Recensione decalogo 6 regia di Krzysztof Kieslowski Polonia, Germania 1989
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Recensione decalogo 6 (1989)

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locandina del film DECALOGO 6

Immagine tratta dal film DECALOGO 6

Immagine tratta dal film DECALOGO 6

Immagine tratta dal film DECALOGO 6

Immagine tratta dal film DECALOGO 6

Immagine tratta dal film DECALOGO 6
 

Toccato da una raffinatezza cameristica, pari alle musiche che intime lo accompagnano, il sesto episodio del " Decalogo" di Kieslowski è ancora una riflessione profondamente sensibile che, se parte dal comandamento cristiano, è rivolta ad attualizzarlo e reinterpretarlo, all'indagine complessa in esso del sentimento e dell'animo umano.

Tenue, sensuale e al tempo stesso casto, il film ha una narrazione densamente simbolica, ma bassa nei toni, che si muove in una disadorna quotidianità; è disseminato di segni mai del tutto decifrabili, d'indizi che sanno, ciononostante, esplorare l'argomento da varie prospettive e profondità, aprire panorami, oscuri talvolta, dispersivi ma pur sempre confinanti al tema trattato.

Così come nei precedenti episodi, protagonista è una situazione problematica - individuale o famigliare - dalle molteplici complicazioni sentimentali, psicologiche e morali. Protagonista, in questo sesto mediometraggio dell'opera, è un ragazzo, Tomek, impiegato delle poste, mite e insicuro, vive assieme a una signora anziana, madre di un suo amico espatriato. Solo, orfano, s'invaghisce di Magda, una donna che abita nel condominio di fronte, più matura di lui, fatta notare dall'amico prima di partire, e che Tomek ha cominciato segretamente a spiare, a pedinare e perseguitare ma con tenerezza, quasi discretamente.

"Non commettere atti impuri"; eppure, nuovamente, non tanto è il peccato in sé a bisognare l'assoluzione, ma il disagio interiore che esso descrive, l'alienazione sociale, l'inquietudine esistenziale. Deve il protagonista guarire da questi attraverso la redenzione dal proprio peccato che è centrale e il cui implica, ad esempio, già nelle sequenze introduttive, un peccato maggiore, il rubare, comunemente più grave - i getti dei frammenti di vetro sul pavimento, il ragazzo che s'introduce dentro un edificio e s'impossessa di un cannocchiale.

Un pendolo fatto oscillare da Magda nel suo appartamento, quasi già sapesse di essere osservata a distanza, richiama all'incantamento e al momento simbolico, dove l'oggetto del ragazzo, il cannocchiale, dalla forma allungata, che si scoprirà avere preso il posto di un binocolo, diviene lo strumento mediante cui l'intimità di Tomek comincia a penetrare, di nascosto, in quella della donna: ma una volta finita la seduzione, ecco che si riscende alla dimensione modesta e casalinga: l'immondizia da portare di sotto, il raccoglitore rotto, la signora anziana seduta davanti al televisore.

Ogni sera il momento si ripete, Tomek dalla propria stanza spia Magda rincasare, nella sua vita sessualmente attiva, durante gli incontri con l'attuale amante tra i quali proverà anche a interferire, seppure sempre timidamente: è durante queste contemplazioni che si consuma la malinconica poesia del film. Alla privatezza del blu notturno, e nella delicata lontananza del silenzio delle finestre, due solitudini, sospese tra il buio dei palazzi, s'incontrano, a mezz'aria, quasi le note di due strumenti da diverse camere che suonano, sino a disperderle, musiche ignote l'una dall'altra.

Distanti, ma presi in una segreta unità: due soli personaggi e altrettanti dietro loro, l'amante per Magda e l'anziana padrona di casa per Tomek, tutti senza famiglia, mentre il resto della popolazione si riduce a comparsa, e tra la quale non manca il "testimone silenzioso", il passante enigmatico che compare in quasi tutti gli episodi del "Decalogo", uomo-angelo, estraneo dall'aria comune che, come capitato lì per caso, osserva transitare i protagonisti quasi ne conoscesse l'intera vicenda, lasciando intravedere un sottile coinvolgimento.

La fotografia del film ha il lividore del clima e degli ambienti urbani, e anche i momenti nel vialetto sottostante, sempre brevi, sono ripresi dall'alto, in maniera da non cambiare punto di vista da quello dei davanzali, o come se anche il regista e lo spettatore s'affacciassero, per qualche istante e nascostamente, da uno dei palazzi del quartiere; suscitando in tal modo nuova riservatezza, curiosità, altra solitudine e sordità, un nuovo senso di lontananza e d'isolamento

E' naturale che le osservazioni voyeuristiche al microcosmo del "cortile" e delle finestre di fronte, facciano pensare al film del '54 di Hitchcock, eppure il sesto episodio del "Decalogo" continua a ricordarci primamente altri autori. Bergman innanzitutto, per l'eleganza formale e per l'esplorazione delle difficoltà legate ai rapporti umani, per il simbolismo, per l'ansia e il turbamento mistico, e poi Bresson, specie quello delle prime opere, per la pacatezza della narrazione e del carattere del protagonista, che anche davanti allo scontro con il suo rivale in amore rinuncia a lottare, e nel tema della redenzione come astensione e pazienza.

Nel "Decalogo 6" di Kieslowski l'atto impuro, o fornicazione, almeno inizialmente, è la masturbazione; il desiderio erotico e amoroso che è in chi guarda ma anche in chi è guardato, così bivalente; è nel cannocchiale del ragazzo e nella finestra della donna, sfogliata come le pagine di una rivista osé. E' intanto nella ricerca di un amore sconosciuto, che passa per il confronto tra acerbo e maturo, tra ingenuo in lui e disincantato in lei.
Ma l'atto impuro non è che lo spunto, come già detto, e il film s'intensificherà in un complesso riflettersi delle parti, in un rapporto sempre più equivoco tra la donna e il ragazzo, tra il sesso e l'amore.

Sconosciuti. L'innamoramento del ragazzo s'aggira attorno al corpo del suo desiderio senza la vera intenzione di toccarlo, si limita a osservalo a distanza, si ferma davanti alla casella della posta in cui imbusta avvisi falsi e sottrae le lettere personali, o all'uscio della porta dove passa a recapitare il latte tutte le mattine. In Tomek, quell'amore, è anche illusione, maniacale e romantico, un amore che ha acceso nel volto di Magda, che di amore si è ormai indurito.

Puro o impuro?

Il bianco del latte è rovesciato sul tavolo, quasi lo sperma disperso nell'atto della masturbazione, davanti alla donna che piange, o in seguito ancora sul pianerottolo, da quelle bottiglie che è lo stesso ragazzo a consegnare quotidianamente a Magda. C'è forse della purezza nella sincerità di Tomek, quando a un certo punto decide di confessare tutto a lei, il proprio innamoramento e la propria abitudine a spiarla, tutte le azioni spiacevoli che per gelosia e sconsideratezza ha compiuto. E c'è forse della impurità nel comportamento indelicato di Magda, quando ascoltata la confessione del ragazzo comincia a giocare con la sua inesperienza, talvolta umiliandolo. Sembra, in prima analisi, ma non è tutto così semplice.

Dopo tanto blu, al momento dell'incontro dei due nel pianerottolo, lo sfondo si fa di un rosso acceso: lì Tomek rifiuta la proposta di sesso esplicito avanzata dalla donna, probabilmente per insicurezza, o per paura di affrontare quel sentimento che egli ha idealizzato e che ella conosce e non avvalora, lo rifiuta, quasi in fede al proprio piccolo peccato di voyeur, alla propria impurità tuttavia veniale: le parole distaccate di Magda raffreddano quel momento passionale, ma non spengono in Tomek l'entusiasmo.

"L'amore non esiste", affermerà lei durante un successivo incontro in un locale.
"Sì che esiste", le risponderà lui scuotendosi dall'imbarazzo; poi, il pendolo che si vedeva a inizio film, è fatto oscillare sopra il palmo di Tomek, nel momento che i due si prendono la mano, "è così che si fa quando due sono innamorati".

E rosso, nella notte, è anche il letto di lei, rosso è il telefono con cui i due intraprendevano brevissime conversazioni: calori solo visivi e mai provati, illusori e rimasti in una tiepida distanza.
C'è insomma del blu nel rosso e del rosso nel blu, come del bianco nel buio, della impurità nella purezza e viceversa.

Il brano centrale del film, quello in cui Magda invita dentro casa il ragazzo, molto intenso, è il momento in cui tutto sentimentalmente si volta. L'atto amoroso non si materializza, si limita a una mano sull'inguine di lei, alla sola mano ancora che trema, come quando nella sua camera lui si toccava, all'orgasmo raggiunto troppo presto, a una masturbazione soltanto più vicina e appena più fisica, alla presa in giro: "ecco, è tutto qua l'amore", gli dice Magda crudelmente, ed egli fugge via ferito.
Scosso, profondamente offeso, una volta tornato al suo appartamento si taglia le vene - nuovamente il rosso, il sangue che si espande nell'acqua del bagno. Dunque, l'ambulanza che si ferma e riparte sul vialetto.

E' ancora un episodio ambiguo. Il tentato suicidio, un peccato, tornando al significato religioso, tra i più gravi, diviene l'atto liberatorio al peccato "centrale" di Tomek, a quell'idea d'amore tra puro e impuro, tra platonico e voyeuristico, tra gioioso e sconfortante, tra sesso e masturbazione; ma al contempo anche una cura per il disinteresse e il cinismo di Magda. Da quell'avvenimento i ruoli prendono a ribaltarsi: ora è lui il disilluso e lei l'innamorata, lui ad avere conosciuto l'amore e lei a volerlo riscoprire, lui ad avere fatto un passo avanti e lei ad avere accettato di farne uno indietro, lei a cercare ossessivamente lui fuggitivo.

E' Magda adesso, in apprensione, invaghitasi o più normalmente turbata dal senso di colpa, che cerca con un binocolo Tomek nel suo appartamento, che fa segnali alla finestra nella speranza di una telefonata, che torna nei luoghi comuni alla loro breve storia e dove Tomek si aggirava: alla casella della posta, all'uscio della porta, allo sportello, all'appartamento dove vive il ragazzo. Ma non trova che la signora anziana a frenarla, il cui intervento dà inizio a un intreccio a tre ruoli: la sera ha assistito al loro appuntamento attraverso il cannocchiale, ora è lei, donna sola che ha visto partire di casa il suo vero figlio, che si occupa della consegna del latte, che s'interpone tra i due, quale madrina protettiva, con la fermezza e la pazienza di una suora; mentre la sparizione di Tomek, convalescente, ricoverato in chissà quale ospedale che Magda non trova, assume il valore di una sorta di ritiro spirituale, che serve tanto al ragazzo quanto alla donna, tornata dopo lungo tempo a patire a causa dell'affetto provato per qualcuno.
Quando finalmente riappaiono due ombre dietro le tende della finestra, è il sollievo per Magda - nonostante la donna anziana proseguirà col negare il ritorno a casa del ragazzo - la fine delle preoccupazioni, di un amore ma non dell'amore.

L'ultima scena, all'ufficio postale, è quanto mai di memoria bressoniana. In quel luogo tanto ordinario e grigio, in cui anche si apriva, il film si chiude sotto il segno di una essenzialità quasi insostenibile nel suo pudore, dietro ancora un vetro, sebbene ora comune, sebbene adesso meno lontani, i due si rincontrano diversi, a loro modo rasserenati, redenti - una piccola remissione che vale, qualcosa, nell'essersi in qualche maniera compresi, e tanto per più non soffrire oltre: a Magda che gli sorride; a Tomek che le confida: "Ho smesso di guardarla"; mentre sfuma l'immagine su di lei che pensosa e forse un poco delusa lo guarda.

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Recensione a cura di Ciumi - aggiornata al 23/11/2010 10.16.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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