pickpocket regia di Robert Bresson Francia 1959
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pickpocket (1959)

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locandina del film PICKPOCKET

Titolo Originale: PICKPOCKET

RegiaRobert Bresson

InterpretiJean Pélegri, Pierre Leymarie, Marika Green, Martin Lassalle

Durata: h 1.15
NazionalitàFrancia 1959
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1959

•  Altri film di Robert Bresson

Trama del film Pickpocket

Sorpreso in un tentativo di scippo, dopo una lunga "carriera" di furtarelli vissuti come trasgressione, Michel finisce in carcere. Quando esce diventa ladro professionista. Un nuovo arresto e la relazione con una ragazza-madre saranno veicolo di una ritrovata pace con se stesso. Al centro della parabola dostoevskiana, asciutta e anti-narrativa, un personaggio intrappolato tra gli opposti automatismi dell'integrazione sociale e della rivolta.

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Voto Visitatori:   8,40 / 10 (20 voti)8,40Grafico
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Voti e commenti su Pickpocket, 20 opinioni inserite

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stratoZ  @  11/10/2024 13:03:26
   9 / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Ennesimo film enorme di Bresson, dopo la parentesi carceraria di "Un condannato a morte è fuggito" questa volta si dedica alla storia di un ladro, lo fa continuando a progredire stilisticamente, anche se progredire non è il termine esatto, questo film, se possibile, è ancora più asciutto, è anche un film figlio del contesto dei generi che si stavano vivendo, in Francia e negli Stati Uniti spopolavano il poliziesco, il caper movie, buona parte di quelle opere vivevano di suspense - a dire la verità, spesso con risultati anche straordinari, bisogna ammetterlo - di dinamicità, di pathos, qui invece Bresson realizza se possibile il caper movie più atipico possibile, mette le mani avanti già dai titoli di testa "questo non è un poliziesco" sebbene il soggetto sia inerente al genere, l'autore svuota totalmente l'opera di tensione, l'asciuga il più possibile, elimina ogni tipo di premessa sulla motivazione che possa portare il protagonista a delinquere, elimina ogni tentativo di spettacolarizzazione, ci narra la storia di Michel nuda e cruda, un uomo che ruba senza che si sappia una vera motivazione, non è particolarmente disperato dall'essere costretto a rubare, non è affetto da cleptomania ne ha particolari tare che lo portano a delinquere.

Ll'opera inizia con Michel coinvolto a livello amatoriale nel borseggio, poi dopo il primo arresto inizierà ad ingranare ancora di più con i furti, collaborando con vari complici, anche grazie a degli insegnamenti esterni progredirà nella sua carriera da borseggiatore, interessante come Bresson ci mostra questa progressione, col dettaglio della mano di Michel che diventa il leitmotiv del film, fin dalle prime sequenze, mostrando pian piano sempre metodi più sofisticati per sottrarre il portafoglio o il denaro dal malcapitato, arrivando alla sequenza del pre finale in cui questa mano viene definitivamente fermata dalle manette dell'ispettore, anche in questo caso con una spettacolarizzazione ridotta al minimo, ma è la stessa suspense che viene a mancare, Bresson sembra fare in modo che lo spettatore non abbia la minima paura che Michel venga sgamato, anzi lo fa accadere nel bel mezzo del film e se la cava con un po' di vergogna sociale e qualche giorno a casa, è un film in cui buona parte degli eventi cardine accade fuori campo, oggi diremmo in background, come le stesse indagini dell'ispettore che da un momento all'altro del film dice a Michel che lo sta tenendo d'occhio da tempo, senza una vera consapevolezza ne del protagonista ne dello spettatore, risalta subito la differenza dalle indagini spettacolarizzate del cinema in cui spesso gli ispettori di polizia si perdono in labirintiche interpretazioni, così come accade per la morte della madre di Michel, non del tutto mostrata, vedremo solo Michel al capezzale con lei ancora cosciente e un funerale in cui non viene neanche inquadrata la bara, vi è solo il prete fuori campo che recita le esequie e Michel visto da lontano in ginocchio.

La discesa nella criminalità di Michel è un atto che lo porta all'isolamento, all'interno della sua squallida stanzina, elemento ricorrente già nelle precedenti - e future - opere del regista, ma se Fontaine nel precedente film all'interno della sua cella era costretto fisicamente, qui vi è più un isolamento psicologico, dovuto ai problemi portati dal mestiere di Michel, i rapporti si troncano, la madre viene a mancare, l'amata Jeanne viene allontanata, i complici cercano di condividere il meno possibile informazioni su loro stessi, ne deriva una terribile freddezza nei rapporti dal quale il protagonista non riesce a divincolarsi, nonostante la ricerca di una redenzione, tramite la poco convenzionale via della criminalità, che arriverà soltanto in un sentitissimo finale in quella che potrebbe essere la sequenza più poetica del film, insperata luce in fondo al tunnel in un film che è stato buio come la pece per praticamente tutta la sua durata.

Bresson in poco più di un'ora ci regala un altro grande esempio del suo cinema spoglio ed essenziale, eppure capacissimo di portare lo spettatore a numerose interpretazioni, proprio per i non troppi punti di riferimento che viene a dare, registicamente sublime nella sua frammentazione dell'immagine, i suoi primi piani neutri e i ripetuti dettagli, che assieme al sonoro ancora una volta fondamentale, creano un decoupage dell'inferno di Michel.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  19/11/2023 12:22:22
   8½ / 10
Diario di un ladro scandaglia con una lucidità certosina l'animo tormentato di un uomo. Un ladro non per vocazione, né per bisogno o disperazione. Un film, algido e freddo ma dal cuore pulsante che attraverso la colpa giunge fino alla redenzione. Bresson non è mai stato un autore "facile" per il sottoscritto, tuttavia è uno di quei pochi registi capace di esprimere la spiritualità dei suoi personaggi come pochi.

Thorondir  @  21/08/2022 14:33:13
   9 / 10
Capolavoro di minimalismo, ossessione patologica, incapacità di cambiamento. Il racconto di un ingabbiamento autoimposto a cui non sembra, se non nel finale volutamente ambiguo, possibile sfuggire. Un film che lavora in sottrazione (dal minutaggio alle prove degli attori) fin quasi all'essenzialità e all'essenzialismo cinematografici.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  03/12/2020 23:46:37
   7½ / 10
Come gia' indicato dalle didascalie all'inizio del film non si tratta di un film poliziesco ma di qualcosa dove suoni e immagini hanno il sopravvento su tutto.
In effetti la bellezza di quest'opera di Bresson sta proprio nel lavoro del cast, in quei primi piani dove lo sguardo va da una parte e le mani da un'altra, a frugare nelle tasche delle vittime.
Affascinante e ben diretto, ma certo sono altri i capolavori di Bresson.

Goldust  @  08/07/2020 11:39:35
   7½ / 10
Bresson definì questo suo lavoro "un film di mani, oggetti e sguardi" e devo dire che non si può trovare una definizione migliore. Una pellicola compatta e minimale, scandita dalla voce fuori campo del protagonista che legge appunto il suo diario e che vive un'esistenza da semi-emarginato, trovando la sua strada solo nel poetico finale grazie

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Il grande rigore formale, l'esaltazione dell'immagine a discapito dei dialoghi e l'attenzione per il montaggio nelle scene dei borseggi definiscono la maturità di quest'opera, tra le migliori firmate dal regista.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR wicker  @  27/04/2018 20:13:53
   8½ / 10
Grandissimo e bellissimo esempio di cinema minimale ,un classico di Bresson .
Poche situazioni ,poche parole, ma un malessere crescente fatto di sguardi e sensazioni . Questa è la quintessenza di ciò che per me dovrebbe essere il cinema Finale aperto ,ma drammatico. Ottimo laSalle.

kafka62  @  10/02/2018 19:02:10
   9½ / 10
"Il cinema è l'arte di non mostrare niente"

Fedele alla sua personalissima concezione del cinema, Bresson realizza con Pickpocket un film rigoroso, spoglio, essenziale, quasi stilizzato nel suo rifiuto di orpelli naturalistici e di spiegazioni psicologiche; un film fatto di vuoti, di sottrazioni, di rifiuti (dell'intreccio narrativo, dell'attore professionista, della nozione classica del personaggio), tramite i quali il regista non si propone tanto di costruire una nuova estetica cinematografica, quanto "di imprigionare, di captare nella vita cose assolute, allo stato puro": ancora una volta, la forma è al servizio della sostanza drammatica dell'opera. Così le frequenti dissolvenze sono importanti non tanto per la loro funzione ellittica, di eliminazione del materiale superfluo o di passaggio temporale, quanto per la ricerca di un diverso equilibrio strutturale in grado di assegnare a singole scene e momenti narrativi significati aggiuntivi o suggestioni poetiche. Basti pensare a quelle dissolvenze che iterano ossessivamente l'atto di salire e scendere le scale di casa e che conferiscono a queste ultime un significato simbolico, di separazione della stanza di Michel dal resto del mondo, o ancora quelle di Michel al capezzale della madre morente, che sintetizzano il loro ultimo incontro, tanto più straziante quanto più privo di pathos.
L'eliminazione della tensione narrativa, della suspense che ci si aspetterebbe dalla storia di un ladro, è una costante del film. Bresson smorza a sorpresa ogni potenziale occasione di coinvolgimento emotivo, tanto è vero che i furti di Michel e dei suoi compagni non ingenerano nello spettatore la naturale paura dell'insuccesso, e inoltre non veniamo mai a sapere se Michel è sorvegliato dalla polizia (cosa che, se fosse avvenuta, avrebbe creato delle aspettative sull'esito della storia). Pickpocket si riduce così a una fenomenologia di fatti e accadimenti separati, legati tra loro dal labile filo della rievocazione memorialistica, che fa oscillare il film tra soggettivismo e oggettività da cinéma-vérité.

"Quante cose si possono esprimere con la mano, con la testa, con le spalle!… Quante parole inutili e ingombranti spariscono allora!"

Pickpocket non è un film psicologico, ma al contrario si ostina a nascondere le motivazioni che spingono i personaggi ad agire. Non è neanche un film naturalistico, perché l'ambiente che circonda Michel è mostrato solo per piccoli, inattendibili squarci. Diversamente da quanto si potrebbe supporre non siamo neppure di fronte a un vero e proprio processo di astrazione della scrittura filmica. L'attenzione quasi documentaristica dedicata ai gesti e agli sguardi (le virtuosistiche evoluzioni delle mani mentre sfilano portafogli e orologi da tasche e polsi di malcapitati passanti, i trasalimenti di Michel durante i suoi primi tentativi) è indicativa invece di come Bresson abbia a cuore la realtà fisica, ma sappia originalmente filtrarla attraverso un'ottica marcatamente spirituale e una concezione dialettica della regia cinematografica. Così, da una parte, le mani di Michel diventano lo specchio della sua anima, dando ai suoi furti il valore di un'esperienza morale; dall'altra, suoni e rumori (i passi soprattutto) vengono rigorosamente registrati in presa diretta, ma sono poi riorganizzati dal regista secondo un montaggio contrappuntistico, mentre l'improvviso comparire di sequenze dilatate e di campi vuoti in alternanza a inquadrature brevi e rapide di primi piani, piani americani e figure intere fornisce al film un ritmo complesso, che contraddice l'apparente assenza dell'autore.

"Oh, Jeanne, che strano cammino ho dovuto percorrere per arrivare fino a te."

La frase del diario di Michel che, simmetricamente, apre e chiude il film è emblematica del fatto che a Bresson, più che il momento della redenzione conclusiva, interessa il tragitto intermedio che Michel compie per raggiungerla. Non c'è dubbio che il furto sia per lui un'esperienza in qualche modo morale. Bresson non spiega i motivi per cui Michel diventa un ladro, ma è chiaro che egli non ruba né per arricchirsi (tra l'altro, non fa quasi mai uso dei soldi e degli oggetti rubati), né per cleptomania, né per gusto del "gesto gratuito", e neppure per il piacere del rischio. Michel in realtà ruba perché questo è l'unico modo di esprimere la propria alterità nei confronti di un mondo e di una società che disprezza. Il prezzo da pagare per questa scelta anarcoide e antisociale è una sempre maggiore estraniazione dalla realtà ("Lei non vive nella realtà – gli dice Jeanne – non si interessa di ciò che interessa agli altri") e, soprattutto, la solitudine, simboleggiata dalla squallida camera in cui Michel è costretto ad alloggiare. Quanto più si inoltra sulla strada del crimine, tanto più Michel si isola, si autoesclude dalla vita, e a sua volta l'orgoglio, sofferto e disperato, per questa sordida esistenza esalta la sua vocazione alla trasgressione, in una spirale perversa senza apparenti vie d'uscita. Michel finisce per allontanarsi dalle stesse persone che ama (la vecchia madre, Jeanne, l'amico Jacques) e per rinchiudersi in un solipsismo autodistruttivo, che esclude ogni rapporto con il prossimo (è significativo che, pochi secondi dopo il brusco commiato da Jacques, Michel non possa fare a meno di commentare, riferendosi all'oggetto appena rubato: "E' proprio un bell'orologio"). Bresson considera però l'esperienza di Michel come un lungo, doloroso e forse necessario itinerario di espiazione, in fondo alla quale c'è sì la prigione ma anche la grazia. Questa palingenesi è più laica di quello che si potrebbe credere, perché a guarire Michel dalla sua malattia non è tanto la fede in Dio quanto l'amore terreno di Jeanne.
Sono evidenti gli elementi che Pickpocket ha in comune con Delitto e castigo: dal discorso al commissario con il quale Michel esprime la teoria (simile a quella che ispira il delitto di Raskolnikov) secondo cui ad alcuni esseri superiori dovrebbe essere dato il diritto di vivere al di là delle leggi, alle figure di Jeanne e del commissario (modellate su quelle di Sonja e di Porfirij), dalla stanza di Michel (che ricorda quella dell'eroe dostojevskijano) alla quasi identica redenzione finale dei due protagonisti. Ma quanto Delitto e castigo è appassionato, sanguigno e percorso da titanici scontri di idee, tanto Pickpocket è freddo, ascetico e disadorno. Il pericolo che il film corre in continuazione è quello di una eccessiva rarefazione del discorso, la quale rischia di compromettere l'equilibrio formale della composizione. Ad una visione successiva alla prima, la minaccia sembra però scongiurata. I dialoghi, ad esempio, sono scarsi ma capaci ugualmente di lasciare il segno ("Ma lei non crede a niente?" "Ho creduto in Dio… per tre minuti"); e le immagini, dal canto loro, pur costruite "sul bianco, sul silenzio e sulla immobilità", sono di una icastica bellezza (l'abbraccio finale tra Michel e Jeanne divisi dalle sbarre della prigione).

bulldog  @  04/04/2010 23:25:56
   8½ / 10
Pickpocket è un film di un rigore stilistico ineccepibile, minimalista, scarnissimo, asciutto, essenziale e volutamente impalpabile.
Tra continue dissolvenze, silenzi e rumori ci si ritrova di fronte ad una svigorita frammentazione di gesti, corpi e spazi.
Recitazioni esili e prive di enfasi e dialoghi, kafkianamente parlando, pornografici.

Magistrale parabola di redenzione Dostojevskiana .

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Ultima risposta 05/04/2010 10.26.00
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  18/02/2010 00:08:33
   8½ / 10
Un grande film per un altrettanto grande regista. Mi ha non poco impressionato l'emozione e la potenza che scaturisce da questa pellicola molto vera, sentita soprattutto nel modo in cui è stato studiato il personaggio principale. Recitazione spettacolare di quest'uomo che getta la sua vita a rubacchiare e ad imparare i segreti del "mestiere" mentre ne scrive un diario e analizzando i momenti più significativi con poche frasi fuori campo. Un pò corto e molto veloce nello scorrere ma ha dalla sua un autentico e tosto finale dove vengono dette le stesse parole usate per cominciare il film. Da vedere.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  30/11/2009 13:48:15
   8½ / 10
Voglio dedicare i miei prossimi mesi a conoscere interamente l'opera di Bresson.
Uno stile essenziale e scarno, pochi dialoghi ma determinanti - l'io narrante anche qui è predominante - e un fortissimo senso laico davanti al "contagio" dell'immaginario religioso. Quale reato? Quale peccato? Le buone intenzioni svaniscono davanti all'evanescenza della colpa, come nel caso del protagonista.
E il borsaiolo Michel non fa niente per difendersi, perchè non sente ragioni per essere accusato. Sembra anzi cercare la strada più breve per espiare una colpa al posto della propria "libera" coscienza.
Un diario segreto, da scrittore in erba, serve a descrivere i suoi furti.
Il finale si affida tutto allo sguardo tra Michel e Jeanne, alle rivelazioni celate nei gesti (spoiler)

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Ultima risposta 30/11/2009 19.39.07
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addicted  @  20/10/2009 19:02:54
   9 / 10
Bresson possiede un linguaggio tutto suo. Parla un dialetto cinematografico inventato da lui e praticamente intraducibile.
Peccato e redenzione di un virtuoso del furto. Caduta e salvezza. E' l'opera di un maestro, che ha "le stigmate" del genio.
Da vedere attentamente.

Bathory  @  10/08/2009 02:10:22
   8 / 10
Ottimo film di Bresson.
Pickpocket è la storia di un individuo incapace di vivere, incapace di gestire gli affetti e le emozioni, che (non) vive compiendo piccoli furti, unica e sola attività che riesce a svolgere, e che riempie la sua vuota e triste esistenza.
Solo il caso e il profondo amore di una donna potranno redimere Michel dalla sua vita apatica, facendogli ritrovare la voglia di vivere, anche se in maniera estremamente difficoltosa.

Il film scorre via in un momento, grazie alla sapiente abilità di Bresson nel mescolare momenti avvincenti (i furti), a momenti drammatici e solenni.

Piccolo gioiellino.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  26/07/2009 09:37:35
   9 / 10
Anche attraverso il peccato è possibile raggiungere la pace dell’animo.
Ma la vicenda è narrata con distacco, mediante (come altrove nell’opera del regista) la voce fuoricampo del protagonista che legge un diario; acquistando qui un valore diverso, quasi Bresson avesse voluto in qualche modo dissociarsene.
In una rappresentazione (mistica molto prima che sociale) dove le mani, i gesti, gli oggetti e gli sguardi, contano più delle parole; nel misterioso silenzio, cadenzato dal fievole lirismo dei rumori; e dove l’atto del rubare diventa pura vocazione; l’ascetismo si mescola con l’apatia di fondo.
C’è anche un significativo contrasto di luoghi: da una parte la stanza misera e spoglia di Michel, e dall’altra i luoghi affollati del borseggio, dove in un mirabile lavoro di montaggio nelle scene degli scippi, il regista s’abbandona a un certo virtuosismo.
E alla fine ecco riaprirsi la luce, la musica si sprigiona, i corpi dolcemente s’avvicinano, e attraverso le sbarre della prigione, attraverso l’amore illibato per una ragazza (spesso i film di Bresson si chiudono nel segno luminoso della pace, raggiunta diversamente mediante l’abnegazione, per esempio, in “Un condannato a morte è fuggito”, e con l’umiltà in “Au hasard Balthazar”) Michel ha finalmente conquistato la propria redenzione.

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Ultima risposta 04/04/2010 23.28.44
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eizenstein  @  13/10/2008 00:15:52
   8½ / 10
Veramente un bel film, all'antezza del grande cinema di quell'epoca.
Le riprese in mezza figura del protagonista esprimono la contraddizione tra l'apparenza tranquilla, ordinaria e borghese del volto, con le azioni spregevoli delle mani di un ladruncolo.
Non vi è un giudizio morale ma solo fatti ed azioni, Michel ruba e basta, così come gli altri agisono in base a quello che il destino ha stabilito per loro. Rubare diventa l'unica preoccupazione e ci si rende conto da quele prospettiva il protagonista veda le cose. Bene e male non esistono, solo fatti e persone. E poi tutto è enigmatico, come il finale.

xxxgabryxxx0840  @  05/10/2008 16:08:50
   8 / 10
Eccellente pellicola francese del grande Bresson che sforna un diario del ladro praticamente perfetto, con una rigorosa caratterizzazione psicologica del protagonista.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  08/05/2008 13:26:38
   8 / 10
Bresson con questa sorta di parabola moderna ribalta i concetti tradizionali di Bene e Male, rappresentando un mondo capovolto in cui i "giusti" diventano dei biechi persecutori e approfittatori mentre gli "ingiusti" si atteggiano a benefattori. In questo ribaltamento dei valori vengono messe in luce le regole ipocrite e sperequatrici su cui si fonda la società moderna, in cui coloro che nascono senza fortuna e sono destinati a una vita di stenti ed emarginazione ci vengono mostrati come degli eterni depredati; mentre chi nasce e cresce nell''agiatezza e nel benessere assume ai nostri occhi l''immagine dell''usurpatore (in ciò c''è molto di "Delitto e castigo"). "Cosa è sporco e cosa non lo è?" E'' ingiusto rubare a chi ha di più sulla base di un "diritto naturale" concepito a bella posta per tutelare e preservare le ricchezze accumulate dai ceti abbienti? Ed è giusto approfittare di una ragazza povera e sola soltanto perchè ciò lo consente la propria posizione sociale? Con queste domande Bresson mette in crisi l''intero ordine sociale, disvelandone tutte le storture che ne sono alla base.
"Pickpocket" è sicuramente meno intenso rispetto a "diario di un curato di campagna", ma è comunque una grande film e per la tematica di fondo trattata e per la poesia di alcuni momenti, tra i quali spicca il finale che vede la conciliazione di Michel e Jeanne.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  29/04/2008 11:04:04
   10 / 10
Pickpocket di Bresson è un piccolo grande capolavoro, piccolo perchè la narrazione non supera i 68 minuti, una narrazione semplice dal taglio documentaristico quasi neorealista, con l'unica peculiarità di essere raccontata tramite un diario.
Perchè questo film può essere considerato un capolavoro, innanzitutto per l'assoluta perfezione della caratterizzazione del personaggio protagonista, le dinamiche, i meccanismi psicologici sugli eventi di un ragazzo che vuol fare il ladro sebbene non sia la sua strada è raccontata con una precisione e fedeltà introspettiva che non mi stupirebbe lo sceneggiatore, o l'aiuto sceneggiatore, fosse dedito al taccheggio prima di darsi al cinema.
Inoltre il regista getta uno sguardo sociale ed esistenziale, "sarò il migliore?", "ha senso vivere?", "ha senso lavorare, a che serve?", "non è inutile la vita, non è meglio morire?", "è forse l'amore l'unica possibilità di redenzione?"..in questo caso, come parabola drammaturgica ideale, sarà proprio l'amore la svolta definitiva e necessaria.
Per qualcuno, può essere impossibile non rimanere secchi d'innanzi a questa pellicola.

1 risposta al commento
Ultima risposta 16/11/2008 19.19.47
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Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  10/01/2008 23:31:09
   8 / 10
Quali sono i meccanismi che spingono un ragazzo per bene, educato, innocuo e di buoni sentimenti (repressi) ad intraprendere la strada dell'illegalità mediante il furto? Dove inizia il confine che porta l'uomo ad elevare la pochezza della propria esistenza con la dimostrazione (soprattutto a se stesso) dell'abilità nel rubare? La volontà di affermazione sembra essere l'unico scopo nella vita di Michel che passa le giornate tra la sua misera camera ed i luoghi consueti al borseggiamento: banche, metropolitane, luoghi affollati; come un elastico, il protagonista vive, ora momenti di esaltante delirio ossessivo che lo portano alla spettacolarità del furto, ora a momenti di triste mediocrità esistenziale che lo spingono a punte di nichilismo e di rifiuto della società totali. In questo grafico si insinua l'amore di Jeanne, l'unico raggio di sole che riesce a penetrare la fredda oscurità del cuore di Michel, il proprio egoismo si sgretola definitivamente all'incontro delle labbra attraverso le sbarre di una prigione. Bresson anche questa volta sfrutta la tecnica della voce fuori campo che accompagna le riflessioni del protagonista per raccontarci le vicende umane in tutta la loro complessità e come sempre le racconta con l'eterno distacco che ha sempre contraddistinto il cinema del regista francese; qui la mancanza di espressività del volto di Michel si contrappone però alla velocità delle sue mani durante i borseggi (le scene più coinvolgenti del film). E' interessante vedere come ogni forma di ossessione si riveli sempre incontrollabile e come ritorni prepotentemente ad assalire il soggetto che in qualche modo ne voglia scappare. Michel sembra redimersi dopo la morte della madre (da ateo, confessa di essere stato per tre minuti vicino a D.i.o) ma l'incontro occasionale con un borseggiatore di professione lo fa ricadere nel peccato, l'uomo gli insegna a rubare "ad arte" (bellissime le sequenze dell'apprendistato di Michel); in continuo conflitto con il proprio io, il ragazzo si trova costantemente a dover rinnovare la fiducia in se stesso, ma è una fiducia che lo porta, come in una giostra, sempre al punto di partenza, non c'è pace interiore; ma l'aridità cede all'amore, Jeanne è la persona che gli cambierà la vita. Al contrario di altri film di Bresson, Pickpocket può vantare di una suspence e di una tensione che altri lavori dello stesso regista non hanno; pur mantenendo l'asetticità nei dialoghi e il distaccato coinvolgimento degli attori, si assiste comunque ad una ricerca espressiva che sorprende, mai Bresson si era spinto ad una serratezza tale nel montaggio. Buona la prova degli attori, soprattutto del protagonista che riesce a trasmettere anche nell'imperturbabilità del suo sguardo la tensione che precede il furto. Niente da dire, Bresson è un maestro, sicuramente indigesto a molti, ma sempre coerente con il proprio lavoro e costantemente lontano dal sistema che governa l'industria cinematografica.

ds1hm  @  30/08/2006 17:04:20
   7 / 10
mi ha invaso una leggera delusione dopo aver visto questo film.
forse mi aspettavo come al solito troppo da Bresson, o forse perchè in parte ho sempre avuto l'impressione che il cinema francese sia troppo inconcludente, troppo poco incisivo nelle immagini, troppo poco vigore artistico.

Gruppo COLLABORATORI antoniuccio  @  20/02/2006 17:05:28
   7½ / 10
Ho iniziato per curiosità a vedere qualche film francese e sto continuando a vederne per verificare la loro comunanza, che in effetti c'è: non sono soltanto film, ma messaggi quasi subliminali di crisi esistenziali o comunque di situazioni profonde celate dietro la storia di facciata.
Michel è un ragazzo che non ha una sua dimensione se non sgraffignando soldi e portafogli dalle tasche della gente. Vive in un tugurio di camera (bellissimo il fatto che non deve neppure chiudere la porta del buco dove vive), ha una madre in pena per lui, ma che non va mai a trovare quasi per partito preso.
Il furto riempie la sua esistenza quasi più dell'amore, che trova alla fine, nella maniera più faticosa possibile.
Il film stranamente ha pochi momenti di lentezza, poiché i momenti dei furti sono davvero sorprendenti e quasi d'azione. Non è il film francese standard per lentezza, anche se addirittura è in lingua originale con sottotitoli, tra l'altro facili da seguire poiché le parole in tutto il film sono 56 o poco più.
Complessivamente buono.

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Ultima risposta 20/09/2006 13.17.10
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Speciale SHOKUZAISpeciale SHOKUZAI
A cura di The Gaunt

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ANYWHERE ANYTIME
Locandina del film ANYWHERE ANYTIME Regia: Milad Tangshir
Interpreti: Ibrahima Sambou, Moussa Dicko Diango, Success Edemakhiota
Genere: drammatico

Recensione a cura di The Gaunt

HIT MAN - KILLER PER CASO
Locandina del film HIT MAN - KILLER PER CASO Regia: Richard Linklater
Interpreti: Glen Powell, Adria Arjona, Austin Amelio, Retta, Sanjay Rao, Molly Bernard, Evan Holtzman, Gralen Bryant Banks, Mike Markoff, Bryant Carroll, Enrique Bush, Bri Myles, Kate Adair, Martin Bats Bradford, Morgana Shaw, Ritchie Montgomery, Richard Robichaux, Jo-Ann Robinson, Jonas Lerway, Kim Baptiste, Sara Osi Scott, Anthony Michael Frederick, Duffy Austin, Jordan Joseph, Garrison Allen, Beth Bartley, Jordan Salloum, John Raley, Tre Styles, Donna DuPlantier, Michele Jang, Stephanie Hong
Genere: azione

Recensione a cura di The Gaunt

archivio


LA ZONA D'INTERESSE
Locandina del film LA ZONA D'INTERESSE Regia: Jonathan Glazer
Interpreti: Christian Friedel, Sandra Hüller, Medusa Knopf, Daniel Holzberg, Ralph Herforth, Maximilian Beck, Sascha Maaz, Wolfgang Lampl, Johann Karthaus, Freya Kreutzkam, Lilli Falk, Nele Ahrensmeier, Stephanie Petrowitz, Marie Rosa Tietjen, Ralf Zillmann, Imogen Kogge, Zuzanna Kobiela, Julia Polaczek, Luis Noah Witte, Christopher Manavi, Kalman Wilson, Martyna Poznanski, Anastazja Drobniak, Cecylia Pekala, Andrey Isaev
Genere: drammatico

Recensione a cura di Gabriele Nasisi

MARILYN HA GLI OCCHI NERI
Locandina del film MARILYN HA GLI OCCHI NERI Regia: Simone Godano
Interpreti: Miriam Leone, Stefano Accorsi, Thomas Trabacchi, Mario Pirrello, Orietta Notari, Marco Messeri, Andrea Di Casa, Valentina Oteri, Ariella Reggio, Astrid Meloni, Giulia Patrignani, Vanessa Compagnucci, Lucio Patané, Agnese Brighittini
Genere: commedia

Recensione a cura di Severino Faccin

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