Recensione la ragazza che giocava con il fuoco regia di Daniel Alfredson Danimarca, Svezia 2009
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Recensione la ragazza che giocava con il fuoco (2009)

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locandina del film LA RAGAZZA CHE GIOCAVA CON IL FUOCO

Immagine tratta dal film LA RAGAZZA CHE GIOCAVA CON IL FUOCO

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Dag Svensson (un giornalista che sta portando avanti un'inchiesta per conto della rivista Millennium, incentrata sul traffico di prostitute dall'est), Mia (la sua fidanzata criminologa) e l'avvocato Nils Bjurman vengono assassinati.
Le impronte sull'arma che è stata usata nell'omicidio dei primi due, e che apparteneva all'avvocato, sono quelle di Lisbeth la quale viene accusata di triplice omicidio. Il solo a credere alla sua innocenza è Mikael Blomkvist che si mette alla ricerca dei veri assassini.

"La ragazza che giocava con il fuoco" non può che essere Lisbeth Salander, pericolosa hacker, temibile asociale dalla memoria prodigiosa, sospetta assassina e protagonista assoluta del secondo capitolo della saga Millennium, dell'ormai celebre Stieg Larsson.
Se in "Uomini che odiano le donne" ci siamo trovati di fronte al classico enigma della camera chiusa, ambientato su un'isola tagliata fuori dai collegamenti con la terraferma per tutta la durata degli avvenimenti sospetti, in questo secondo film diviene molto più centrale la storia di Lisbeth e il racconto nel complesso assume i toni del thriller.
Lisbeth è stata incastrata e deve capire alla svelta chi è che la vuole fuori combattimento, e quando avrà la possibilità di scoprire quello che c'è dietro tutta la montatura sui suoi presunti crimini, sarà da sola davanti al suo nemico di sempre.
L'avvocato "sadico porco verme stupratore", con la complicità di un misterioso Zala, innesca una catena di avvenimenti che non sarà più possibile arrestare. E la tenacia sarà l'unica arma di cui Lisbeth potrà disporre fino alla fine.

Meno avvincente del primo episodio, a causa della fisiologica sospensione procurata dal fatto di essere in sostanza il racconto centrale di una trilogia, questo secondo film soffre un pochino anche del cambio di regia.
In contrapposizione alla regia accurata e coinvolgente di Oplev, Alfredson decide per un racconto più lineare dall'impronta leggermente più televisiva. Il risultato è comunque molto ben congegnato e le oltre due ore vengono spese senza eccessiva difficoltà. Oltretutto la storia, che svela parte delle vicissitudini della protagonista più affascinante dell'intera saga, regala allo spettatore una colpevole occhiata sulle motivazioni del suo complesso e piuttosto singolare universo interiore.
Grazie all'abilità di una sensazionale Noomi Rapace, il cui corpo minuto cela una forza e un fuoco visibili solo a tratti - a volte soltanto tramite un'occhiata lanciata in tralice verso la telecamera,come a cercare la complicità dello spettatore e una certa condivisione, se non dei modi almeno delle motivazioni - Lisbeth acquisisce spessore e una vaga umanità mentre lotta per la sua stessa vita, svelando parte di sé per quei pochi che non hanno letto la trilogia.

I fan ritroveranno una rappresentazione quasi olografica, per quanto è umanamente possibile nel caso della trasposizione di un corpulento romanzo denso di avvenimenti.
La caratterizzazione dei personaggi rimane abbastanza precisa, mentre i toni cupi del primo film cedono il passo ad una spy story serrata e intrigante.
La recitazione è minimale e ben curata, lontana anni luce dalle patinature d'oltreoceano, e allo spettatore sembrerà piuttosto di ritrovare la compagnia di vecchi amici, dall'aspetto convincente e genuino, come dovrebbe poter essere in tutti i casi in cui si racconta la storia di gente comune.

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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 07/10/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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