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Andrej Rublev (1966)

L'Artista non è il creatore della propria opera,
ne è solo il servo..”

(da “Scolpire il tempo” di A. Tarkovskij)

Il secondo lungometraggio di Tarkovskij, terminato di girare nel 1965, sarà proiettato per la prima volta nel 1968 al Festival di Cannes e sarà distribuito nelle sale cinematografiche francesi l'anno successivo.
Nel circuito europeo verrà distribuito nel 1972 e in Italia sarà proiettato per la prima volta solo nel 1975.
Indubbiamente ci troviamo di fronte ad un'opera difficile e scomoda, non solo per la classe dirigente sovietica.

Si conosce ben poco intorno alla vita del pittore Andrej Rublev, personaggio storico, nato intorno al 1370 e morto verso il 1430. Discepolo di Teofane il Greco lavorò in chiese e monasteri, diventando il portavoce ufficiale della pittura russa che da tempo cercava un proprio degno rappresentante.
Scrive Achille Frezzato: "..come Ivan, Andrej Rublev non è un eroe positivo secondo i canoni tipici del realismo socialista.. per trent'anni il cinema sovietico, nel raccontare la vita di scienziati, musicisti, uomini di cultura, aveva trasformato questi personaggi in autentici rivoluzionari, vicini all'ideologia comunista. Erano quelle opere enfatiche, biecamente propagandistiche, realizzate da registi ufficialmente riconosciuti, dove non vi è spazio per i sentimenti, i conflitti privati. I protagonisti lottavano sempre per un futuro migliore in un'ottica ottimistica e inverosimile."

Dopo i personaggi comuni del cinema del disgelo arriva Rublev, eroe schivo ed introverso, facile preda di dubbi ed esitazioni ma tenace e voglioso di comunicare, di contribuire al bene dei propri simili, di preparare insieme ad essi un futuro più giusto e più benigno.
Rublev si rende conto che la vera possibilità di arginare la violenza repressiva dell'autorità si trova in un legame non contraddittorio con gli altri e cerca di comunicare questo al popolo, attraverso le proprie opere.
In un mondo grigio la luce delle sue icone è un invito ad un atteggiamento più spirituale. Il suggerimento non viene raccolto e l'artista decide di non parlare più, né con la voce né con la propria produzione artistica. Riprenderà a parlare solo alla fine del film, quando il coraggio di un bambino compie il "miracolo". La campana del villaggio, occupato da un'orda di mongoli, si spacca e si ordina che il "fonditore di campane", l'unico a conoscenza della formula che permetta all'argilla con cui viene fatta la campana di resistere ai violenti rintocchi, ne costruisca una nuova. Ma questi è morto, portandosi nella tomba il segreto della formula. Molti provano a costruirne una, ma senza successo e ciò indispettisce i mongoli che riprendono a saccheggiare e seviziare la popolazione. Inaspettatamente Boriska, il figlio del fonditore di campane, dichiara di essere in possesso della formula, confidatagli dal padre prima di morire, ma non intende rivelarla. Dovrà essere lui a guidare gli operai. Quando l'opera è completata e la popolazione festeggia l'evento, il ragazzo piange disperato. Gli si avvicina Rublev e, per la prima volta, dopo anni riprende a parlare:


Rublev: Perché piangi, invece di essere felice?
Boriska: Perché non conoscevo il segreto della formula! Capisci? Mio padre è morto portandoselo con sé..
Rublev: Tranquillo.. da questo momento tu comincerai a fondere campane ed io ricomincerò a dipingere.

In Unione Sovietica il film suscita un'impressione enorme ed imbarazzo per la struttura narrativa insolita e le macabre scene di violenza.
Una recensione negativa esce, alla vigilia della prima, su di un quotidiano di grande tiratura come la Komsomol'skaja Pravda , nel tentativo di esorcizzare possibili contagi fra giovani spettatori.
Andrej Rublev verrà considerato, dalla critica sovietica di allora, un'opera elegante e valida ma opprimente, compiaciuta ed individualista, venata da 'inquietante' misticismo ed erotismo.


Torna suSpeciale a cura di maremare - aggiornato al 05/09/2005

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