Recensione sweet sixteen regia di Ken Loach Gran Bretagna 2002
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Recensione sweet sixteen (2002)

Voto Visitatori:   7,22 / 10 (23 voti)7,22Grafico
Miglior sceneggiatura (Paul Laverty)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior sceneggiatura (Paul Laverty)
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locandina del film SWEET SIXTEEN

Immagine tratta dal film SWEET SIXTEEN

Immagine tratta dal film SWEET SIXTEEN

Immagine tratta dal film SWEET SIXTEEN

Immagine tratta dal film SWEET SIXTEEN
 

"Sweet sixten". Dolci sedici anni. È l'augurio che fa a Liam la sorella, per telefono, nel giorno del suo sedicesimo compleanno. Un paradosso, perchè i sedici anni di Liam non sono affatto dolci, e non sono neppure felici e spensierati.
Tutt'altro. I dolci sedici anni, "l'età in cui si diventa adulti ma si perdono le illusioni dell'infanzia", Liam li sta vivendo alla prese con una tragedia edipica che brucia l'anima e spegne il desiderio di avere una vita migliore.

Liam è un teenager scozzese, di Greenock, un grigio e brutto sobborgo di Glasgow, deturpato e degradato dalla droga, messo in ginocchio dalle scelte economiche neo-liberiste della politica thatcheriana, che ha determinato la chiusura di molti cantieri navali (insieme a tante fabbriche e miniere), tolto opportunità ai giovani, distrutto il mondo del lavoro e disgregato l'unità di intere famiglie.
Ha una madre, Jean, tossicodipendente e in galera per colpa del compagno (nel tentativo di occultarne la condotta criminale di violento, piccolo spacciatore), e una sorella, Chantelle, ragazza madre di diciassette anni, che vive con il figlioletto Calum dopo aver lasciato la famiglia perseguendo l'illusione di una vita normale nella precarietà di un call- center.
Il padre, invece, è sparito nel nulla senza averlo mai conosciuto. Nonostante una famiglia così abietta e le condizioni di estremo disagio in cui è costretto a vivere, Liam non è un ragazzo cattivo e neppure un asociale; ha solo un rapporto molto conflittuale con Stan, l'attuale amante della madre e con il nonno materno, Rab, un uomo infido, ridotto a fare il corriere di Stan nello spaccio della droga. Al contrario è un ragazzo pieno di buoni principi che ha un unico, grande desiderio: comprare un piccolo appartamento, magari un prefabbricato, da offrire alla madre quando uscirà di prigione, per aiutarla a rifarsi una vita migliore lontana da Stan, e tentare di affrancare se stesso e la sua famiglia di donne umilate e offese.A rendere frustrante il suo sogno è la stessa Jean, inadatta a fare la madre e incapace di amare i suoi figli dello stesso amore con cui loro amano lei.
Tutto questo in un ragazzo di soli quindici anni, tenero e crudele, sensibile e disperato, sospeso tra pulsioni autodistruttive e il bisogno imperioso di essere amato, pronto a qualsiasi nefandezza pur di raggiungere il suo obiettivo e ottenere quello che desidera, finendo così col mettere in moto una spirale di violenza che lo porterà a vivere una vita degradante e colma di umiliazioni.
Un ragazzo condannato a diventare adulto prima del tempo, per avere dell'adulto le stesse responsabilità che rendono maturo un uomo e portano a compimento una vita. Un ragazzo che non frequenta la scuola e sente il bisogno di farsi la barba anche se sul suo viso di barba non c'è neppure l'ombra, che vive spacciando droga, fingendo di consegnare pizze a domicilio sul suo motorino camuffato da pony express, vendendo così agli altri ciò da cui vorrebbe allontanare sua madre, finendo col fare lo stesso lavoro dei due adulti che detesta di più.

Il film inizia con Liam che racimola alcuni spiccioli facendo vedere le stelle, con un vecchio telescopio, ad un gruppo di bambini del suo stesso quartiere. Ma la sua è una vita destinata allo scacco esistenziale e la sua crescita non può che transitare per il crimine e da tutto ciò che vorrebbe rimuovere dalla sua vita.
Comincia allora la sua escalation nel mondo della criminalità organizzata, vendendo sigarette di contrabbando insieme al suo vecchio amico Pinball.
Poi un giorno, insieme al nonno e a Stan, si reca a far visita alla madre rinchiusa in un istituto di pena e di recupero per tossicodipendenti. Stan vorrebbe usarlo per passare dell'eroina alla donna, ma Liam rifiuta di farlo e il nonno lo caccia di casa. Si rifugia allora in casa della sorella Chantelle, poi però ruba alcune dosi a Stan e comincia a spacciarle per conto suo. “Più ne vendiamo, più guadagniamo" dice a Pinball con il cinismo e la fredda sicurezza dell'incallito criminale.
La sua abilità di spacciatore viene notata da un boss locale della droga che lo assume alle sue dipendenze. Con i soldi guadagnati riesce a dare l'anticipo per l'appartamento tanto desiderato ma Pinball, sentendosi messo da parte e tradito dall'amico, dà fuoco al prefabbricato.
Il suo capo allora gli offre le chiavi di una delle sue case, un piccolo appartamento con vista sul Clyde Firth. Quando Jean esce dal carcere, il figlio la porta con sé nell'alloggio che ha preparato per lei e il giorno dopo organizza una festicciola per accogliere la madre.
Purtroppo la donna non è affatto cambiata e, nonostante la detenzione, subisce ancora il fascino del compagno. Abbandona quindi la casa e la vita che il figlio vorrebbe offrirle, torna dall'uomo che le sta rovinando l'esistenza più di quanto lei stessa non se la sia già rovinata.
Umiliato nell'orgoglio e ferito nel suo amore filiale, Liam impugna il coltello (che in altre occasioni aveva rifiutato, ma con il quale aveva già fatto le prove generali, simulando l'omicidio di un concorrente nella toilette di un bar) e colpisce l'amante della madre, l'adulto che gli ha rubato per sempre lo spicchio di firmamento, dove risplendevano le stelle che guardava da bambino.

Proprio nel giorno del suo sedicesimo compleanno. Era inevitabile che ciò accadesse, l'arma doveva essere usata per rendere colpevoli i dolci sedici anni del protagonista, trascorsi in una fuga disperata sulle rive, desolate e deserte, di un corso d'acqua, braccato dalla polizia.
E a Chantelle che gli telefona per augurargli "Sweet sixten", risponde che la batteria del suo cellullare si sta esaurendo, metafora terribile della sua vita che si è già esaurita.

Cantore appassionato delle condizioni emarginanti di proletari e sottoproletari - costretti a fare i conti con la precarietà e la disoccupazione e vittime designate ai margini della società - con "Sweet sixten", Ken Loach ci offre l'occasione di riflettere sul progressivo accentuarsi del disagio giovanile mostrandoci uno spaccato, sincero e veritiero, delle condizioni di vita di tantissimi giovani che vivono nel Regno Unito, e con le loro anche di quelle dei tanti coetanei che vivono in tante altre parti del mondo.
Coerente con i suoi principi e fedele alle sue convinzioni, con l'inflessibile sguardo di sempre Loach, dirigendo "Sweet sixten", fa un altro film politico e realistico (ma anche tragicamente attuale) sull'arroganza della società contemporanea, che non consente nessuna speranza di riscatto ai reietti che il destino ha messo ai margini della società.

Certo Loach non è il solo regista a fare della deriva esistenziale la fonte di ispirazione dei suoi film: pensiamo a "Rosetta" dei fratelli Dardenne o ai film del cineasta finlandese Kaurismaki, oppure a "Full Monty", gli squattrinati organizzati di Peter Cattaneo che fanno lo spogliarello per le massaie di Sheffield per far fronte alla disoccupazione; ma anche al delinquente di "Carlito's Way" di Brian De Palma che cerca il riscatto costruendosi una vita fuori dal crimine.
Ma il regista britannico, che ha fatto dei disperati della working class il caposaldo della sua filmografia sociale, lo fa, come di consueto, con una crudezza realistica che colpisce al cuore e senza mai cadere nella facile utopia.
E il realismo non sta solo nella location (basti pensare alla parlata, strettamente glaswegiana, ostica, ma assolutamente incisiva e imperdibile), ma in tutta una serie di situazioni e tematiche che Loach sfrutta sapientemente e ritrae col suo stile, ruvido ma coerente al suo mondo, fatto di amicizie tradite, sogni ingenui, criminalità organizzata, povertà emarginante, rabbia edipica.

Tra pusher e coltelli, a soli quattro anni di distanza da "My Nane is Joe", Loach torna a parlare di droga e disoccupazione, di emarginazione e dissoluzione dell'ambiente familiare, temi comuni ai due film tanto da far sembrare "Sweet sixten" (pensato proprio durante le riprese di quel film) quasi un prologo del primo e Liam un Joe ancora adolescente.
Ma a differenza di Joe Liam è, appunto, ancora un ragazzo, quasi il lato adolescenziale dello stesso disagio che viveva Joe, e ciò rende "Sweet sixten" se possibile ancora più drammatico e fortemente emotivo.

Un altro aspetto del film che colpisce molto è la complessità del carattere del protagonista. Liam ha il corpo magro e il volto adolescenziale dell'esordiente Martin Compston, un ragazzo di Greenock, studente della scuola locale e giocatore di calcio dilettante nella seconda divisione scozzese, scovato da Ken Loach dopo lunghi e accurati provini.
Un vero e proprio trattato di psicologia adolescenziale, tra disagi, incertezze e spregiudicatezze, "Sweet sixten" è un film sul passaggio traumatico dall'adolescenza alla maturità; passaggio ancora più problematico per chi è nato nell'illegalità e nell'emarginazione sociale che precludono qualsiasi futuro che non sia quell'illegalità e quell'emarginazione.

Ci troviamo di fronte al ritratto di un adolescente - che il regista non condanna ma nemmeno assolve - coraggioso, ostinato, indulgente, ardito, attaccato pervicacemente alla famiglia e alla vita, senza alcun problema personale né di alcool né di droga, che soffre solo la mancanza dell'amore materno e le scelte che compie, anche se discutibili, sono dettate da quell'amore tradito da una madre che non è così materna come lui vorrebbe.
E così l'allegoria dei "sweet sixteen" si trasforma nella sconfitta più bruciante, la sconfitta che entra nell'anima e segna per sempre l'esistenza. Possiamo solo immaginare quale sarà il futuro di Liam quando avrà finito di pagare il suo debito con la giustizia.

Tante le scene e le situazioni memorabili e da ricordare, nel primo e toccante film che Loach dedica al complesso mondo degli adolescenti:
- la scena con Liam che raggranella alcuni spiccioli facendo guardare le stelle ad alcuni bambini
- la corsa sulla Mercedes rubata con sottofondo di musica classicheggiante
- l'amicizia totalizzante che lega Liam a Pinball, che induce quest'ultimo a seguirlo per emulazione, fino in fondo alle sue scelte estreme
- l'amore, prima non accettato, della sorella, che spinge Chantelle (quasi una sostituta materna) a curare le ferite e i lividi che Liam si procura negli scontri con i pusher rivali
il paesaggio urbano che una fotografia livida e fredda enfatizza nel suo degrado e che, nel contempo, ne sottolinea, senza intenti estetizzanti, l'algida ed esaltante bellezza
- il flirt, mai portato a compimento, tra Liam e l'amica di Chantelle
- la sequenza sui motorini in giro per la città a spacciare

Come in quasi la totalità dei film del regista inglese la colonna sonora, composta da George Fenton (abituale collaboratore di Loach), assume importante centralità nel sottolineare il mondo del vissuto del protagonista e capace, con il suo sound, di dare rilievo a quanto viene espresso nella narrazione e a definire tutte le volute drammaturgiche (ora patetiche, ora sentimentali, ora ironiche), senza per questo essere eccessivamente invadente, come certa musica per film di stile prettamente hollywoodiano.
Ed anche questa è arte.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 01/10/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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