Recensione open water regia di Chris Kentis USA 2003
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Recensione open water (2003)

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locandina del film OPEN WATER

Immagine tratta dal film OPEN WATER

Immagine tratta dal film OPEN WATER

Immagine tratta dal film OPEN WATER

Immagine tratta dal film OPEN WATER

Immagine tratta dal film OPEN WATER
 

"Open water", uscito nel 2003 negli USA, è diretto da Chris Kentis, che ricordiamo volentieri nel lungometraggio "Grind" del 1997 in una coinvolgente storia drammatica dai risvolti sociali tristi.
Chris è un autore completo nel senso che segue tutta la lavorazione del film, dimostrando di essere oltre che un buon regista anche un capace sceneggiatore, nonché un montatore provetto esperto di fotografia.
Chris inoltre è un vero professionista delle immersioni subacquee, cosa che gli ha permesso di curare personalmente in "Open Water" gli aspetti più professionali delle immersioni, contribuendo a dare al film una precisione tecnica che a volte rasenta la perfezione.

"Open water" è un film della serie acquatico, un genere noto per il suo contenuto drammatico, intenso, teso, il cui esempio classico è rappresentato dal film "Lo squalo" di Spielberg, pellicole i cui finali sfociano normalmente in un parziale o totale scioglimento delle tensioni estreme messe in gioco dalla narrazione.
In questo caso, un po' a sorpresa, il finale prende vie del tutto inusuali lasciando alcuni spettatori insoddisfatti e altri - forse quelli più inclini a sviluppare sintomi nevrotici - appagati, in un certo senso ammaliati, forse sinistramente assuefatti dal grigio fascino della morte, in arrivo nel film con gli squali provenienti dal profondo habitat oceanico.

"Open water" in un primo momento non ha avuto una sufficiente affluenza al botteghino, né una buona valutazione da parte della critica, nonostante ciò con il passare degli anni è diventato un film cult dimostrando, attraverso il successo delle proiezioni nel privato e in quelle televisive, di saper suscitare un interesse sempre maggiore, forse più sintomatico che legato a un gusto preciso, riconoscibile, classificabile, una sorta di mania per la morte non giustificata dalle qualità fotografiche del film o dalle tensioni degli intrecci, né da altri valori strettamente cinematografici, caratterizzanti forme e contenuti dell'opera.
Il post-successo di "Open water" non è facilmente interpretabile con le tradizionali logiche di spettacolo calcolate a tavolino, perché è di tipo effettuale lontano perciò da metodi capaci di spiegarne il senso avvalendosi di strutture logiche sistematiche. Il film è legato in buona parte a un fascinoso che ha preso campo irrazionalmente, imprevedibilmente, toccando negli spettatori corde psichiche particolari, a volte aprendo addirittura in loro sensibilità inconsce, pre-psicotiche, di difficile formulazione estetica, e i cui aspetti poetici-onirici non possono comunque essere messi in discussione perché il cinema ha la capacità e il diritto di confondere i confini percettivi tra normalità e anormalità, tra ciò che è dominio del conscio inteso come assiduo e instancabile dominatore della realtà, e ciò che è dominio dell'inconscio recepito come luogo e tempo di formazione dei desideri immaginifici, a volte impossibili o strani.

Apprezzabile il film per semplicità e scorrevolezza narrativa , straordinarie in un regista che non si è mai concesso completamente al cinema preferendo continuare a coltivare diverse professioni. Chris ha saputo inoltre mettere in campo un potente contrasto tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, tale da lasciare stupefatti per il gioco creativo del sintomo conseguente, evidente nel linguaggio speranza-morte che funge in un certo senso addirittura da intrattenimento ed è parlato, dai due protagonisti in acqua per quasi 24 ore, fino alla loro fine.
Kentis ha rinunciato ad ogni compromesso con le convenzioni filmiche più usuali, storicamente felicemente cristallizzatesi in cineteche-studio, rifiutando con grande determinazione ogni tipo di interesse merceologico, e proprio per questo ha pagato, in un primo momento, al botteghino un prezzo altissimo.
Kentis ha sofferto per il prolungato snobismo della critica intorno al suo concetto di arte cinematografica, intesa come gioco di emozioni autenticate dalla realtà più ovvia del quotidiano, compresa la vacanza, il lavoro e il divertimento, un concetto che per originalità si allontana da ogni forma visiva dell'emozione già vista, riprodotta in stile fotocopia. Più precisamente Kentis prende le distanze da quelle emozioni più artificiali o troppo indirette, inserite in un messaggio filmico filosofico, ideologico.
Il regista americano rinuncia a riverire, semplicemente non imitandone i codici visivi, autori anche famosi.

Da un punto di vista un po' più filosofico, il film andando al di là degli usuali e già conosciuti meccanismi narrativi su questo genere e rimanendo sordo, del tutto incondizionato dai metodi di critica e teoria cinematografica classici, riesce paradossalmente a svelare aspetti psicologici fino a questo momento poco conosciuti della nostra epoca, che è sempre più complessa, che corre storicamente come non mai in direzioni multiple, imprecise, impedendoci una aggiornata conoscenza e visione dei suoi processi più variabili, un'epoca dove il fascino della vita si coniuga sempre più con il gioco della morte lasciando spesso a quest'ultima, inspiegabilmente, il potere e il cinismo di dimostrare tutta la sua forza soverchiante su una vita desiderata e affermata fino a un attimo prima e poi abbandonata.

"Open water" si riferisce a un fatto vero, accaduto nel 1998 a due subacquei statunitensi, Tom ed Eileen Lonergan, in Australia nella barriera corallina.
Per un errore nel conteggio dei subacquei riaffiorati la coppia viene abbandonata poco prima di riemerere dal fondo. I superstiti non verranno più rintracciati e tempo dopo, nello stomaco di uno squalo catturato nella zona, verrà ritrovata una macchina fotografica subacquea gialla, simile a quella usata dalla coppia nella tragica immersione.
Il regista Kentis prova a immaginare cosa può essere successo in quelle quasi 24 ore passate dai naufraghi in mare, precisamente dalla ripartenza della imbarcazione di appoggio dal luogo dell'immersione alla messa in moto delle ricerche con elicotteri e mezzi nautici veloci per soccorrere i due subacquei.

Il film inizia con Susan (Blanchard Ryan) e Daniel (Daniel Travis), una giovane coppia con la passione per l'attività subacquea, che decidono di interrompere la pesante attività lavorativa per una breve vacanza estiva nei Caraibi. Il viaggio organizzato prevede brevi e contemplative immersioni nella zona di mare denominata "regno magico", ricca di murene colorate, pesci gatto, pesci pappagallo, pesci balestra, piccoli squali inoffensivi e il panorama di una collina corallina.
Giunti sul posto dell'immersione con un battello, i turisti subacquei alle 9,45 si immergono fino a 18 metri. Alle 10,20 il battello decide di rientrare in sede perché dal conteggio sul block notes i turisti subacquei risultano tutti rientrati a bordo; la partenza prevista per 10,30 viene quindi anticipata di 10 minuti, lasciando nei guai Susan e Daniel che riemergono alle 10,25 trovandosi soli e sperduti nell'oceano.

La coppia, isolata in pieno oceano, dapprima rimane stupita di quanto gli sta accadendo ma rimane comunque animata da buone speranze di salvarsi. In seguito, col passare del tempo, capiscono che le loro aspettative di vita si stanno attenuano e piombano in una pesante depressione.
Nelle loro menti si fa sempre più strada l'idea che chi ha commesso l'errore non ha ancora scoperto i segni della loro assenza dal battello: come le borse da sub sistemate sotto le sedie-panchina del battello e le due bombole di ossigeno mancanti dai loro usuali posti. Ma è la presenza degli squali che decide in anticipo il loro destino, impedendo alla coppia di attendere più a lungo i soccorsi che, seppur partiti in ritardo, sarebbero riusciti probabilmente a salvarli senza il fatale incontro con i pescecani.
Dapprima gli squali si presentano isolati, studiando il movimento dei loro corpi e la loro reazione ai piccoli urti sulle loro gambe, poi diventano sempre più numerosi e aggressivi giungendo a colpire l'uomo con piccoli morsi di attesa, in profondità, sulla carne irrigidita dallo stress, dentate che non lasciano scampo e che colorano di sangue la zona, finché gli squali, allontanatisi dapprima per precauzione, non ritornano poi inferociti a finire il corpo.
Perso il suo compagno, e sempre più circondata da nuovi grossi squali, la donna decide di suicidarsi, stacca le bombole dal corpo e si riempie i polmoni di acqua marina, cosa che porterà il suo corpo morto ad affondare e ad essere divorato dagli squali.

Il film, girato totalmente in digitale, mostra una fotografia non sempre all'altezza della situazione; spesso i colori sono eccessivamente saturi, i panorami sfuocati o indistinti, si salvano invece le riprese ravvicinate. Solo alcune inquadrature sull'alba e il tramonto sono superbe, degne del miglior cinema subacqueo.
I particolari scenici girati in modo più dettagliato, come quelli legati alla scrittura metonimica dell'immagine o quei particolari che vanno direttamente a completamento di un incastro scenico, sono molto apprezzabili: essi facilitano al meglio la comprensione di ogni parte del film contribuendo a godere indisturbati di ciò che la narrazione offre di essenziale. Anche questi aspetti dimostrano il talento linguistico del regista, tuttora assente dopo 7 anni dalla scena cinematografica.
Da sottolineare il linguaggio delle musiche, scelte con grande acutezza e competenza, che accompagna fedelmente i vari stati d'animo dei protagonisti rafforzando notevolmente la drammaticità e l'intensità emozionale delle scene chiave.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 09/08/2010 12.43.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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