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Bellino, Kaurismaki dopo la sua trilogia del proletariato, conclusa splendidamente con "La fiammiferaia" realizza un'altra pellicola sulla falsariga di queste ultime, attuando poche varianti, come quella geografica, ambientando questo film in Inghilterra e restando fedele alle tematiche cardine, alla fine l'incipit di questo film potrebbe essere tranquillamente lo stessi degli altri tre, col protagonista, già visibilmente escluso nel suo ambiente di lavoro, che perderà malamente il posto, oltre alla forte componente alienante sottolineata dallo stile del regista ancora una volta fatto di silenzi esplicativi, primi piani persi nel vuoto e una leggiadra ironia che in questo film si fa preponderante.
Dopo la perdita del posto di lavoro Henri decide che vuole morire, dopo qualche goffo tentativo di suicidio - splendida la scena in cui prova a soffocarsi col gas e per ironia della sorte proprio in quel momento inizia lo sciopero della fornitura di gas - ingaggia un killer per uccidere se stesso. Però, la vita riserva sempre delle sorprese e quella notte incontra Margaret, una venditrice di fiori di cui si interessa e poi si innamora, ritrovando una motivazione per vivere, ripensando alla possibilità di rimettersi in gioco e decidendo di annullare il suo contratto con l'agenzia che deve farlo fuori, solo che non riesce più a trovarli, perché il locale dove stavano è stato abbattuto, quindi ci sarà ancora questo killer sulle tracce di Henri, regalando alcune scene un po' più colme di tensione, con l'inevitabile confronto tra Henri e il killer che prima o poi dovrà arrivare, nel frattempo Kaurismaki si diverte a giocare con i paradossi, col killer che scopre di essere un malato terminale a cui resta a malapena un mese di vita, che però per senso del dovere deve concludere quest'ultimo incarico a lui assegnato, con questo gioco del killer che sta per morire a breve, il cancro segna il destino della persona che segna il destino degli altri per eccellenza, che in un suo ultimo ripensamento colmo di umanità grazia Henri.
Kaurismaki col suo solito stile agrodolce, una Londra fredda, tratteggiata dai suoi amati colori super saturi, regala un'altra pellicola interessante, questa volta lasciando un senso di speranza e una visione positiva.
Kaurismaki si sposta fuori dai confini nazionali e si trasferisce in una Londra triste, decadente ed alienata proprio come i protagonisti del film (nessuno riuscirebbe a dire che si tratti veramente di Londra). "Ho Affittato un Killer" ha l'impronta classica di Kaurismaki, stile freddo e minimale, grottesco e surreale, con un malinconico Jean-Pierre Léaed perfetto per la parte. Una commedia amara che è probabilmente tra le più riuscite di Kaurismaki, anche se non raggiunge il precedente ed insuperabile "La Fiammiferaia". "Ho Affittato un Killer" potrebbe essere visto come un avvertimento a non commettere atti avventati di fronte alla disperazione, in questo senso Kaurismaki ci mostra uno spiraglio di luce e speranza, cosa che non sempre avviene nei suoi film mentre qui, nonostante tutto, ci sono buoni motivi per essere ottimisti.
Un inno a godersela il più possibile, è un po' questo quello che vuole dirci Kaurismaki con il suo film semplice, ma efficace. Una commedia quasi noir, che non punta direttamente alla risata, ma più a far passare piacevolmente la sua durata (esigua) e non farsi dimenticare in fretta, lasciando qualcosa.
Kaurismaki qui recupera un pò temi ed atmosfera di Ferreri (Dillinger è morto) e di Scorsese (Fuori orario) - ma qua e là ho carpito anche qualcosa di Cassavetes - chiamando nientemeno che uno degli attori simbolo della Nouvelle Vague: Léaud (qui indicatissimo).
Triste, sociologico, riflessivo, misurato, ricercato, silenzioso, elegante, il film si lascia seguire per tutti e 75 i minuti di durata (spesso una durata canonica riguardo i lavori del regista finlandese) risultando comunque più speranzoso e meno cinico di quello che possa sembrare (anche nella fantozziana intro lavorativa, neanche così graffiante).
Buona fotografia funzionale, dialoghi nella media (ma che brutta però la barzelletta sull'immigrato).
Un inno alla vita venato qua e là di ironia e tristezza.
Film lieve e piacevole, imbevuto di un umorismo amaro che gli dona una dimensione grottesca che a tratti sconfina nel surreale. Girato e recitato in punta di penna, volutamente spoglio ed essenziale, ha in Jean-Pierre Leaud, attore feticcio di Truffaut dall'aria assente e sognatrice, l'interprete perfetto.
A tutti gli effetti, "Ho affittato un killer" targato Aki Kaurismaki, si presenta come una commedia non semplice, possiamo benissimo parlare di commedia d'autore; con ciò è presumibile che tutte le situazioni godono della libertà di spaziare fra cose diverse per poi tornare al genere che le ha generate. Le ambientazioni sono quelle di Londra, ma in questo caso la regia opta per delle location assai alternative, insomma non sembra di essere in una metropoli; alcune sequenze, tipo quella dell'ascensore, rientrano in un contesto visivo troppo personale, e dunque pienamente riuscito.
"Ho affittato un killer" richiede, dopotutto, per essere goduto fino in fondo, una predisposizione ad un contesto quanto mai vario e quasi imprevedibile; le situazioni giocano le proprie carte fra passaggi bizzarri, comici e quasi tragici. In tutto ciò alberga, a più riprese, un senso di sublime grottesco e di un surrealismo fatale. Si avverte, comunque, un grosso senso di decadentismo e nichilismo.
La durata non estrema e gli episodi donano al film un grosso spessore poetico/cinematografico; oltre ogni virtuosismo estetico e di storia vien fuori anche una morale inerente alla vita, come sempre molto imprevedibile…
Un puro divertissement di stile, con le tonalità e l'umorismo surreale tipici di Kaurismaki. Tra i suoi che ho visto, nonostante la trama geniale e la solita eccellente regia, è quello che mi è piaciuto di meno. Non significa che sia un brutto film, anzi: è oltre la media.
L'intero film è riassumibile anche in una riga, ma la recitazione gelida (memorabile il mitico Léaud), l' umorismo che si infila anche nei silenzi e il senso di depressione imminente collegata alla gioia di vivere ne fanno un film più complesso di quanto sembri.
Kaurismaki riesce a rendere tragico un film comico e viceversa.
non male, tematica molto intelligente, anche se non sviluppata in modo del tutto soddisfacente, almeno non per tutta la (poca) durata del film. però qui siamo di fronte al classico cinema di Kaurismaki, dove lo stile del regista fa la differenza...e che differenza, con trovate ottime e surreali. grottesco, assurdo, divertente; consigliato soprattutto agli amanti del regista.
C'è chi come Bergman, che sviluppava i suoi temi preferiti ampliando l'aspetto teatrale, artistico e razionale delle sue opere (con molti dialoghi, primi piani, scenografie e ambientazioni che danno significato alla scena, ecc.), e chi invece come Kaurismaki che sceglie come sviluppo delle sue storie sulla solitudine, l'estraneità e l'incomunicabilità, la forma postmoderna del rimando al patrimonio iconico della tradizione ludica cinematografica. Mentre Bergman sceglieva di andare in profondità, restringendo e analizzando, Kaurismaki cerca di diffonde e applicare il suo "modello" al resto del mondo e a tutte le forme di comunicazione intrattenitiva (nel postmoderno conoscenza e divertimento coincidono). "La fiammiferaia" è stato probabilmente un punto di non ritorno. Difficilmente si riesce a essere più dimostrativi ed espressivi nella propria rappresentazione di un certo modo di vivere negativo, che si vuole anche proporre come paradigmatico. Una volta appurato il triste destino umano, il vicolo cieco in cui si dibatte l'esistenza individuale, non resta che fare buon viso a cattivo gioco e tentare di sopravvivere comunque. Cosa meglio dell'ironia può scacciare le tristissime conclusioni e le conseguenze di una visione così cupa e nichilista della vita? Insomma, Kaurismaki prima ci agghiaccia, poi ci invita a non farci caso, a sorridere e a divertirci anche con questa visione così pessimista e nichilista del mondo. Nasce così quello strano miscuglio fra thriller, commedia, denuncia sociale, riflessione esistenziale che si chiama "Ho affittato un killer". Diciamo che l'operazione riesce. Il film infatti intrattiene, diverte, stuzzica la mania cinefila dello spettatore postmoderno, strizza l'occhiolino alle convenzioni classiche, ma poi nel finale ci regala momenti di riflessione esistenziale molto belli e che rimangono impressi. Il cinema di Kaurismaki è un cinema molto autoreferenziale. Un suo singolo film non lo si può comprendere se non si sono già visti tutti gli altri. Il mutismo dei personaggi, le ambientazioni spoglie e degradate, gli incontri fatali e gli amori improvvisi sconcertano lo spettatore sprovveduto, mentre appaiono naturali e normali per uno che sa già con che cosa si ha a che fare. Sembra che i film ambientati fuori dalla Finlandia spingano Aki Kaurismaki a lasciarsi andare, a stemperare il suo pessimismo e derogare al suo stile severo. Qui infatti c'è una trama, uno sviluppo narrativo, espedienti scenici che creano suspence, una storia d'amore, un finale quasi lieto, altro che l'accanimento contro il protagonista come nei confronti della povera Iris in "La fiammiferaia". In qualche caso la commistione con il classico giova al film, come ad esempio nel finale il tete-a-tete fra Henri e il killer: è la scena più bella del film, quella che unisce sorpresa, suspence con amarezza e profondità di pensieri. Certo "Ariel" era molto più profondo e umano, comunque "Ho affittato un killer" è uno dei film di Kaurismaki più "accessibili" e alla portata dello spettatore medio.
Altra pennellata di Kaurismaki sugli emarginati, in questo caso un espatriato francese in terra d'Inghilterra, licenziato improvvisamente e trattato come un extracomunitario qualsiasi. Certo la trama è esile assai, l'incontro fatale con la bionda da romanzo d'appendice, ma l'ironia, un tocco noir e il finale ottimista rendono la visione di questo film più piacevole di altre sue opere.
A livello di tematiche Ho affittato un killer non presenta sostanziali novità rispetto alla filmografia precedente. Avviene un graduale processo di marginalizzazione del protagonista, fino al rifiuto stesso di vivere una realtà piena di solitudine che malgrado tutto veniva spezzata dalla routine lavorativa. Lo stile è molto più asciutto, dialoghi scarni e una messa in scena molto più astratta. E' Londra, ma potrebbe essere qualsiasi altro luogo.
Ci sono persone che affittano case. Altri affittano auto. E poi c'è anche chi affitta un killer per togliere di mezzo addirittura sé stesso da un mondo che lo rifiuta. Esattamente ciò che fa l'uomo allo sbando protagonista di questa ennesima ed eccentrica commedia cinica surreale di Kaurismaki,per la prima volta ambientata fuori dai confini della Finlandia anche se a vedere distrattamente non si direbbe che quella mostrata sia Londra,di certo non quella raffinata ed elegante del centro cittadino bensì quella squallida e silenziosa di una periferia; in questa periferia si conusuma la vita di Henry,francese licenziato dopo anni di onorata carriera dalla sua ditta e che riceve da questa come unico ringraziamento un orologio d'oro. Che neanche funziona. Henry è il tipico personaggio del cinema di Kaurismaki: perdente già dall'inizio,introverso,silenzioso. Ma se almeno negli altri film provavano ad uscire da questa situazione di degrado interiore lottando almeno in qualche modo,magari anche fallendo ma solo dopo aver combattuto per cambiare in meglio la propria vita,Henry decide già di farla finita. Sorge un problema tragicomico a questo punto,perché il suicidio in una maniera o nell'altra non funziona mai. Allora Henry assume un killer a pagamento che dovrà ucciderlo; e qui scatta la molla geniale di un film dalla trama,appunto,geniale: quest'uomo incontra una donna che lo salva dal suo stato depressivo,in pratica lo porta a voler lottare di nuovo per la vita. Ma Henry per la vita dovrà lottare veramente e non solo in senso figurativo,perché il killer ligio del senso del dovere è sulle sue tracce e nulla lo può fermare... Cinema di alta classe,surreale allo stato puro con tocchi di cinismo davvero azzeccati,in cui i due protagonisti assoluti (senza contare l'amante di Henry) diventano due uomini inseguiti dalla morte,per contratto e per malattia. Una bella sceneggiatura che sembra inizialmente assurda e di poco significato per poi fondere perfettamente la tragicommedia del quotidiano e di una vita sempre più dura da sopportare. Però anche i killer capiscono in fondo...
Dopo averlo visto ci penserete due volte ad affittare un assassino per levarvi dagli zebedei. Perché a parte gli schezi io ci credo: l'umanità di Kaurismaki esiste,la storia non è per nulla campata per aria. Provate a riflettere un attimo e vedrete che nulla di questo "Ho affittato un Killer" è assurdo se la vita reale ci offre vicende ben più inverosimili di questa.
Jean Pierre Leaud interpreta in questo film di Kaurismäki un impiegato francese in una Londra quasi irriconoscibile: il regista si guarda bene dall'inserire nel film la riconoscibile paesaggistica inglese da cartolina, e quella che emerge dalla pellicola è una Londra fatta di camere di alberghi decrepiti, strade diroccate, discariche e appartamenti scalcinati che fanno assomigliare la capitale inglese nella sua periferia operaia e industriale quasi fuori dal tempo, ad una capitale dell'est europeo. In questo contesto, l'impiegato Henri Boulanger viene licenziato in tronco dopo quindici anni di onorato servizio con un orologio d'oro come liquidazione. Henri non ha amici e vive da solo in un misero appartamento ad affitto. Il licenziamento spegne in lui l'ultimo desiderio di rimanere attaccato alla vita, e dopo aver fallito ben due maldestri tentativi di suicidio, decide di pagare un sicario perché si occupi del lavoro al posto suo. Ma il destino e il fato hanno altri progetti per lui: in attesa di ricevere la visita del killer, si ubriaca per la prima volta, e in un pub incontra Margaret e se ne innamora. Riacquista così la voglia di vivere, ma ormai è troppo tardi, il killer da lui stesso ingaggiato è già sulle sue tracce. Il film si rivela divertente nel ritmo lento e quasi compassato in cui si susseguono gli eventi, gli incontri/scontri dei personaggi e i colpi di scena. Ottima la colonna sonora di accompagnamento, con brani adattissimi al contesto, tra i quali spicca Burning lights, interpretato dal grande Joe Strummer sul palchetto di un pub in cui nel corso della storia entra il protagonista del film.
Toccare il fondo per poi risalire... un tema che ricorrerà spesso nel cinema di Kaurismaki (Nuvole in viaggio, l'uomo senza passato).Questo film un po svagato è l'ennesimo gioiellino della sua filmografia
Originale storia di Kaurismaki in bilico tra il tragico e il grottesco, dove Henry, prima depresso per la tristezza e la mestizia della sua vita decide di suicidarsi pagando un sicario affinche lo uccida, dato che per scarso coraggio e sfortuna lui non riesce a porre fine alla sua inutile esistenza. Tuttavia per un fatto assolutamente inatteso, Henry grazie ad una donna riesce a ritrovare la voglia di vivere, ma dovrà riuscire a sfuggire al suo stesso sicario.... Il regista finlandese con una storia molto semplice riesce a realizzare un film a mio avviso delizioso.. Belle anche le decadenti e fatiscenti scenografie inziali..assolutamente in sintonia con lo stato d'animo del nostro depresso Henry..
Una storia grottesca che narra le vicende di due "condannati" a morte che incrociano i loro destini. Uno è Henry, sfortunato impiegato, depresso e fallimentare suicidia; l'altro è il killer, malato terminale, che lo stesso Henry assolda affinchè lo uccida. Classicamente avviene che quando la vita sembra averti definitivamente girato le spalle, un evento, tanto inatteso quanto opportuno, interviene a cambiare le prospettive e le attese. L'intero film è quindi un buffo e tragico accanimento verso l'individuo "s****to", ottimamente interpretato da un disorientante Jean-Pierre Leaud, che si sobbarca l'ingrato compito di farci pena e divertire al contempo. Anche in questo caso Kaurismaki non si prodiga in pretenziosità e supponenza, non cerca di impressionare, nè di insegnare alcunchè e si tiene giustamente alla larga da eventuali, nefaste, tendenze all'autocompiacimento. Il "capolavoro", per fortuna, non fa per lui e questo ne preserva ottimamente lo spirito e la mente; laddove creatività ed efficacia espressiva trovano terreno fertile. Consueta scelta di location abbastanza grezze, poco gradevoli, se non fatiscenti, a rappresentare, stavolta, il degrado della periferia di Londra e dei figuri che vi abitano. Il soggetto è accattivante, la sceneggiatura ben sviluppata, la prova del cast all'altezza. Buona la fotografia. Consigliato.
Un film che ti lascia senza parole, la sublime arte di kaurismaki che si incontra con la grande personalità di lèaud, producendo un film ironico, stuggente, triste, felice, malinconico ed etereo allo stesso tempo.