Recensione nessuna qualita' agli eroi regia di Paolo Franchi Italia, Svizzera 2007
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Recensione nessuna qualita' agli eroi (2007)

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locandina del film NESSUNA QUALITA' AGLI EROI

Immagine tratta dal film NESSUNA QUALITA' AGLI EROI

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Immagine tratta dal film NESSUNA QUALITA' AGLI EROI
 

Cupo noir esistenziale, "Nessuna qualità agli eroi", opera seconda del torinese Paolo Franchi, studioso di critica psicanalitica dell'arte contemporanea, è una discesa tortuosa nei meandri oscuri della psiche umana e un dramma psicologico teso a scandagliare il male di vivere connaturato alla vita odierna.
Progetto ambizioso, il film è indubbiamente ostico, quasi certamente imperfetto, ma sicuramente molto al di sopra dell'attuale panorama cinematografico italiano.

Presentato alla 64ma Mostra del Cinema di Venezia, il film rappresenta il più clamoroso scivolone della critica nostrana, che non ha saputo cogliere il simbolismo profondo che permea la drammaticità delle scelte individuali dei singoli personaggi.
Probabilmente infastiditi dall'accusa di sessuofobia, lanciata loro dal regista durante la conferenza stampa alla fine della proiezione, per aver definito assolutamente gratuite sia le molte scene di nudo e di sesso presenti nel film che il modo con cui erano state girate, i maggiori critici italiani si sono impegnati, con un accanimento quanto meno sospetto, a stroncare un'opera che invece ha il pregio di non essere preconfezionata, e di caricare di significati molto precisi ogni sequenza e di suggestioni lo scorrere delle immagini.
Certo ha il difetto (o il pregio?) di indurre lo spettatore ad uno sforzo di attenzione e di concentrazione molto superiore rispetto alla maggioranza delle opere che oggi il cinema ci propone, ed in particolare quello italiano, e di guardare forse con troppa simpatia ad un certo cinema europeo, e più precisamente a quello francese, che più si affida al magnetismo delle immagini, alle atmosfre rarefatte e cupe, alle inquadrature notturne, soffocanti e piovigginose, ai personaggi inariditi da sentimenti inespressi e dolori dell'anima che confluiscono in desideri onirici e rapporti sessuali ansiosi e problematici.
Forse, ancora, non tutti i disagi che affligono i due protagonisti (indebitamenti, impossibilità di generare, rapporti conflittuali coi genitori) sono sviluppati compiutamente.

"Nessuna qualità agli eroi" appartiene invece a quel genere di film introspettivi, difficili da capire e da trattare, pieni di simbolismi onirici e di metafore insistite che spiazzano lo spettatore per quella sensazione di malessere che lasciano addosso, come se il tutto provenisse da un'intelligenza che non si fa comune e non in grado di entrare in sintonia con lo spettatore.
Ma ciò non induce a considerare il film un'opera presuntuosa o, peggio, inutile, come molti critici, un po' troppo superficialmente, lo hanno definito.
Al contrario il film di Paolo Franchi è si un lavoro tortuoso ed estetizzante, strutturalmente complesso, ma è un'opera importante, delicata, piena di simbolismi psicanalitici che ruotano sull'eterno conflitto tra sensi di colpa e tentativi di espiazione, un'opera labirintica, zeppa di enigmi irrisolti, angosce esistenziali, fitta di ombre e di rapporti genitori/figli negati.

Un film che comincia là dove finisce, nello studio di un medico, dove Bruno Ledaux (Bruno Todeschini), figlio di un artista svizzero, broker quarantenne trasferitosi da tempo a Torino, riceve la notizia di essere sterile e di conseguenza destinato a rimanere per sempre figlio di un artista troppo preso dalla sua arte e troppo interessato a se stesso, e per ciò assente e incompleto come genitore, un padre che ha sempre odiato. A tutto questo si aggiunge una situazione economica disastrosa, a causa di un grosso debito contratto con uno strozzino, che si nasconde dietro la rassicurante figura di un banchiere usuraio.
Nonostante le due circostanze lo deprimano facendolo precipitare in uno stato di profondo vuoto esistenziale da cui sembra difficile poter uscire, questi cerca in tutti i modi di tenere all'oscuro di tutto la bella moglie, Anne (Irène Jacob), che non potrà mai rendere madre e che ignora la grave situzione economica dal marito.

Ma un giorno, in una Torino algida e piovigginosa, nella vita di Bruno irrompe un altro "figlio", Luca (Elio Germano), uno strano ragazzo corroso dall'angoscia, tormentato e nevrotico, strizzato nel corpo e inquieto nell'anima, dagli occhi spiritati e con il volto che reca i segni di un dolore nascosto e ancestrale, che cerca di esorcizzare attraverso momenti di vitalistica esaltazione e con una vita sessuale ansiosa e malsana.
Anche Luca ha molti segreti e molti lati oscuri da cancellare e, come Bruno, nell'ondivago girovagare della sua mente, tenta di dare un senso alla propria vita di eroe senza qualita.
Apparentemente niente sembra accomunare i due uomini, e invece la vita dell'uno sarà terribilmente condizionata dalla vita dell'altro, quando in un finale rivelatore si scoprirà che il ragazzo è figlio conflittuale del banchiere/strozzino, scomparso misteriosamente da qualche giorno, e si scopre anche qual è il rapporto che lega gli eventi e i personaggi: Luca smarrirà definitivamente il senso della realtà, Bruno si assumerà il peso di una colpa non sua.

Film enigmatico, tortuoso, colmo di pieghe oscure e rimandi simbolici (Luca è forse la proiezione di Bruno? Il suo alter ego? il suo doppio immaginario? O è forse il figlio che non potrà mai avere? E la vicenda stessa è reale oppure è tutto un sogno, un semplice delirio che prende concretezza? Ed entrambi sono due eroi senza qualità di uomini o sono due uomini senza qualità di eroi? D'altronde lo stesso regista ha parlato di film "aperto", "nel quale ognuno può leggere ciò che più gli appartiene").

Ne ese fuori un'opera oltremodo complessa e ricca di ispirazione, nella quale non basta subire quello che si vede, ed alla quale bisogna accostarsi con la consapevolezza di assistere ad un esercizio di stile, freddo e rigoroso quanto si vuole, ma autoriale, colto e viscerale.
Un'opera che bisogna leggere con la chiave giusta, cioè il simbolismo psicanalitico, e che il regista racconta affidandosi alla forza suggestiva delle immagini, fatte di silenzi interminabili, scene notturne claustrofobiche in una Torino plumbea e flaggellata dalla pioggia, scene erotiche molto esplicite ma fortemente simboliche, tese a dare concretezza alla parte più istintuale e repressa dei due protagonisti, corpi e volti mostrati con una crudezza che, se non compresa, rasenta la sgradevolezza.

Con questo lavoro Paolo Franchi si conferma un cineasta che lavora molto per immagini e per rimandi simbolici: e così gli ambienti rispecchiano gli stati d'animo e le esistenze frammentarie dei protagonisti, il conflitto tra conscio e incoscio che li dilania incornicia perfettamente le loro drammatiche sensazioni, la cupezza esasperata di certe scene, in netto contrasto con il bianco acceso della casa di Luca, ci conduce all'atonia che caratterizza le reazioni emotive dei personaggi, che solo i repentini e vivaci scoppi di sessualità paiono risvegliare.

C'è voglia di uscire dallo stereotipo del cinema italiano contemporaneo, fatto principalmente di trentenni insoddisfatti, teen- ager alle prese con le trepidazioni della notte prima degli esami, o di vogliosi ragazzotti che volano alto tre metri sopra il cielo; ma, soprattutto c'è voglia di appassionare, di infondere autenticità ai personaggi, di decodificare il male di vivere che attanaglia le esistenze frammentate di coloro che cercano di dare un senso alle loro vite, ma finiscono in una dimensione interiore di sofferenza, solitudine, incomunicabilità e di straniamento verso la quotidianità di una esistenza ormai compromessa.

Bruno Todeschini si conferma attore di talento non comune; la sua interpretazione del personaggio di Bruno Ledeux, un uomo mediocre e senza nessuna qualità, statico nell'atonia dei suoi sentimenti come un naufrago alla deriva nel mare della vita, è volutamente "monocorde" e, nonostante ciò riesce nella difficile impresa di esprimere tutta l'angoscia dei sentimenti che lo avvolge, il malessere dei suoi problemi esistenziali, offrendo così una prova inappuntabile della sua professionalità.
Elio Germano convince ancora una volta e si conferma un talento in continua crescita e uno dei migliori (o il migliore) fra i giovani attori attualmente sulle scene italiane. La sua capacità di passare repentinamente da uno stato d'animo al suo opposto è sorprendente, così come la capacità di mettere il proprio corpo al servizio del personaggio è perfettamete funzionale alle dinamiche soggettive e caratteriali dello stesso. La scena, oggetto di scandalo a Venezia, che lo vede completamete nudo ed eccitato sessualmente, se vista con occhi non prevenuti, passa quasi inosservata e risulta necessaria per descrivere un personaggio psicotico, mentalmente disturbato, in preda ad un tormento interiore causato da un rapporto estremamente difficile con l'odiato padre, che trova nei repentini e ansiosi scatti sessuali una valvola con la quale dare sfogo alle proprie pulsioni ed esorcizzare i fantasmi che gli si agitano dentro.
Brava pure Irène Jacob, già musa di Kieslowski ne "La doppia vita di Veronica", molto efficace nel ruolo della moglie bella e innamorata di Bruno.

Tanti simbolismi, dunque, e tanta ricerca estetica, ma anche tanta voglia di indagare l'animo umano, in questa storia bellissima ed ispirata, che si colloca nel solco che il cinema d'autore ha tracciato con la psicanalisi, e che si ispira un po' a Bertolucci e un po' a Buñuel ed anche al citato Kieslowski ed al cinema dell'incomunicabilità di Michelangelo Antonioni. Un'opera ardita e coraggiosa alla quale accostarsi solo se si è interessati a questo tipo di cinema, che non lascia indifferenti, ma ammirati per la coerenza con le proprie idee e per il coraggio di mettettersi in gioco, dimostrati dal 37enne Paolo Franchi.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 02/04/2008

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