri ricatti a cui Tommasino non cede, riguardano sempre il riconoscimento del presepe come di una cosa bella, pura, un capolavoro che il padre fa. Come fosse un riconoscimento della bravura di padre che ha saputo trasmettere al figlio la sua più grande passione. Infine, il motivo più importante è il dramma che si consuma a sua insaputa (inizialmente) tra la figlia e l'amante di lei. Luca stesso sarà involontariamente il fautore della distruzione del loro matrimonio, ma nel finale continuerà a vivere nella propria illusione (volontariamente?) unendo le mani dei due amanti e scambiando l'amante con il marito della figlia Ninuccia.

Tutto sommato c'è quindi poco da ridere, come in molte delle commedie eduardiane: le risate sono amare. Certo, non mancano e servono ad illustrare una situazione, altrimenti insostenibile, di povertà materiale e morale che cova in seno alla famiglia in disfacimento: se Luca e Concetta non perdono occasione per bisticciare, salvo poi preoccuparsi realmente l'uno dell'altro, è motivo di comicità l'astio tra Tommasino e lo zio Pasquale;  i due si rubano l'uno all'altro, si guardano male e danno vita a scenette comiche che riescono ad allentare una tensione crescente in tutti e tre gli atti, riuscendo quindi a non far mai venir meno un piacere dello spettatore nel guardare quello che altrimenti sarebbe il più cupo dei drammi. Le tragedie sono difatti solo sfiorate, ma spesso anche annunciate, e nel finale spazio per il riso proprio non c'è, bensì per la commozione: Luca è morente a causa dei guai della figlia con l'amante. Il finale in puro stile Eduardiano sarà ambiguo e commovente. Ma prima di venire al finale è giusto fare un ulteriore discorso sul personaggio Luca Cupiello.

Si è parlato di un archetipo, un simbolo: e non è un caso. Tanti attori e registi di teatro (e non) hanno interpretato o voluto interpretare i segnali inequivocabili di morte annunciata dati dal dottore al fratello Pasquale nella commedia come un ulteriore segnale di un'altra speranza: quella che Luca non morirà. Perché, sempre in accordo con quell'aria di familiarità che Natale in Casa Cupiello riesce a non scrollarsi di dosso, sapere che Luca è sempre lì, immortale, riesce ad essere quasi una speranza per chi lo ama per la sua ingenuità infantile di Peter Pan che non è mai voluto crescere. La morte, fine del percorso (in)naturale di un puro di cuore mai cresciuto, metterebbe una sorta di parola "Fine" troppo lapidaria sulla carcassa di un uomo amabile, per nulla detestabile e tanto positivo che ci pare conoscere. Ecco perché forse c'era chi, come Alberto Sordi, nelle ambigue parole del dottore ("ci vuole un miracolo, fate coraggio alle donne") voleva pensare che Luca sopravvivesse, e chi in altre rappresentazioni, in una sorta di omaggio al maestro, ha voluto far morire Luca Cupiello (Aldo Giuffré). Perché dietro" il gelo delle sue abitudini teatrali", al di là di questa freddezza, Eduardo è diventato per sempre Luca Cupiello suo malgrado, con la coppolella e il bastone che tanto sanno di casa. Si dice che involontariamente, negli ultimi anni di vita, alcuni atteggiamenti e il vestiario stesso di Eduardo a molti abbia fatto venire in mente questo pensiero comune.

E allora Luca, muore o non muore? Piace pensare che in una sorta di campana di vetro egli sia sempre lì, pronto a ripetere gli stessi gesti e le stesse parole in quel letto. Piace vedere nella sua faccia, dopo la gioia che gli ha dato il figlio ad un si ormai non più sperato, quella "ultima visione" di ingenuità e illusione, l'ultima, la più grande, esplicata ancora di più dal copione stesso in queste parole: "Ottenuto il sospirato sì, Luca disperde lo sguardo lontano come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge un brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un da fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù Bambini grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo..."
Luca (perduto dietro quella visione): "Ma che bello Presebbio!"

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Recensione a cura di elio91 - aggiornata al 23/02/2012 12.08.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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