Il corpo umano è un'altra vittima che nel cinema di Miike perde la sua normale identità e ciò avviene principalmente tramite la violenza perpetrata su di esso, la spersonalizzazione delle sue funzioni e il travalicamento dei suoi limiti. Anche questo aspetto sembra venire incontro alla realtà del mondo postmoderno, in cui gli uomini possono, grazie alle macchine, fare cose un tempo inimmaginabili, seppur nel frattempo vadano via via fisicamente indebolendosi.
Come ampiamente descritto dal cinema di registi come Tsukamoto Shin'ya o Ishii Sogo, l'asfalto e il cemento si sostituiscono alla carne, che diventa per l'uomo poco più di un inutile pendaglio. Ma Miike, a differenza di loro due, non cerca di restituire al corpo la propria fisicità, bensì si limita a prenderlo in eredità e a giocarci, come fosse un mero oggetto da plasmare e da reinventare secondo i propri capricci.
Le violenze che il corpo umano si vede costretto a subire nei film di Miike sono moltissime: mutilazioni, penetrazioni, lacerazioni, abrasioni, torture ed efferatezze varie compaiono in una buona fetta della sua filmografia. Oltre alla citata scena di tortura di "Audition", anche in "Ichi the Killer" il corpo umano viene messo a dura prova dai metodi estremi di Kakihara nella sua disperata ricerca prima del boss Anjo, poi di Ichi stesso.
Durante un interrogatorio egli rovescia sulla schiena del povero Suzuki un'intera pentola di olio bollente dopo averlo ripetutamente trafitto con degli aghi, mentre due sadici poliziotti torturano una ragazza, a cui vengono addirittura tagliati i capezzoli con un taglierino in una delle scene più forti di tutto il film. Essa non viene rappresentata esplicitamente, bensì in quattro inquadrature che non mostrano mai il momento preciso in cui avviene il taglio: prima si vedono i capezzoli, poi il taglierino che viene tirato fuori e poggiato sul tavolo di metallo; segue un'inquadratura d'insieme sulla situazione e quando l'obiettivo stacca alle spalle del torturatore, la sua mano ha già oltrepassato i seni della vittima, lasciando all'immaginazione dello spettatore il compito di completare la scena.
La stessa tecnica di rappresentazione ellittica della violenza viene adottata da Miike durante un'altra scena di tortura, forse la più crudele di tutta la sua filmografia: si tratta di quella presente in "Imprint", dove Komomo viene brutalmente seviziata dalle abitanti della casa di piacere in cui vive, perché invidiose della sua bellezza. Anche qui il corpo umano subisce una serie indicibile di violenze, tra cui l'abrasione dei seni della povera ragazza con stecchi di incenso incandescente e la penetrazione di aghi nelle unghie e nelle gengive.
Ma la violenza sul corpo non si limita a ciò che viene rappresentato sullo schermo, ma comprende anche l'intrusione dell'obiettivo all'interno del corpo stesso. Tre esempi di questa violazione della sacralità del corpo li abbiamo in "Ichi the Killer", "Fudo: The New Generation" e in "Nihon kuroshakai - Ley Lines" ("Ley Lines", 1999). Nel primo l'inquadratura entra dentro l'orecchio di Kakihara per mostrare lo spillone di metallo che egli si sta inserendo di proposito per togliersi l'udito. Negli altri due, invece, l'obiettivo si sposta addirittura dentro la vagina della protagonista femminile, da dove viene mostrato il mondo circostante.
Il corpo umano inoltre subisce continue spersonalizzazioni, nel senso che le sue funzioni vengono rappresentate come quelle di un oggetto e private quindi delle loro caratteristiche umane. Innanzitutto, i rumori emessi dal corpo sono sempre ridicoli, irreali ed esagerati. In "Visitor Q" il rumore della fuoriuscita dello sperma è rappresentato similmente a quello che farebbe del ketchup uscendo da un tubetto, mentre lo staccarsi tra gli organi sessuali maschile e femminile ha il suono dello stappo di una bottiglia. In "Yakuza Horror Theatre: Gozu" i rumori che si sentono dal bagno sono palesemente esagerati e sempre uno stap è ciò che si ode all'improbabile parto di Ozaki da parte della sua versione femminile. In "Crows Zero" invece, dei semplici battiti di ciglia utilizzati come codice segreto vengono rappresentati sul piano uditivo da degli strani rumori che ricordano delle ventose di plastica. In "Ichi the Killer", Kakihara prende in mano l'intestino di una delle vittime dilaniate dalla furia omicida di Ichi e sentenzia: "Il corpo umano è fatto di tubi come questo".
Frequente è nei film di Miike anche la travalicamento dei normali limiti che avrebbe nella realtà un corpo umano. Le fuoriuscite di sangue sono spesso esagerate oltre ogni logica, come avviene in "Full Metal Yakuza", "Ichi the Killer" o "Graveyard of Honour". Nella vertiginosa sequenza iniziale di "Dead or Alive", prima si vede una persona mangiare una quantità spropositata di ramen e poi un boss yakuza sniffare della cocaina per diversi metri, mentre in quella finale Jojima e Ryuichi sopravvivono anche se crivellati di pallottole. In "Dead or Alive: Final" (id., 2002) Ryo fuma un'intera sigaretta con un solo tiro, poi ferma con le mani una pallottola indirizzata a lui, la lancia in aria e con una rovesciata calcistica perfora la testa di colui che gli aveva sparato. Significativo è anche l'esempio di "Deadly Outlaw: Rekka", in cui il boss Sanada ha ancora la forza di strangolare il suo attentatore, anche dopo aver ricevuto un'enormità di pallottole. Non solo, nonostante il killer gli tagli le braccia di netto, le mani di Sanada rimarranno strette alla sua gola per diversi giorni. In "Visitor Q" Keiko, la madre della famiglia Yamazaki protagonista del film, farà uscire dai proprio seni così tanto latte da allagare un'intera stanza della loro casa. Impossibile non citare infine "Yakuza Horror Theatre: Gozu", in cui lo yakuza Ozaki, diventato inspiegabilmente donna, verso la fine del film partorisce la versione maschile di se stesso: si tratta del parto di un uomo adulto più grande della stessa donna che lo ha partorito. Persino la morte nel cinema di Miike ha dei confini non del tutto ben delimitati. Avviene spesso, infatti, che un cadavere possa riaprire gli occhi, magari proprio un istante prima dei titoli di coda, come avviene in "Full Metal Yakuza". Tale espediente compare pure in "Fudo: The New Generation" e in "Ley Lines" e viene utilizzato da Miike anche con un secondo scopo: quello di privare la rappresentazione cinematografica di qualsiasi pretesa di verosimiglianza e di proporre su pellicola una finzione finalizzata unicamente a se stessa.
Torna suSpeciale a cura di Tommaso Ghirlanda - aggiornato al 19/12/2011