Recensione nuovomondo regia di Emanuele Crialese Italia, Francia 2006
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Recensione nuovomondo (2006)

Voto Visitatori:   7,77 / 10 (113 voti)7,77Grafico
Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Migliore scenografiaMigliori costumiMigliori effetti speciali
VINCITORE DI 3 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Migliore scenografia, Migliori costumi, Migliori effetti speciali
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locandina del film NUOVOMONDO

Immagine tratta dal film NUOVOMONDO

Immagine tratta dal film NUOVOMONDO

Immagine tratta dal film NUOVOMONDO

Immagine tratta dal film NUOVOMONDO

Immagine tratta dal film NUOVOMONDO
 

"Sono fortemente contrario alla politica delle 'porte aperte'. È arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nostra nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata di immigrati. A meno di qualche seria iniziativa, l'ondata avvelenerà le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre città più grandi un numero enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie."
È il pensiero, risalente al 1905, di un funzionario di Ellis Island, ma potrebbe essere perfetto nella bocca di un Bossi odierno: i movimenti migratori scatenano in ogni periodo storico le reazioni più disparate nella popolazione ospitante ed evidentemente poco, nonostante i cent'anni passati da quella frase, è cambiato nella testa delle persone.

"Nuovomondo", raccontando la storia di una famiglia di migranti, rappresenta in modo incantevole non solo le vicende di molti tra i venti milioni di persone che dal 1890 al 1980 lasciarono l'Italia per gli Stati Uniti, ma riesce a far emergere con nitida chiarezza e uno stile asciutto la speranza, la frustrazione e la disperazione di coloro che arrivano ogni giorno sulle nostre coste, in cerca della loro America.

La storia è quella della famiglia Mancuso: Salvatore, vedovo, i figli Angelo e Pietro (sordomuto), l'anziana madre Fortunata cui, poiché "per sposarsi si va in America", si aggiungono due ragazze promesse a uomini che abitano al di là del grande mare e possono offrire i "piccioli" che, in una terra arida e miserevole come la Sicilia di inizio novecento, non sono certamente un bene comune.

All'imbarco, sulla costa, si aggiunge alla famiglia il misterioso e sfuggente personaggio di Lucy, giovane anglosassone che va in America con gli occhi tristi, forse perché non sogna ciò che sognano gli altri, forse perché ha già visto quel che c'è dall'altra parte del mare. Non sappiamo molto di lei e dei suoi compagni di viaggio, ma quello che ci interessa è il loro viaggio verso una vita che si spera migliore.

Qualcuno, ironicamente, ha detto che i giovani autori italiani, esordienti o quasi, non lavorano ma "capolavorano". Nel caso di Emanuele Crialese la frase può essere detta senza alcun sarcasmo: con "Nuovomondo" ci regala davvero un piccolo capolavoro.

Il primo aggettivo che viene alla mente ripensando al film è "pittorico": surrealista nel ritrarre le olive giganti sognate in superotto, l'onirica pioggia di monete addosso a un uomo che, non solo metaforicamente, si seppellisce vivo pur di non morire a Petralia, profonda Sicilia, il bagno dei migranti nei fiumi di latte della "Califormia" aggrappati a enormi carote galleggianti; caravaggesco nell'uso di colori alla massima saturazione quando descrive Lucy e i suoi abiti di velluto e broccato nel grigiume della pancia di una nave; degno di Velasquez nelle inquadrature corali di una massa indistinta di migranti anneriti dal fumo delle ciminiere, dalla sporcizia, dalla fatica e dalla fame; con tocchi di Guttuso, Pellizza da Volpedo ("Il quarto stato"), Annibale Carracci (il famoso "Mangiatore di fagioli").
C'è molta storia della pittura nelle inquadrature di Crialese e nei magnifici costumi disegnati da Mariano Tufano, prime tra tutte quella di Salvatore, Angelo e Pietro abbigliati con i panni da viaggio come fossero in posa davanti a un muro scorticato, e lo sguardo tra Fortunata e Lucy nello stanzone di Ellis Island che, mentre attorno tutto letteralmente si ferma come in una pausa di teatro, si passano simbolicamente il testimone tra vecchio e nuovo mondo.

Ma sembra che Crialese cerchi di saldare un debito con l'arte in generale e non solo con la pittura: il movimento ondoso dei corpi sballottati durante la tempesta del "grande Luciano" (il grande oceano, come teneramente travisa Salvatore) mima una coreografia di danza contemporanea, le inquadrature del deserto pietroso siciliano sembrano una scenografia teatrale, mai nascosto è il tributo al cinema neorealista. E gli omaggi sono sempre privi di banalità, inseriti con grande intelligenza nel contesto narrativo.
Esemplare in questo senso la scena della partenza della nave dall'Italia: a terra rimangono i pavidi e gli straccioni che mangiano Portogallo seduti sul molo, mentre pare che un pezzo di Sicilia si stacchi letteralmente dalla costa come una zattera che porta i più fortunati e coraggiosi oltre il grande oceano.

Eppure lo stesso regista, forse con falsa modestia, dice di sé: "Devo ammettere che mi sento piuttosto ignorante in molti aspetti, tra cui proprio quello delle arti figurative. Non vedo televisione, vado pochissime volte a teatro, non vado troppo al cinema.".

Non c'è retorica, non c'è enfasi nella mano leggera di Crialese che sceglie sempre campi di visuale limitati per escludere volutamente lo spettatore da una meta che non apparirà mai, perché a quella terra di sogni i nostri protagonisti non apparterranno mai del tutto. Tutto il film è infatti composto da inquadrature strettissime, primi piani e visuali parziali.
Solo il nulla di Petralia viene inquadrato nella sua totalità con il campo che progressivamente si allarga fino a diventare amplissimo, all'inizio del film, come a significare che da una terra senza speranza non si può che voler fuggire dopo un pellegrinaggio sulla cima di un monte, con una pietra in bocca, per chiedere a Dio il lasciapassare per l'America.

I nostri "eroi" si stagliano appena dalla massa: non sono speciali, non hanno abilità particolari, non sognano di cambiare il mondo ma semplicemente di uscire dal nulla senza prospettive in cui hanno vissuto dalla nascita; l'unica figura che si distingue per la sua eccentricità è Lucy/Luce, la giovane che si unisce alla famiglia Mancuso per necessità, in modo spontaneo e senza chiedere permesso, per poi divenirne elemento centrale: bellissime le danze di sguardi con Salvatore sulla nave, tenero il modo in cui suggellano la propria promessa di matrimonio (senza amore, ma forse un giorno verrà anche quello, dicono) davanti ai funzionari della macchina per immigrati di Ellis Island.

Una menzione particolare meritano le figure di Fortunata e, soprattutto, di Pietro, simbolo di tutti i presunti deboli di mente che venivano "segnati" con una X già all'arrivo a Ellis Island, descritta nel film come una via di mezzo tra un falansterio e un laboratorio per gli esperimenti sulla selezione della razza.
Il vademecum distribuito ai migranti sbarcati sull'isola recitava che "i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie infettive, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano" e, nonostante solo il 2% di chi arrivava sia stato effettivamente rimpatriato, dalla convinzione che le disabilità fossero contagiose nasce nel 1902 il laboratorio di eugenetica per la difesa della razza anglosassone che porta alla sterilizzazione di sessantamila persone, in gran parte straniere.

Pietro e Fortunata portano addosso lo stupore e l'indignazione di essere considerati diversi e inferiori, quando invece è solo l'orgoglio a impedire loro di sottomettersi alle umilianti prove attitudinali imposte dalle autorità per l'immigrazione.

Ma nel film di Crialese non c'è giudizio, né verso chi arriva né nei confronti di chi ospita: il suo è un punto di vista che cerca l'imparzialità pur non risultando distaccato. C'è da credergli quando dichiara "Il film è nato da una visita al museo di Ellis Island. Gli sguardi degli immigrati puntavano storditi verso l'obiettivo come se fossero appena sbarcati sulla luna.
Questo film non è stata una scelta politica o sociologica. E' scaturito solo da quegli sguardi.". E si può aggiungere che, alfine, anche senza averli visti nelle immagini d'epoca, quegli sguardi diventano reali grazie a questo capolavoro del cinema contemporaneo.

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Recensione a cura di martina74 - aggiornata al 16/10/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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