Recensione reign over me regia di Mike Binder USA 2007
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Recensione reign over me (2007)

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locandina del film REIGN OVER ME

Immagine tratta dal film REIGN OVER ME

Immagine tratta dal film REIGN OVER ME

Immagine tratta dal film REIGN OVER ME

Immagine tratta dal film REIGN OVER ME

Immagine tratta dal film REIGN OVER ME
 

Reign over me

Love Reign O'er me.
On the dry and dusty road
The nights we spend apart alone
I need to get back home to cool cool rain.
The nights are hot and black as ink
I can't sleep and I lay and I think
Oh God, I need a drink of cool cool rain.

[The Who - Love Reign O'er me, "QUADROPHENIA"]

Charlie Fineman (interpretato da Adam Sandler) ha perso la moglie e le tre figlie nella tragedia dell'11 settembre 2001; la sua famiglia era sull'aereo schiantatosi in una delle due Torri. Da allora, Charlie ha lasciato il lavoro di odontoiatra, non ha rapporti con nessuno, i suoi genitori sono morti da anni, i suoi suoceri due figure che Charlie stenta a riconoscere.

Un giorno, il suo ex compagno di stanza all'università, Alan Johnson (Don Cheadle) che è a conoscenza della tragedia capitata nella vita di Charlie ed ha cercato di contattarlo invano in passato, lo incontra casualmente per strada anche se Charlie non lo riconosce. Alan, che nel frattempo si è fatto una famiglia ed esercita la professione di odontoiatra, poco a poco si insinua nel mondo di Charlie, cercando una simbiosi difficile e tentando di sostenerlo in modo concreto grazie all'aiuto di una psicanalista e a tanta abnegazione e pazienza, nonostante la forte componente irascibile di Charlie e i suoi immotivati scoppi di rabbia, nonostante i difficili momenti di Alan con la moglie ed una repressa ansia di libertà personale e di evasione dal suo status.

Charlie è completamente rinchiuso nel suo mondo distratto e asociale, nel quale si perde ore a restaurare la cucina, a suonare, a vegetare immerso nell'alienazione patologica di un videogioco.
Charlie si aggira nel labirinto dell'alterazione mentale ma non vuole uscirne perchè non vuole ricordare, soffre in modo grave della sindrome da stress post-traumatico, la condizione psicologica conseguente il gravissimo trauma psichico subito. Charlie vacilla sul baratro della follia, giace nell'intorpidimento e paradossalmente nell'iperattività senza scopo, Charlie è un corpo, ma un corpo distaccato, il ritratto dell'assenza e della fragilità emotiva, schiacciato dalla perdita, non annaspa più per sopravvivere, in qualche modo è già affogato nel dolore della rimozione: rifiuta il ricordo per rifiutare il dolore e negando, nega se stesso.

Charlie vaga come un fantasma evaso dalla propria coscienza per le vie di New York sul suo monopattino a motore, ascolta perennemente la musica dei '70 e degli '80 nelle sue cuffie giganti, quella musica non legata soltanto al passato ma ad un passato non recente che non contempla ricordi familiari, perché la musica non fa domande, non sa, non giudica, non conosce la sua storia, la musica è la placenta dove conserva intatta e sommersa la sospensione completa dei ricordi.
Charlie è perso, disinteressato al mondo intero, la sua casa, protetta nell'intimità dalla sua padrona di casa, è un nido di ricordi e di straniamento cronicizzati, un labirinto buio senza uscite, Charlie è l'emblema del dolore e del senso di colpa, una vittima della Storia, il vessillo di una New York scolorita, una città persa nel disorientamento dell'assenza di punti di riferimento, nell'ansia dolorosa di una rabbia negata, svuotata della propria vitalità e privata del cuore. Charlie ne è l'immagine disorientata, vulnerabile, il simbolo di un vuoto incolmabile generato da uno degli innumerevoli black-out della Storia.

"Reign over me" è lo specchio tragico di ciò che è inspiegabile per la ragione umana, un istinto esterno alla stessa pertanto irrazionabile ed incontrollabile, dove la diga dell'autoprotezione psicologica non può che arrendersi e cedere lasciando spazio all'onda del dolore insomatizzabile, inconcepibile.

"Love, reign o'er me" urlavano gli Who, amore, regna sugli uomini, regna su di noi, nel contrappunto sonoro di un'utopia ideologica, per non continuare ad osservare svuotati lo spasimo del ripetersi ciclico della Storia. Un affresco umano ma soprattutto uno sguardo nell'abisso impenetrabile della sofferenza di un uomo alla corda nel ring della sua mente, un uomo che deambula in una città provata, amara, malinconica, un Requiem in Quadrophenia che risuona potentissimo nel cuore.

Adam Sandler è il menestrello folle della recitazione, quanto e più di punch-drunk-love, praticamente un mostro sacro, anche e soprattutto nel monologo straziante ed intenso da debriefing in cui mi ha strappato lacrime amare. Certi film riconciliano con la vita.

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Recensione a cura di williamdollace - aggiornata al 10/09/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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