Recensione nell'intimita' regia di Patrice Chéreau Italia, Francia 2001
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Recensione nell'intimita' (2001)

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locandina del film NELL'INTIMITA'

Immagine tratta dal film NELL'INTIMITA'

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"È facile uccidersi senza morire"
Hanif Kureishi

Hanif Kureishi è un esponente di spicco della nuova generazione di autori britannici, la cui cultura e le cui opere, pur rispecchiando le sue radici pakistane, hanno influenzato profondamente il cinema e la televisione inglese.
Dai suoi romanzi e dai suoi scritti, infatti, sono stati tratti alcuni noti adattamenti sia televisivi che cinematografici: Steven Frears nell' 85 ha diretto "My Beautiful Laundrette" e nell'87 "Sammy e Rosie vanno a letto", entrambi tratti da due suoi racconti; nel '98 è uscito il film "My Son the Fanatic", adattato da una sua novella; nel 2003 dal suo dramma "The Mother", Kureishi stesso ha sceneggiato il film omonimo, diretto da Roger Michell; mentre nel '93 ha adattato il romanzo "The Buddha of Suburbia", ricavandone uno sceneggiato televisivo in 4 parti per la BBC.

Stavolta, nonostante l'ambientazione londinese, è un regista francese, Patrice Chéreau a interpretare un suo racconto, il cui tema centrale è l'intimità. L'intimità come sinonimo di conoscenza, l'intimità come valore esistenziale, l'intimità la cui mancanza turba i rapporti interpersonali.
Presentato al Festival di Berlino del 2001, il film di Chéreau ha vinto l'Orso d'Oro come miglior film, ma ha suscitato parecchio scalpore e molte polemiche a causa delle molte scene di sesso esplicito e della crudezza della storia raccontata. Inoltre parecchi addetti ai lavori non hanno esitato a considerarlo l'erede diretto di "Ultimo tango a Parigi", di Bernardo Bertolucci, e di alcuni altri film. E così, anche qui è l'ossessività maschile che rovina l'equilibrio emotivo del protagonista, come in "Ultimo tango a Parigi" rovinò quella di Marlon Brando.

Siamo in pieno cinema del disastro d'amore, nel pieno della recita delle altrui tristezze, nel pieno della rappresentazione dell'incapacità umana di gestire i propri sentimenti, le proprie ossessioni, le proprie amarezze; come fosse il sesso il riscatto della vita.
Con "Intimacy" il regista francese ha diretto un film crudo e disperato, con cui, nel suo scrutare l'estrema fisicità dei corpi, indugia sui malesseri e le angosce dei giorni nostri; tanto il sesso che vi è rappresentato è impregnato di crisi esistenziale e di frustrazione per il fallimento dei rispettivi rapporti affettivi.
Ma "Intimacy" non è solo questo, "Intimacy" è l'intimità che un uomo e una donna riescono a raggiungere nell'estremo momento del piacere più intenso, soltanto un desiderio e un'attrazione fortissimi, senza esitare nella sessualità, solo corpi nudi affamati di piacere, sudore, ansimi, desiderio mettendo da parte tutto e tutti: i loro fallimenti, le loro nevrosi, le loro disperazioni, i loro squallori quotidiani.
Solo sesso: un uomo e una donna come due esseri disperati e perdenti che ricercano nei loro furibondi amplessi il linguaggio con cui comunicare nell'unico modo che conoscono. Niente parole, niente nomi, niente storie personali, solo corpi, solo sesso. Non c'è confidenza, non c'è conoscenza, forse non c'è neppure amore.

Lui, Jay, musicista fallito, quarant'anni, capo barman in un pub londinese, ha da poco reciso bruscamente i legami con la famiglia, abbandonando moglie e due figli (che pure continua a seguire con attenzione), e una vita che non lo soddisfaceva. Ora conduce un'esistenza piuttosto solitaria, condividendo uno squallido, sciatto, disordinato e sporco piccolo appartamento di Soho con un collega di lavoro gay, Lan, forse innamorato di lui, sicuramente geloso, e con le pulsioni sessuali di un amico, Victor, ex drogato, senza casa e senza lavoro.
Lei, Claire, quasi coetanea, è una donna misteriosa e segreta. Solo più tardi scopriremo che è sposata con un tassista bonaccione, ha un figlio e fa l'attrice dilettante in un piccolo teatrino underground. Di lei si sa solo che ogni mercoledì pomeriggio si reca a casa di Jay, suona il campanello e quando lui le apre la porta di casa entra, sale le scale e in una squallida stanza del malinconico appartamento si spoglia e sopra un letto sfatto e sgualcito si concede alla passione di lui.
Non parlano, non s'interrogano, non conoscono i nomi l'uno dell'altra e viceversa, fanno solo sesso. Un sesso senza preamboli, rapido, silenzioso, un sesso duro, quasi rabbioso, senza alcun coinvolgimento emotivo o sentimentale: soltanto due corpi attratti da un desiderio e da un'attrazione ineluttabili. Poi, quando tutto è finito, silenziosa come è arrivata, si riveste e va via, con il tacito impegno di tornare la settimana successiva.
Il mercoledì diventa così il loro giorno, il giorno in cui possono liberare tutta la loro sessualità repressa, il giorno in cui per un attimo assaporano la libertà, un giorno tutto per loro, ricco di sensazioni e di passione, che esclude tutti e di cui tutti ignorano l'esistenza.
Forse sono la solitudine, l'insoddisfazione, la voglia di contatto umano che permettono a Jay di accettare un rapporto basato esclusivamente sull'eros e sul rifiuto della conoscenza reciproca.

Fino a quando, un giorno, forse stanco di essere usato come oggetto sessuale, o forse perché mosso da un istintivo desiderio maschile di possedere l'anima oltre che il corpo della donna, spinto dalla frenetica ossessione di scoprire la vita che conduce al di fuori di lui e insinuarsi nelle sue insoddisfazioni, Jay non decide di infrangere la tacita regola e seguirla tra la folla.
La prima volta la perde di vista e rinuncia.
La seconda insiste e il suo pedinamento lo conduce nel sottosuolo di un pub adibito a teatro, dove poco alla volta scopre tutto di lei.
Si chiama Claire e fa l'attrice in una compagnia teatrale dilettantistica, e inoltre gestisce un laboratorio dove insegna recitazione agli altri membri della compagnia. Conosce anche suo figlio e suo marito, un uomo bonario che fa il tassista, e che le fa condurre una vita coniugale piuttosto banale e deludente.
Finito lo spettacolo, nel camerino, mentre lei si sta rivestendo come dopo uno dei loro incontri settimanali, Jay la affronta in una animata discussione a proposito di come gestire la loro relazione. Un mercoledì Claire torna a casa di Jay, dove lui finalmente trova la forza di dichiararle il suo amore e quasi la costringe a riconoscere l'ipocrisia del suo matrimonio, cercando di convincerla ad andare a vivere con lui.
Ma ormai l'incanto si è rotto, Claire rifiuta la proposta, la violazione della sua intimità comporta la fine della loro storia e forse anche della felicità. Poi si lasciano andare ad un ultimo amplesso, restando però vestiti, poiché la magia del sesso tra sconosciuti è ormai perduta per sempre.
È la vita, con le sue complesse stratificazioni sentimentali, che fa irruzione nel loro mondo e nella loro intimità. Quando lei va via, il suo confondersi nel traffico della città sintetizza la fine di una storia che ha ormai il sapore amaro delle cose perdute, a riprova che l'eros alligna solo quando è nel chiuso di un'assoluta separatezza non toccata dalla realtà esterna.

Film difficile ed esasperato, "Intimacy" (bollato come pornografico dalla stampa ben pensabile dell'epoca, in realtà il film di Cheréau è tutt'altro che pornografico), rappresenta una grande prova registica e attoriale, consacrata dai numerosi premi vinti in tutto il mondo (oltre all'Orso d'oro vinto a Berlino come miglior film, l'attrice Kerry Fox, nello stesso festival, è stata premiata come miglior interprete femminile), per il modo in cui traduce per immagini quei malesseri e quelle nevrosi esistenziali che solo nel sesso trovano riscatto.
L'erotismo, dunque, come unica via di fuga dai condizionamenti sociali, come unica forma di comunicazione tra due esseri e due sessi, come unico valore esistenziale.
I due protagonisti, infatti, vivono la loro relazione con un'intensità che ha il sapore della liberazione dalla solitudine, come due sconosciuti che appagano le loro fantasie erotiche.
Ma nelle loro nevrosi gli amplessi non sono solari, gioiosi, sereni; al contrario il loro è un sesso doloroso, sofferto, disperato, un tentativo frustrato di rovistare le loro anime attraverso il corpo.
Lo stesso appartamento, spoglio, sciatto, disordinato, dove i due protagonisti si incontrano, si seducono, si posseggono e si tormentano, sembra simboleggiare l'inquieto vuoto di una vita finita.Altrove c'è lo squallore della vita reale, il cupio dissolvi delle realtà quotidiane.
Il sesso diventa quindi bisogno, urgenza, necessità; un punto fermo nella precarietà esasperata delle loro esistenze. Solo quando si spogliano, quando sono nudi, quando si avvinghiano, quando si amano, solo allora sono vivi, solo allora sono veramente se stessi.
E quando l'uomo cerca di approfondire la conoscenza, il fragile equilibrio della loro storia fondata sulla clandestinità, si incrina definitivamente, finendo col ribadire ancora una volta la negazione di ogni possibile intimità.

"Intimacy" è un film sui sensi più che un film sensuale, ed è molto probabile che Cheréau lo abbia concepito per soddisfare la sua voglia di scavare nell'incapacità umana di gestire la solitudine.
Il film infatti è la storia della solitudine di un uomo, per il quale l'incontro settimanale con quella donna sconosciuta, rappresenta qualcosa di molto più importante del semplice incontro basato esclusivamente sul sesso, qualcosa di molto più importante del ripetitivo e meccanico atto sessuale, rappresenta il bisogno che l'uomo ha della donna, il bisogno spaventato dell'amore.
Al di là di ogni retorica e pruderie, Chereau osa filmare i veementi amplessi dei due amanti, mettendo a nudo nei minimi dettagli le imperfezioni dei loro corpi, resi poco attraenti dal tempo, eppure così vogliosi e affamati, senza esitazione alcuna nella ricerca del piacere che, nello squallore delle loro quotidianità, diventa quasi una necessità con cui cercare il nesso della fuga dalla realtà.
Ambientato in una plumbea periferia londinese, "Intimacy" è un film girato più col cuore che con la ragione; la macchina da presa di Chereau mostra ogni minimo dettaglio dell'amore fisico senza per questo dare alle scene di sesso un taglio provocatorio o scandalistico, perché Claire e Jay sono persone reali, perché fanno ciò che un uomo e una donna fanno in quel momento segreto in cui si chiude fuori il mondo e si lascia parlare il proprio corpo.
E, come dice Cheréau, "credo sia quasi commovente vedere due persone che cercano di darsi piacere usando i loro corpi per comunicare".

Il film è impreziosito da una colonna sonora a dir poco sbalorditiva, che alterna brani rock ad altri dai toni più sensuali, non mancando un celebre brano sinfonico di Shostakovich, e eseguito dall'orchestra sinfonica di Praga.
Da segnalare le straordinarie e difficili prove dei due protagonisti, a cui prestano volto e corpo il consumato e stropicciato Mark Rylance, attore inglese di formazione teatrale, veramente bravo nel rappresentare l'animo tormentato e preda di una profonda crisi esistenziale di Jay; e la neozelandese Kerry Fox, la quale, nel difficile ruolo di Claire, si dimostra eccezionale nel rappresentare il mistero di questa donna, forse bisognosa d'affetto, che non chiede niente, ma al contempo estremamente determinata a cercare una relazione di grande intimità sessuale, scevra però da qualsiasi complicazione sentimentale.
Notevole anche l'interpretazione di Timoty Spall nel ruolo scomodo del marito tradito, che contribuisce alla riuscita dell'opera di Cheréau, il quale mette in scena un film doloroso e vero che, pur presentando situazioni estreme, si caratterizza come una reale indagine sulle difficoltà relazionali, viziate dalla mancanza di sincerità, di cui ognuno di noi ne sperimenta le conseguenze quasi quotidianamente.

"Ma forse la qualità di un amore non si misura dalla sua durata."
Hanif Kureishi

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 10/10/2012 15.33.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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