Come abbiamo visto, i personaggi di Miike hanno in comune la mancanza di un'identità e tale condizione li relega a uno stato di infelicità da cui cercano di uscire. La vendetta, la ricerca del partner ideale, la creazione di un gruppo e la fuga sono i mezzi più gettonati per raggiungere la felicità, però non danno quasi mai esiti positivi. Ma allora, c'è qualcosa che possiamo individuare come spiraglio di luce, che possa essere vera fonte di serenità; una salvezza da quel mondo crudele e depravato che sembra non lasciare scampo a chi lo vive?
La risposta a tale domanda è positiva e comprende essenzialmente tre concetti che sembrano molto cari al regista: la dimensione idilliaca dell'infanzia, la crescita dell'uomo attraverso la lotta, l'unità della famiglia.
Nel cinema di Miike l'infanzia è senza dubbio una sfera privilegiata. Essa costituisce un contraltare al mondo violento e di sofferenza degli adulti, configurandosi così come l'unico momento di serenità per l'uomo. Anche qualora i bambini si trovino a che fare con delle situazioni drammatiche, le ferite che portano si limitano al corpo, poiché la loro anima rimane intatta. Pur con il viso tumefatto hanno sempre voglia di ridere, di scherzare, di vivere. Questo loro stato di inviolabilità è destinato però a cessare con l'ingresso nel mondo adulto, che in Miike corrisponde solitamente alla fine delle scuole superiori. Da questo momento in poi, il dolore non è più solamente superficiale, bensì va a toccare gli strati più profondi dell'animo umano rendendolo dolore esistenziale, e anche quelle situazioni difficili che durante l'infanzia erano vissute con la serenità propria della tenera età, ritornano in tutta la loro drammaticità, facendo di quei bambini felici nonostante i problemi, degli adulti violenti e infelici.
Ciò è particolarmente evidente nel film "Dead or Alive 2 - Birds", in cui i protagonisti Shu e Mizuki erano dei bambini spensierati durante l'infanzia, ma da adulti diventano dei killer che uccidono la gente per sopravvivere in un mondo violento. La pellicola è interamente incentrata proprio sul contrasto tra la loro innocente fanciullezza vissuta nell'orfanotrofio di una piccola isola e la cruenta vita che conducono a Tokyo una volta cresciuti. Essi poi tornano nei luoghi della loro giovinezza e quando si incontrano per caso rivivono insieme i ricordi in comune. Per loro inizia quasi una specie di seconda infanzia e come degli ingenui bambini decidono di uccidere tutti i capi yakuza di Osaka per rubargli i soldi e destinarli alle popolazioni povere dell'Africa, diventando così dei veri eroi. Significativo è che durante le sparatorie, il regista sostituisca Shu e Mizuki con le loro controparti da bambini e sempre di bambini sono le mani che inseriscono i soldi nelle macchinette del bancomat per donarli alle popolazioni africane.
Un altro esempio della dimensione privilegiata della fanciullezza l'abbiamo in "Ichi the Killer", con il personaggio di Takeshi. Egli è figlio di Kaneko, un ex poliziotto destituito per aver smarrito l'arma di ordinanza e affiliatosi nella banda yakuza di Kakihara. Il contrasto tra i due personaggi è evidente, poiché se il padre è scoraggiato e rassegnato nel suo fallimento sia come poliziotto, sia come yakuza (è maltrattato da tutti e non ne combina mai una giusta), il figlio ha una grande forza d'animo ed è deciso a diventare forte per superare le difficoltà. Non solo, Takeshi sarà colui che manderà in fumo i misteriosi piani dell'ipnotizzatore Jijii, mostrando che la sincerità dei sentimenti di un bambino è più forte di intere bande di violenti yakuza; è la sua furia, infatti, a far disperare Ichi, che disteso tra le lacrime non riesce più a rialzarsi e quindi a uccidere Kakihara. A fine film, l'unico personaggio sopravvissuto sarà proprio Takeshi.
Alla luce di queste considerazioni, è interessante notare come Miike abbia riservato all'interno della propria filmografia un posto speciale alla città di Osaka, il luogo della propria infanzia. I film qui ambientati infatti hanno toni diametralmente opposti rispetto a quelli la cui vicenda si svolge nella zona di Kabukicho a Tokyo: realistici e umani gli uni, violenti e esagerati gli altri. Inoltre, essi vedono sempre come protagonisti bambini e ragazzi, aumentandone la dimensione nostalgica e autobiografica. Parliamo, nella fattispecie, di opere come "The Way to Fight", "Young Thugs: Innocent Blood" e soprattutto di "Kishiwada shonen gurentai - Bokyo" ("Young Thugs: Nostalgia", 1998), probabilmente la più importante dal punto di vista della rappresentazione dell'infanzia. Il protagonista è Riichi, un bambino il cui padre, disoccupato e con il vizio dell'alcol, non manca di sfogare su di lui le proprie frustrazioni. Egli però non si perde d'animo e deciso a migliorare la propria condizione, progetta una fuga verso l'isola di Shikoku insieme agli amici Kotetsu e Yuji, i quali, a loro volta, volevano scappare dalle rispettive famiglie. La differenza tra adulti e bambini è ben evidenziata in una scena, in cui un signore di mezz'età vuole vendere ai tre piccoli protagonisti un cannocchiale per poter vedere lo sbarco di Armstrong sulla Luna (la vicenda è infatti ambientata negli anni 1969 e 1970). Per convincerli, egli dice loro che se non lo faranno ora, finiranno di rimpiangere quel momento per tutta la vita; ma il rimpianto è un concetto triste e patetico che fa parte del mondo degli adulti e non di quello idilliaco e spensierato dell'infanzia: essi compreranno sì il cannocchiale, ma lo getteranno via disinteressati dopo appena alcuni istanti. Durante il loro viaggio, si imbattono inoltre in un pittore dedito a dipingere il panorama montuoso che circondava il suo paese natio, nonostante ora si trovi di fronte al mare. Riichi capisce che quello non è altro che il suo modo di scappare da una realtà che odia e rifiuta e così si rende conto dell'inutilità della fuga. Per migliorare la propria condizione, invece di fuggire dal proprio ambiente, bisogna cercare di migliorarlo ed entrare in armonia con esso. Avviene quindi un processo di maturazione che gli consentirà di vivere meglio e di rinnovare le proprie aspirazioni. Proprio qui sembra stare il grande privilegio su cui bambini e adolescenti possono contare: la possibilità di avere dei sogni per il futuro, grazie alla consapevolezza di poter ancora cambiare e maturare. Alla rassegnazione degli adulti, schiavi della loro condizione, risponde la vitalità dei ragazzi, che hanno di fronte a sé ancora tutta la vita e possono ancora contare sulla possibilità di rendere migliore il proprio destino.
A questi concetti di crescita e maturazione si lega quello della lotta, utile ai giovani protagonisti dei film di Miike per far scatenare la loro immensa vitalità e migliorarsi, combattimento dopo combattimento. Non è tanto importante chi o per che cosa si lotti, quanto l'atto stesso di lottare, di far fruttare appieno le proprie energie e di crescere confrontandosi con gli avversari che si parano di fronte l'uno dopo l'altro.
Ciò è ben espresso da "The Way to Fight", un'altra pellicola ambientata ad Osaka in un fantomatico passato: "197X", lasciando imprecisata quindi la collocazione temporale, per enfatizzare ancora una volta la certa dimensione nostalgica. Protagonisti del film sono Kazuyoshi e Takeshi, i bulli più forti di tutta Osaka, decisi a sfidarsi per eleggere il numero uno. Alla resa dei conti, l'intera folla che si era riunita intorno, trascinata dalla loro energia, inizia una rissa collettiva che vede coinvolti anche vecchi, donne e bambini e si tratta di una lotta caotica in cui l'importante è solo combattere. La scena finale quindi si sposta ai giorni nostri (199X), quando Kazuyoshi e Takeshi sono protagonisti di un atteso incontro di pugilato trasmesso in diretta mondiale dal Tokyo Dome. I titoli di coda, però, partono un attimo prima che i due pugni si incrocino, come capita in svariate pellicole di Miike, a sottolineare il concetto che non è tanto importante l'esito del combattimento, quanto il combattimento stesso.
Tale messaggio viene ripreso anche da "Crows Zero", in cui Serizawa e Genji si sfidano per raggiungere la vetta della scuola Suzuran. Quando Genji, nelle battute finali del film, va a sfidare l'enigmatico quanto gargantuesco Linda-man, per poter fare un altro passo verso la conquista, egli gli dice che in realtà: "Non esiste alcuna vetta nella nostra scuola, perché incontrerai sempre qualcuno più forte di te. Ma continuando a combattere si diventa più forti, e infine ci si diploma. Questa è la Suzuran". Genji non viene molto convinto da questa spiegazione e gli si scaraventa addosso, ma il film termina nuovamente prima che il loro combattimento abbia inizio.
Anche la famiglia, infine, occupa un posto di riguardo nella filmografia di Miike. Essa è, a conti fatti, l'unica vera fonte di felicità e di serenità per i personaggi adulti del regista. La sua unità è vista in modo ben diverso da quella degli altri gruppi di persone (che siano clan yakuza, bande di ragazzi o aziende) destinati, come abbiamo visto, alla frantumazione nella quasi totalità dei casi. Il nucleo familiare invece può riuscire a superare anche i momenti di maggiore difficoltà ed è al centro di una buona fetta dei finali positivi delle opere di Miike. Già in "Fudo: The New Generation", la nuova unità che si forma al termine del film tra Riki, Aizone e la professoressa Minoru, può essere interpretata come la nascita di una nuova famiglia che potrà preservare la felicità dei suoi componenti.
Ciò è più evidente in "Yakuza Horror Theatre: Gozu", in cui Minami e le due versioni maschile e femminile di Ozaki vanno a formare un nuovo nucleo familiare, come ben si evince da una delle ultime inquadrature, dedicata ai loro tre spazzolini simbolo di un'unità ritrovata, che viene a configurarsi così come il vero scopo del loro allucinante viaggio proposto nell'intera durata del film.
Ma le opere a questo proposito più significative sono "The Happiness of the Katakuris" e "Visitor Q", entrambe interamente incentrate su un nucleo familiare. La prima è il remake del film coreano "The Quiet Family" ("Choyonghan Kajok", 1998) del regista Kim Jee-woon, e vede come protagonista la famiglia Katakuri, alle prese con vicende che possiamo definire tragicomiche. Essa si trova, infatti, in una situazione di difficoltà finanziaria, poiché sia il padre, sia il figlio maggiore perdono il loro lavoro. Decidono quindi di tentare di risalire la china economica aprendo un piccolo hotel in una località sperduta, ma gli affari non andranno esattamente a gonfie vele. Non solo, i pochi clienti che fanno loro visita muoiono tutti in circostanze misteriose, mettendo ancora più nei guai la povera famiglia. Se all'inizio i vari componenti tendono a comportarsi da egoisti (la piccola Yurie, nella parte della narratrice, dice: "Anche se siamo una famiglia, ciascuno ha i propri pensieri e i propri problemi"), essi nel momento del bisogno saranno pronti a sacrificarsi l'uno per l'altro, tramite un processo che in Miike è esattamente inverso a quello riservato alle altre forme di aggregazione tra gli uomini.
"Visitor Q" presenta una struttura molto simile, anche se nei toni è decisamente distante da quelli scanzonati dell'opera appena descritta. Protagonista è in questo caso la famiglia Yamazaki. Essa a inizio film presenta una situazione che è ben lontana da quella ideale di un nucleo familiare saldo e felice: il padre di famiglia è un reporter che, per realizzare un servizio sul bullismo, con la sua telecamera riprende, invece di difendere, di nascosto il figlio, continuamente maltrattato dai suoi compagni di scuola. Egli inoltre non solo ha un'amante, ma di tanto in tanto intrattiene rapporti a pagamento addirittura con la figlia. Anche la madre si prostituisce, in modo da ottenere i soldi che le servono per la droga, unica via per ottenere una momentanea evasione dalle botte ricevute dal figlio nella totale indifferenza del marito. Insomma, il quadro non è dei più confortanti e per porvi rimedio interverrà il misterioso visitatore del titolo, che riuscirà a ridare agli Yamazaki l'unità e la felicità mancanti, risvegliando nella madre l'istinto materno da lungo sopito. Il film termina con il figlio che ringrazia il visitatore dicendogli che comincerà a studiare seriamente, mentre padre e figlia baciano felicemente i seni della madre, che li guarda con fare amorevole e protettivo. E altamente simbolico è che, in una cinematografia così inidentificabile e volutamente contraddittoria, proprio alla fine di quello che forse è il film più violento, angosciante e disturbante, si possa apprezzare l'immagine più poetica e piena di vita che il cinema di Miike Takashi ci abbia mai regalato.
Torna suSpeciale a cura di Tommaso Ghirlanda - aggiornato al 19/12/2011