Recensione l'enfant - una storia d'amore regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Belgio, Francia 2005
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Recensione l'enfant - una storia d'amore (2005)

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Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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locandina del film L'ENFANT - UNA STORIA D'AMORE

Immagine tratta dal film L'ENFANT - UNA STORIA D'AMORE

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Immagine tratta dal film L'ENFANT - UNA STORIA D'AMORE
 

I fratelli Dardenne riprendono ancora una volta il tema del difficile rapporto "padre-figlio" e lo estremizzano accentuando le crudeltà del personaggio paterno, che accentra su di se ogni colpa, ogni criminale disattenzione e vilipendio sentimentale, rispetto all'innocenza totale del figlio, creatura appena nata e assolutamente indifesa.
Con il proprio consueto stile documentaristico, i Dardenne seguono i personaggi, e in modo particolare Bruno, il protagonista, in tutte le loro azioni, descrivendo minuziosamente la gestualità quotidiana e gli espedienti di vita, di queste vite precarie ai margini della città/civiltà industriale fredda e asettica.

Bruno, il protagonista "neorealista" splendidamente interpretato da Jérémie Rénier (era il "figlio" nello straordinario film d'esordio dei Dardenne, "La promesse"), è un delinquentello "ragazzo di vita" che si trova suo malgrado, e senza coscienza, a rivestire il ruolo di padre. Un ruolo così casuale e lontano dalla sua consapevolezza da non comprenderne a pieno la valenza.
La vita di Bruno è fatta di piccoli furti ed espedienti di sopravvivenza. La sua dimora non è mai fissa e spesso è una baracca sul fiume ad accoglierlo, tra i cartoni e i rifiuti.
La gestualità di Bruno è pressoché istintiva, primitiva: vivendo alla giornata ogni azione è legata al bisogno del momento. Non ha regole, non ha una "programmazione" delle giornate: Bruno è un personaggio anarcoide che vive per cogliere ogni occasione per far soldi, ma la sua spasmodica ricerca di denaro non è finalizzata al compimento di un progetto, bensì alla pura e semplice, selvaggia, sopravvivenza.
La nascita del figlio lo coglie, se non impreparato, praticamente indifferente. La sua ragazza, Sonia, invece, inizia ad assumersi le responsabilità di madre e a concepire - con grande gioia - un'idea di famiglia, nucleo minimo di rapporti regolati. Il suo è un vero e proprio progetto di vita, da istituzionalizzare - come primo atto ufficiale - con il riconoscimento del bambino; e poi, con la piena acquisizione della casa, luogo fisico e simbolico di stabilità.

Ma proprio nel momento della prima regolarizzazione (minima) del progetto di vita, Bruno rivela tutta la sua attitudine inconsciamente anarchica alla precarietà esistenziale. Nei progetti di Sonia, che vede per se e il suo compagno la concretezza e la nascita di una famiglia "normale", c'è anche la possibilità di un lavoro per Bruno, il quale sdegnosamente rifiuta in quanto lavorare è "da sfigati".
Fiutando l'invitante e provvidenziale opportunità di un cospicuo guadagno, Bruno decide di vendere suo figlio, sottraendolo alle cure della madre, ignara delle intenzioni del compagno. Anche questo atto non è programmato: è l'occasione a presentarsi a portata di mano e Bruno non vi sa rinunciare, colto da una istintiva, irrefrenabile pulsione al guadagno, ovvero alla sopravvivenza.
Per quella che è la sua visione etica della vita, Bruno non riesce a cogliere appieno la criminalità di quell'atto, con tutte le sue conseguenze, perché egli è spinto, come si è detto, da semplici pulsioni. Eppure c'è qualcosa che lo rende vagamente insicuro. Bruno, ignorando l'illegalità e la criminalità della vendita di suo figlio, sa che quel gesto avrà delle conseguenze per la sua compagna, ma l'incoscienza di sempre gli dà fiducia nel suo istinto. In effetti, l'unica persona a cui sa di dover "rispondere" dei suoi atti è proprio Sonia. Quando la ragazza, preoccupata, lo chiama sul cellulare, Bruno chiude la telefonata.

Ma anche di fronte alla realtà dei fatti che precipitano e lo inchiodano alle responsabilità e alla colpa, Bruno continua a vivere nel suo mondo senza regole e senza etica, ancora una volta inconsciamente: tutto quel che sa dire a Sonia, per consolarla e mitigare le proprie colpe, è che potranno sempre fare un altro figlio. Una soluzione abbastanza infantile, se vogliamo.
Il processo di maturazione che ha investito Sonia, con la maternità, è ancora lontano dall'affacciarsi nella vita di Bruno. Il recupero del bambino, lungi dall'essere un atto di presa di coscienza e un rimedio "morale" al crimine commesso, è per Bruno semplicemente un estremo tentativo di sfuggire alla giustizia, ennesimo espediente di sopravvivenza, dal momento che su di lui pende una denuncia della compagna.
Ma Bruno è andato oltre le proprie possibilità ed è finito in un giro più grande e pericoloso di lui. Quando si trova costretto a rubare "per mestiere", per "commissione", e non più per se, per la semplice sussistenza, Bruno finisce per perdere il controllo della situazione e la sua naturalezza e incoscienza delinquenziale: il suo crimine, il suo agire, diventano programmatici e finalizzati al risarcimento dei "pesci" più grossi. Sarà proprio questo "meccanismo" a innescare, col precipitare degli eventi, la presa di coscienza progressiva, l'espiazione, di Bruno, "ragazzo di vita" del nord Europa.

Il naturalismo proprio dello stile Dardenne, con la freddezza delle immagini e della fotografia (bellissima), l'assenza di musica nella colonna sonora, non concede nulla a melodrammi e facili sentimentalismi, o anche a possibili immedesimazioni coi personaggi.

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Recensione a cura di gerardo - aggiornata al 12/04/2006

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