"Shokuzai" è una dimostrazione ulteriore di come la televisione e il cinema possono fondere insieme i propri linguaggi senza correre il rischio della snaturazione sia dell'uno che dell'altro. Un rapporto di collaborazione e mai conflittuale dove gli esempi di un passato più o meno recente sono talmente cristallini da non lasciare spazio ad equivoci, perché al di là dei gusti personali dello spettatore, lavori come quelli di Lynch con "Twin Peaks" o il Lars Von Trier di "The Kingdom", non suscitano dubbi sulla qualità del prodotto, destinato ovviamente ad una larga fetta di pubblico ma con una fortissima impronta autoriale.
La televisione ha permesso al cineasta giapponese di completare un processo già iniziato con lavori come "Tokio sonata", cioè di togliere la patina del j-horror, genere in cui ha avuto risultati eccelsi, per arrivare e mostrare l'essenza del suo stesso cinema fatto di silenzi, di vuoti, di immobilità dove l'orrore non si materializza fisicamente in fantasmi, ma proviene direttamente dalla sfera interiore dei personaggi, imprigionati in un nulla esistenziale che li isola progressivamente nel contesto sociale in cui vivono. Sono come dei corpi estranei avulsi da tutto, in cui l'unica condizione è quella di essere condannati all'isolamento. Il matrimonio, la famiglia e le istituzioni scolastiche e sociali non offrono nessun aiuto e, anzi, perpetrano un grave stato di disagio, reso tangibile dall'ottimo uso della fotografia.
Sotto questo aspetto l'omicidio di Emiri stilisticamente rappresenta uno spartiacque dell'intera miniserie. I colori accessi del mondo dell'infanzia perdono gradualmente la loro consistenza fino ad assumere tonalità tendenti al grigio dell'età adulta. Una scelta visiva che offre la misura che Kurosawa dà al peso di una colpa, alla necessità di un'espiazione per sfuggire ad un abisso oscuro popolato dai fantasmi del proprio passato, alla beffa di una redenzione desiderata e non raggiunta.
Di grande spessore sono le interpretazioni di un lavoro virato al femminile. Kyoko Koizumi riesce a plasmare un personaggio grandioso e carismatico, dalle sfumature ambigue che inducono a compassione per la profondità del dolore di una madre e repulsione per il modo spietato con cui essa condiziona in maniera negativa l'esistenza di quattro donne. Non sono certo da meno la fragilità di Yu Aoi nell'episodio di Sae, la bambola francese o la fisicità animalesca di Sakura Ando per Akiko.
Volto perfetto quello di Ikewaki Chizuru nel dar vita alla perfida malizia di Yuka e anche quello di Koike Eiko, una maschera che nasconde una rabbia profonda pronta ad esplodere all'improvviso.
Tuttavia, pur essendo centrato su personaggi femminili, non bisogna sottovalutare i ruoli maschili. In ogni episodio c'è sempre una controparte maschile che rappresenta il più delle volte un'ancora di salvataggio per le protagoniste. L'illusione di una vita matrimoniale soddisfacente, la solidarietà di un collega, la possibilità di allontanarsi da un nucleo familiare opprimente, il mezzo per una vendetta o l'amore di un passato che ritorna.
Per le quattro ragazze saranno solo sogni illusori, spesso fatali, di un destino che, al contrario, farà sentire maggiormente il proprio peso, mentre Nanjo per Asako sarà la chiave per il ricordo della propria colpa.
"Shokuzai" è un lavoro di eccellente valore che conferma il talento di un cineasta che ha saputo mantenere uno standard di valore anche di fronte al mezzo televisivo, riscontrando fra l'altro ottimi apprezzamenti in patria e all'ultima edizione del Festival di Venezia dove la durata originale è stata tagliata di circa trenta minuti. Quindi un rapporto fra cineasta e mezzo televisivo che si è concluso in maniera proficua per entrambi.
Torna suSpeciale a cura di The Gaunt - aggiornato al 26/02/2013