speciale stanley kubrick - il futuro di kubrick - l'odissea di kubrick
al cinemain tvanteprimearchivioserie tvblogtrailerclassifichespecialiregistiattorirecensioniforumfeedmy
Skin Filmscoop in bianco Filmscoop nostalgia
Ciao Paul!
Ricerca veloce:       ricerca avanzatabeta

Il futuro di Kubrick

L'odissea di Kubrick

Febbraio del 1964, ristorante Trader's Vic all'hotel Plaza di New York. Questi la data e luogo in cui avvenne il primo passo della genesi di 2001: odissea nello spazio. Kubrick stava pranzando con il suo amico Roger Caras, pubblicitario della Columbia. Questi gli chiese quali fossero i suoi progetti futuri e il regista rispose: «Non ridere, ma l'ipotesi degli extraterrestri mi affascina». Kubrick diede quindi a un suo assistente l'ordine di stilare una lista di tutti gli scrittori di fantascienza e si impose di leggere almeno un'opera per ciascuno di essi. Ma Caras gli disse: «Perché perdere tempo a leggerli tutti? Perché non cominciare semplicemente con il migliore?» «Chi?» «Arthur C.Clarke» «Ma mi hanno detto che è un eremita; è andato fuori di testa e vive da qualche parte su un albero, in India».

Rassicurato sul fatto che non vivesse in India e pareva possedesse ancora tutte le sue facoltà mentali, lo fece chiamare per un'eventuale collaborazione. Va detto che il nome di Clarke non fu fatto probabilmente perché Caras ritenesse Clarke realmente il miglior scrittore di fantascienza sulla piazza, ma più plausibilmente perché era suo intimo amico. Un qualunque appassionato di fantascienza avrebbe forse consigliato Brown e Bradbury, sicuramente Asimov e Heinlein. Che cosa avrebbe potuto sviluppare Kubrick con questi autori? Ma il carattere di Kubrick e quello di Clarke erano molto simili: entrambi molto solitari, ostinati e presuntuosi. Il soprannome dello scrittore era infatti "Ego" e Caras immaginò che non sarebbe stato facile per il regista schiacciare il temperamento dell'amico e che questa sorta di "rivalità" intellettuale avrebbe permesso il generarsi di un clima particolarmente creativo. Alla fine il primo a beneficiare del rapporto fu Clarke stesso, che smise di essere un mediocre scrittore di fantascienza e divenne «l'unica persona che possa essere rappresentata da un numero a quattro cifre - 2001», come lo presentò un coordinatore al convegno del MIT del '76.

Sarebbe opportuno analizzare lo stato dei film di fantascienza prima dell' avvento di 2001: la maggior parte dei film era attribuita all'opera di avventurieri, registi che con pochissimi mezzi a loro disposizione non erano in grado che di produrre film altrettanto poveri, con rozzi effetti speciali e scenografie al limite del finto. Piuttosto esplicativo il caso di Mario Bava, che nel '65 girò Terrore nello spazio profondo con praticamente una scenografia e quattro massi di polistirolo, che il regista sparpagliò ogni volta in maniera diversa per dare l'impressione di essere in differenti set. Ma c'erano delle eccezioni: Il pianeta proibito, che uscì nel '56 per la MGM, fu il primo esempio di film di fantascienza moderna prodotto da una major, e la serie del Dottor Quatermass del '58. Ma Kubrick era seriamente intenzionato a fare qualcosa di speciale, che si allontanasse dagl schemi piuttosto rigidi del genere. Nel '64, quando la collaborazione fra Clarke e Kubrick era appena agli inizi, il regista non aveva un'idea ben precisa sul da farsi, ma solo linee di pensiero, concetti da esprimere. Clarke disse ad alcuni amici che i temi sarebbero stati: «1) Le ragioni per credere nell'esistenza di forme di vita extraterrestre intelligenti 2) L'impatto che una simile scoperta avrebbe sulla terra nel prossimo futuro».

Kubrick si impegnò quindi nella lettura di svariati racconti di Clarke, finché uno in particolare lo colpì particolarmente: Childhood's end. Era una storia che si svolgeva nel corso di un secolo, e aveva come protagonista l'Uomo; il tema era quello del contatto fra la nostra civiltà e una extraterrestre. Senza trascurare la rivelazione finale, nella quale solo l'esplodere di un olocausto permetteva all'uomo di evolversi.

Ma il racconto era già opzionato, per cui era impossibile procurasi i diritti necessari. Clarke propose allora un suo breve racconto di nove pagine, La sentinella; scritto nel '48 per un concorso bandito dalla BBC, dove non solo non vinse, ma non si piazzò neppure tra i finalisti. E' il racconto del ritrovamento di una strana struttura nel mare lunare di Crisium; l'oggetto viene descritto come «una struttura approssimativamente piramidale, alta due volte un uomo… Inserita nella roccia come un gioiello con molte facce». L'oggetto, si scoprirà poi -o meglio si dedurrà- è una sorta di congegno che permetterà ai "costruttori" di comprendere lo stadio evolutivo dell'uomo, ormai degno di essere messo al corrente dei misteri dell'universo.

Benché La sentinella non fosse un racconto particolarmente riuscito e il solo Childhood's end lo avesse colpito realmente Kubrick fu comunque da subito estremamente affascinato dal concetto di manufatto alieno ritrovato dalla nostra civiltà. Ma le sue idee andavano ben al di là di quelle di Clarke; lo scrittore era semplicemente affascinato dall'atto stesso di un ipotetico contatto, mentre al regista questo non bastava. Ricorda Clarke: «Aveva un'idea della meta finale. Voleva fare un film sulla relazione fra l'uomo e l'universo; qualcosa che non era mai stato tentato, né tantomeno ottenuto, nella storia del cinema. Stanley era deciso a creare un'opera d'arte che suscitasse le emozioni della meraviglia, del timore reverenziale e anche, se fosse stato il caso, del terrore». La relazione fra i due si fece sempre più stretta e intima, anche se Kubrick direzionava praticamente ogni dialogo con lo scrittore verso l'argomento "extraterrestri". Spinto da sete di conoscenza quasi fanciullesca, Stanley assillò Clarke con le più svariate domande, tanto che questi non iniziò a chiedersi se per caso avesse a che fare con un paranoico. Scrive LoBrutto:«A Clarke il regista sembrò destinato alla nevrosi, spinto da una serie inestinguibile di perfezione totale».

Inizialmente, quando lo sviluppo era ancora in fase embrionale, il film sarebbe dovuto essere un documentario, con una serie di sequenze che riguardavano l'esplorazione dello spazio e l'arrivo degli uomini sulla luna. Erano pronti anche dei modelli di eventuali extraterrestri; il progetto fu battezzato How the solar system was won, titolo che parodiava il famoso How the west was won, epico western in cinerama. Le varie sequenze sarebbero culminate con il ritrovamento di una struttura extraterrestre, ma Kubrick scartò quasi subito l'idea.

Era il 17 marzo. Clarke e Stanley stipularono un contratto verbale per iniziare la loro storia quando furono distratti da qualcosa che brillava in cielo. Ai due non sembrò un aereo e credettero di aver avvistato un UFO. Il giorno dopo fecero un'indagine e scoprirono di aver visto un Echo 1, un pallone metallizzato che serviva a condurre rilevamenti atmosferici. Il fatto di aver pensato alla possibilità di aver avvistato degli oggetti volanti di natura extraterrestre bastò per gettare Kubrick nella paranoia totale; iniziò quindi a chiedersi quale tipo d'impatto la scoperta di vite intelligenti aliene avrebbe avuto sul film che stava iniziando a nascere. Decise di tutelarsi; cercò di assicurare il film presso i celebri Lloyd's di Londra. La polizza che Kubrick propose consisteva in un risarcimento astronomico per "danni morali" qualora gli extraterrestri avessero svelato la propria esistenza prima dell'uscita del film. I Lloyd ritennero Kubrick un pazzo e la faccenda si chiuse lì.

Il 20 marzo del '64 Clarke firmò l'accordo con il regista; per il trattamento basato su la sentinella avrebbe percepito 30.000 dollari, più altri 10.000 per l'opzione su altri racconti.

La fase di sceneggiatura fu il primo passo che rivelò la natura particolarmente originale del progetto; Kubrick non intendeva basare la propria regia su una convenzionale sceneggiatura, da lui giudicata come «la forma di scrittura meno comunicativa mai concepita», ma pretese che Clarke concepisse un vero e proprio romanzo, da cui avrebbe sintetizzato in seguito i nuclei fondamentali. Lo svilupparsi del romanzo sarebbe quindi andato di pari passo con lo sviluppo del film. Chiaramente Clarke non beneficiò di libertà assoluta; lo scrittore proponeva idee e, una volta approvate, le scriveva. Kubrick leggeva e giudicava, spesso apportando modifiche e contribuendo largamente allo sviluppo del racconto.

Lo scoglio principale fu la questione extraterrestri. Kubrick era indeciso se rappresentarli o meno. Lo scienziato Carl Sagan lo sconsigliò e ricorda così il suo dialogo con il regista: «Io dissi che sarebbe stato un disastro raffigurare gli extraterrestri. La mia tesi era che il numero di eventi individualmente improbabili nella storia evolutiva dell'uomo è così grande da rendere assolutamente improbabile che in qualunque altro punto nell'universo si evolva qualcosa di simile a noi. Sostenevo che qualsiasi esplicita raffigurazione di un extraterrestre avanzato fosse destinata ad avere in sé almeno un elemento di falsità e che la soluzione migliore sarebbe stata suggerire gli extraterrestri, invece di raffigurarli esplicitamente».

Kubrick, che esigeva il massimo della perfezione, iniziò a circondarsi da vari esperti e luminari del settore. Chiese inoltre la collaborazione di alcune ditte come l'I.B.M. e la General Dynamics, fornendo loro, in cambio, un'apparizione dei loro loghi nel film. Faceva intanto l'apparizione nel romanzo di Clarke il Computer H.A.L. 9000, che in origine avrebbe dovuto chiamarsi Athena. Furono in molti a sostenere che l'acronimo del computer celasse in realtà la sigla I.B.M.; bastava sostituire ogni lettera con la successiva. Kubrick avrebbe passato il resto della sua vita a sostenere che le iniziali stavano per Heuristically Programmed Algorithmic Computer, ovvero computer euristico programmato tramite algoritmi, ma dati i suoi rapporti con l'I.B.M., non riuscì mai a convincere pienamente nessuno. La MGM annunciò nel febbraio del '65 che Kubrick stava preparando presso di loro il suo nuovo film, a colori e in cinerama. O'Brien, presidente della MGM disse ai giornalisti: «Una cosa è certa. Non sarà un film di fantascienza epico alla Buck Rogers».

Il costo fu stimato sui sei milioni di dollari, presto aumentati a dieci. Più della metà sarebbe stato investito in effetti speciali. Non ci volle molto a capire che qualcosa di veramente grosso era in procinto di essere sviluppato, un progetto dalle dimensioni mai raggiunte prima. Il momento della produzione si avvicinava e Kubrick scartò e cambiò molte delle cose scritte da Clarke; pagine che in precedenza avevano raggiunto l'approvazione furono scartate. L'idea principale fu quella di far compenetrare ne La sentinella alcune idee sviluppate in Childhood's end. In una spedizione sulla luna veniva scoperta una misteriosa struttura aliena, che una volta violata cominciava ad emettere segnali verso Saturno; una spedizione veniva quindi inviata verso il pianeta per scoprire la destinazione dei segnali, quando il computer di bordo, impazzito, iniziava a decimare l'equipaggio. L'unico sopravvissuto, dopo una serie di strani fenomeni, diveniva "il figlio delle stelle" e il suo primo atto era quello di far esplodere gli anelli di Saturno per avviare una esplosione più grande. Furono anche previste delle sequenze documentaristiche che vedevano gli scienziati interrogati sull'ipotesi dell'esistenza di civiltà aliene alla nostra e sull'impatto che esse avrebbero avuto sulla nostra civiltà. Molte parti vennero eliminate e il pianeta fu sostituito con Giove; Kubrick aveva previsto che gli anelli di Saturno sarebbero stati difficili da rappresentare anche con i più avanzati effetti speciali. Rimasero alcuni capitoli fondamentali: "L'alba dell'uomo", "Diciotto mesi dopo: in missione verso Giove" e "Giove e oltre l'infinito". Era l'ossatura sulla quale si sarebbe sviluppato 2001: odissea nello spazio, titolo definitivo scelto da Kubrick che si ispirava all'Odissea di Omero. Come Ulisse, gli astronauti si sarebbero imbarcati per un viaggio che avrebbe coinvolto anche gli spettatori, una volta messi di fronte a un qualcosa di mai tentato prima.

Si creò da subito il problema della pronuncia del titolo del film. Kubrick era indeciso se utilizzare il metodo di datazione convenzionale (twenty-zero-one) o direttamente Two thousand and one, prima di abbandonare la prima ipotesi in favore della seconda.

Kubrick volle per 2001 un'equipe per gli effetti speciali che lavorasse ottenendo risultati mai raggiunti in precedenza; per questo passò in rassegna centinaia di film e documentari di fantascienza, finché non si imbatté in un documentario canadese, Universe, con effetti speciali di Wally Gentleman. Questi riuscì a ricostruire un universo ben differente da quello di altri film. Vivido e pulsante, l'universo creato da Gentleman era quello che Kubrick desiderava per il suo film. Wally fu quindi chiamato dal regista, ma poco dopo dovette abbandonare la produzione per motivi di salute. La realizzazione degli effetti speciali avrebbe trovato la sua squadra con Wally Veevers, Douglas Trumbull, Con Pederson e Tom Howard.

Il 29 dicembre del '65 iniziarono in Inghilterra le riprese. Il direttore della fotografia era Geoffrey Unsworth, affiancato in seguito da John Alcott, futuro e fedele partner del regista; per la scenografia, dopo il rifiuto di Ken Adam, Kubrick scelse Ernie Archer e Harry Lange. Gli attori non erano molti; Robert Shaw esultò come un bambino di fronte ad uno splendido giocattolo alla notizia che Kubrick lo voleva per un suo film, salvo poi rendersi conto che la parte assegnatagli era quella di Moonwatcher, lo scimmione che tira l'osso. A William Sylvester andò la parte del burocrate in viaggio sulla luna, Heywood Floyd; per i due astronauti, Kubrick rifiutò di assegnare la parte ad attori troppo famosi. La loro notorietà avrebbe tolto credibilità alle parti, secondo il regista, che pretese che i due astronauti dovessero comportarsi «esattamente come quelli che si vedono nei documentari», cioè intenti a compiere il loro lavoro e null'altro. Keir Dullea recitò nei panni del dottor Bowman, Gary Lockwood in quelli del dottor Poole. H.A.L. fu in seguito doppiato dalla voce di Douglas Rain, la stessa voce che aveva accompagnato la descrizione delle galassie del tanto apprezzato Universe, anche se durante le riprese fu Kubrick stesso a donare la voce al supercomputer. In una sequenza compare anche sua figlia, Vivian, nella parte della figlia di Floyd.

Gli effetti speciali, costati sei milioni di dollari -per quell'epoca una cifra astronomica- furono sbalorditivi e ancora oggi paiono all'avanguardia, in grado di tener testa alle più moderne elaborazioni in computer grafica. Una cosa è certa; nessuno, dopo Kubrick, è stato in grado di fornire l'immagine di un universo altrettanto pulsante. Per le astronavi furono realizzati vari modelli in scala, agganciati a particolari motori che si muovevano in maniera assolutamente impercettibile, ripresi a pochissimi fotogrammi al secondo con il diaframma dell'obiettivo completamente aperto. Racconta Kubrick: «Era come guardare la lancetta delle ore di un orologio. Abbiamo girato la maggior parte di queste scene usando esposizioni lente di quattro secondi al fotogramma, e se stavi sul set non vedevi nulla in movimento. Anche la gigantesca stazione spaziale, che sullo schermo ruotava a una discreta velocità, sembrava immobile durante la ripresa delle scene […] Per alcune inquadrature, come quelle in cui sulle astronavi si aprivano o si chiudevano delle porte, un movimento di dieci centimetri richiedeva cinque ore di riprese». Altro motivo d'orgoglio era la sezione circolare della Discovery -l'astronave sulla rotta di Giove- nella quale Poole fa ginnastica. Per realizzare tale sequenza fu costruita una struttura circolare dal diametro di undici metri, costata 750.000 dollari, che somigliava in tutto e per tutto ad una ruota panoramica. Gli attori che la percorrevano, la mettevano in moto esattamente come un criceto nella sua ruota; gli arredi sulla parete stabile (ma che, per illusione ottica, pareva muoversi) erano saldamente fissati. All'interno erano avvitate sei macchine da presa e una, con un dolly, seguiva Poole nella sua "corsa". Un altro set imponente era il cratere sulla luna, nella zona di scavo, dove il monolito era stato rinvenuto; Kubrick impugnò personalmente la Mitchell a 65mm, aiutato da collaboratori che sostenevano con lui il peso della macchina da presa.

Un problema si presentò per la scelta delle location della prima parte, che doveva essere girata in un deserto, in esterni. Data la riluttanza di Kubrick a volare, egli inviò una seconda squadra in Africa per eseguire delle riprese nel deserto della Namibia, che avrebbe poi retroproiettato in studio. Ma decise di provare anche un'altra tecnica; la retroproiezione conferiva allo sfondo un aspetto innaturalistico, un chiaro "effetto fotografia" utilizzata come uno sfondo in cui gli attori si muovevano. Per ovviare al problema, decise di proiettare le diapositive frontalmente, invece che da dietro. Questo infondeva nuova vitalità agli interni, che sembravano così integrarsi perfettamente con la scenografia ricostruita in studio. La proiezione frontale è anche il motivo per cui gli occhi del ghepardo brillano, un "errore" che l'onnipotente regista non poté correggere. Della prima parte, l'unica sequenza girata realmente in esterni fu quella di Moonwatcher che scopre l'altra funzione che un osso può avere. Per filmare ciò a Kubrick serviva un esterno che si conciliasse con le scene in interni già girate. Nel corso di una riunione si discusse il problema e il regista esordì con: «Non posso credere che non ci sia un deserto da qualche parte in Inghilterra», quando un intrepido Birkin -un semplice collaboratore che stava portando il caffè, pagato otto sterline alla settimana- sostenne di conoscerlo, sfidando così apertamente i propri collaboratori. Kubrick gli rispose: «Bene, fammi avere tutti i dettagli entro domani». Birkin, ovviamente, non poteva avere la minima idea di dove trovare un deserto in Inghilterra, quando improvvisamente si ricordò, dalla disperazione, di aver visto la foto di un deserto sul libro di geografia della scuola e che era poco distante da Londra. Lo rintracciò e fornì le coordinate a Kubrick. Poco dopo fu contattato telefonicamente da Victor Lyndon, line-producer del film, che gli disse:«Non so cos'hai fatto, ma Stanley mi ha appena detto di aumentarti lo stipendio. Quanto prendi adesso?» «Otto sterline alla settimana» «Da oggi sei a trenta. E ti faremo avere una tessera del sindacato». Il giorno seguente Kubrick chiamò Birkin e gli altri scenografi in riunione: «Com'è che voi passate otto mesi e spendete 50.000 sterline a cercare di creare un deserto e questo volontario ne trova uno in ventiquattr'ore e per otto sterline?». Birkin sarebbe diventato in seguito un valido collaboratore, dimostrandosi sempre affidabile e volenteroso. Arrivò presto il momento in cui affrontare il problema del manufatto alieno. Inizialmente si optò per un oggetto di forma piramidale, ma Kubrick volle evitare ogni richiamo a strutture terrestri. Scelse quindi la figura del monolito, un pezzo di legno alto poco più di due metri e cosparso di graffite, che permetteva quell'effetto luminoso-opaco che è possibile vedere. Doveva essere maneggiato con cura perché la graffite tendeva a creare delle striature; per il monolito che Bowman vede "galleggiare" nello spazio intorno all'orbita di Giove fu costruito un modellino. Si poneva intanto il problema di come terminare il film. Clarke immaginò che Bowman dovesse trovarsi accanto agli extraterrestri, ma Kubrick pose il veto. Il regista tagliò moltissime scene di dialogo, tanto che questo si riduce a 46 minuti, contro i 139 della durata del film. Kubrick tornava così alle suggestioni proprie del cinema muto, riappropriandosi dei codici linguistici prettamente cinematografici del raccontare una storia prevalentemente per immagini.

A tal proposito, Kubrick dirà: «Ci sono certe aree di sensazione e realtà che sono particolarmente inaccessibili alle parole. Forme di espressione non verbale come la musica e la pittura possono arrivare a queste aree, ma le parole sono una terribile camicia di forza. E' interessante quanti prigionieri di questa camicia di forza non sopportino che essa venga allentata» «Non mi piace parlare molto di 2001 perché è essenzialmente un'esperienza non verbale. Tenta di comunicare più al subconscio e ai sentimenti che all'intelletto. Mi è abbastanza chiaro che c'è un problema di fondo con quelle persone che non prestano attenzione con gli occhi. Ascoltano. E non c'è molto da ascoltare in questo film. Coloro che non crederanno ai loro occhi non riusciranno ad apprezzare questo film».

Un particolare che ancora era da realizzare era la sequenza della "porta delle stelle", quando Trumbull, ispirato dai film-maker sperimentali americani, ideò la split-scan, una sorta di stampante ottica che riprendeva disegni con l'otturatore completamente aperto. Una volta filmate, le immagini venivano proiettate ad alta velocità, conferendo alle figure riprese l'effetto "ottovolante"; Trumbull firmerà in seguito anche gli effetti speciali di Incontri ravvicinati del terzo tipo (Spielberg) in cui i fasci di luce che precedono la comparsa dell'astronave sono in realtà le immagini della città di Los Angeles di notte filmata con la split-scan. Le immagini in volo di formazioni rocciose in 2001 furono invece ottenute virando il negativo della pellicola in maniera particolare.

La musica ebbe sin dall'inizio un ruolo di primaria importanza. Kubrick sentì che per questo film la musica avrebbe dovuto aiutare lo spettatore ad entrare in un «livello di coscienza più profondo». Durante la stesura del trattamento lui e Clarke erano soliti ascoltare i Carmina Burana del compositore tedesco Carl Orff; questi fu prontamente contattato, ma declinò l'offerta perché si sentiva «troppo vecchio». Per visionare alcune scene, Kubrick preparò una colonna sonora temporanea, selezionando alcune composizioni dal repertorio classico. Questa è la versione di Birkin di cosa Kubrick ascoltasse come accompagnamento sonoro per le immagini: <Passammo delle ore in sala proiezione per vedere il girato delle sequenze dello spazio. Era molto noioso; c'era un vecchio tecnico che si addormentava sempre. Lo si sentiva russare. Nella cabina di proiezione trovai una pila di vecchi dischi di musica classica che [Kubrick] metteva per il pubblico delle anteprime. Chiesi a Stanley se potevamo sentirli mentre guardavamo il girato. Rispose che non gli importava. Dopo circa quattro giorni stavamo guardando un'inquadratura di un'astronave e si cominciò a sentire un vecchio vinile gracchiante del Danubio Blu. Dopo qualche istante Stanley disse: "Sarebbe una follia o un colpo di genio usare questa musica nel film?"». Birkin attribuì quindi l'idea della musica classica a sé, ma Kubrick continuò a sostenere che era un'idea che gli «Girava in testa già da tempo». Si potrebbe credergli, dato che iniziò a pensare a 2001 con i Carmina Burana in sottofondo. In quel periodo, la BBC trasmetteva una serie sulla prima guerra mondiale, il tema musicale usato era Così parlò Zarathustra. Quell'intro di fanfara che muoveva dal do alla sua quinta -sol- per poi terminare sull'ottava -do- pareva a Kubrick solennemente imperioso, perfetto per trasferire tali atmosfere nella pellicola. Si rivolse anche a compositori contemporanei quali Ligeti e Khacaturjan. Ciononostante, chiese ad Alex North, che già aveva scritto la colonna sonora per Spartacus, di comporre del materiale che avrebbe utilizzato come colonna sonora definitiva. North avrebbe scoperto solo durante la visione del film che la sua musica non era stata utilizzata. La MGM non si scomodò nemmeno per informarlo che all'ultimo momento Kubrick decise di utilizzare la sua "colonna provvisoria". North ne fu oltremodo deluso, ma non se la prese. Roger Waters, un altro genio della musica e leader dei Pink Floyd, espresse rammarico per non essere stato chiamato per comporre la musica per la "porta delle stelle".

Nel marzo del '68 Kubrick vide la stesura completa del romanzo di Clarke, che oltre a servire da sceneggiatura -seppur con rilevanti modifiche- avrebbe dovuto essere pubblicato come progetto parallelo al film. Ma Kubrick la fece sporca, continuando a non voler approvare la versione definitiva e facendo perdere a Clarke molti soldi. Molto pragmaticamente, non avrebbe mai tollerato che il romanzo uscisse prima del film e difatti sarebbe stato pubblicato solo in seguito. Il primo aprile del '68, a New York, ci fu la prima di 2001. Fu una delle serate peggiori per Kubrick e i suoi collaboratori; gli spettatori sembravano svogliati e disattenti. La gente usciva prima del finale. Il regista si convinse di aver prodotto un flop mastodontico. La critica, per la maggior parte, fu spietata con il film, accusandolo di tediosità e pretenziosità. Ma il pubblico reagì in maniera diametralmente opposta, dimostrando fin da subito di essersi completamente innamorato del film. C'erano code interminabili per entrare nei cinema e ben presto si creò il fenomeno. Parte della critica fece dietro-front spendendo parole di lode per l'immensità dell'opera. Gli effetti speciali erano qualcosa di mai visto prima e lunghi dibattiti iniziavano dopo le visioni del film; 2001 divenne un culto. John Lennon disse: «Vedo 2001 ogni settimana».

Dopo trent'anni, 2001: odissea nello spazio continua ad affascinare esattamente come allora. Se gli effetti speciali risultano ancora freschi e attuali, i temi che il film propone sembrano portare lo spettatore ad interrogarsi esattamente come i suoi "predecessori" di trent'anni fa. In quanto a mistero, 2001 ottenne con tutta probabilità la fama di film da battere e il monolito e il suo significato faranno sì che la gente si interrogherà finché il film esisterà.

2001 rifugge da qualsiasi tentativo di archiviazione e catalogazione; sarebbe sicuramente riduttivo rinchiuderlo nel genere fantascientifico. Molti sono i temi trattati, anche se in maniera velata, circospetta. Le allusioni si allontanano da quel tipo -fastidioso- di similitudine messa appositamente in evidenza, che ricorda costantemente allo spettatore la sua funzione; 2001 suggerisce con parsimonia i suoi simboli, distribuendoli con grazia e senza alcun tipo di insistenza nello svolgersi dell'avventura. E' una delle opere più antropologiche che esistano; il fulcro di 2001 è l'Uomo, non inteso singolarmente ma nel suo insieme, nella collettività della sua esperienza. La società tutta è presa in esame da Kubrick e il suo lento cammino verso l'evoluzione accompagna ontologicamente la natura dello stessa verso l'integrazione dell'uomo nei confronti del cosmo che lo ospita.

La trama del film, se 2001 ha una trama nell'accezione comune del termine, è piuttosto semplice; nel corso della storia, un misterioso monolito nero appare ogni qual volta la razza umana stia per subire un'evoluzione. Si potrebbe parlare per ore di cosa sia questo monolito e di chi lo abbia messo lì e sarebbe altrettanto facile attribuire la presenza di questo ad entità extraterrestri. Cosa che in origine, effettivamente, era; sin dai progetti iniziali il film si sarebbe dovuto occupare dell'impatto che una civiltà aliena avrebbe avuto sull'uomo. E Clarke continua ancora oggi con quest'ipotesi; si legga il romanzo di 2001 per averne conferma, o si veda 2010: l'anno del contatto di Lumet, sceneggiato dallo stesso Clarke, film colpevole -secondo Kubrick- di aver svelato troppo, togliendo così gran parte del mistero. Ricordiamo che sin dall'inizio erano pronti modellini di extraterrestri. Ma gran parte del materiale che avrebbe spiegato l'esistenza del monolito sarebbe stata progressivamente tolta da Kubrick stesso, che iniziava a pensare al suo film come qualcosa di "oltre". Durante il suo sviluppo i riferimenti a civiltà extraterrestri furono praticamente eliminati. Il monolito, principio dell'evoluzione della civiltà umana, veleggiava verso altri lidi. Partendo con l'analisi del fatto che vi sono cento miliardi di stelle nella nostra galassia e cento miliardi di galassie nell'universo visibile, è assolutamente improbabile per Kubrick che l'uomo sia l'unica creatura esistente; ma il solo tentare di immaginare altre civiltà comporta l'inghippo di pensarle come simili a noi, cosa assolutamente improbabile -se non impossibile- dato l'insieme di eventi del tutto fortuito che hanno portato al generarsi della nostra specie. Il pensiero umano si dimostra così impotente di fronte a tale pensiero, ed è Kubrick stesso a dire: «Certe parole debbono porsi ad un livello che l'umano non può situare. Quegli esseri avrebbero probabilmente dei poteri incomprensibili. Potrebbero essere in comunicazione telepatica attraverso l'intero universo. Potrebbero avere la facoltà di plasmare gli avvenimenti in un modo che appare divino. Potrebbero persino rappresentare una specie di coscienza immortale che faccia parte dell'universo. Quando si comincia ad interessarsi a questo tipo di problemi, le implicazioni religiose sono inevitabili, perché tutte queste caratteristiche sono di quelle che si attribuiscono a Dio. Ecco qui, insomma, se si vuole, una definizione di Dio perfettamente scientifica». Ed ecco forse, in questa frase, il senso del monolito; il suo mistero è un enigma impossibile da risolvere perché impossibile da risolvere è ciò a cui rimanda; il significato si dimostra inconoscibile all'uomo perché ignote sono le ragioni che muovono l'universo creato. Il cosmo non è a misura d'uomo e questi farebbe bene ad accettarlo. Il monolito è quindi significante puro, senza apparente significato, perché tale contenuto è trasferito in un "piano superiore" -per adesso- inaccessibile all'uomo. Che la risposta siano gli extraterrestri-demiurghi (Clarke) o una coscienza universale intesa come Dio (Kubrick) poco importa; la tensione verso il mistero è soddisfatta in pieno perché irrisolta. Così come la religione appaga il credente attraverso il concetto di fede, che per definizione impone fiducia in ciò che non può essere dimostrato, il monolito appaga i suoi osservatori perché irraggiungibile. È un assoluto tendere verso, slanciarsi verso, senza mai poter raggiungere l'oggetto del desiderio, se non tramite evoluzione. Ed è proprio sito nell'evoluzione il concetto-chiave del film; si noti che l'attenzione è tutta riposta alle varie fasi dell'uomo e al suo costante rincorrere il monolito, più che a spiegarlo. Non appena la coscienza dell'uomo si evolve, il film diviene oscuro, misterioso ed inquietante proprio come lo è ciò a cui tende. La cosa forse più spaventosa per l'uomo è la risposta alle semplici domande che la filosofia si pone da secoli: chi siamo, da dove veniamo.

Clarke immagina che la camera del '700 in cui si trova Bowman alla fine sia una specie di camera d'incubazione, creata dagli extraterrestri in uno stile che gli è familiare, per metterlo a suo agio. Ma questa, sarà bene ricordarlo, è la versione di Clarke. Kubrick sostiene che il terzo monolito «proietta Bowman in un viaggio nello spazio interiore e in quello infinito… Fino a giungere in uno zoo umano, in un ambiente terrestre che prende forma dai suoi sogni e dalla sua immaginazione. In uno stato senza tempo, la sua vita passa dalla mezza età alla senescenza e infine alla morte. Rinasce come un essere superiore, un figlio delle stelle e ritorna sulla terra pronto per il salto successivo verso il destino evolutivo dell'uomo». Risulta evidente l'assoluta mancanza di caratteristiche che possano far pensare ad extraterrestri e ritorna invece il concetto di intelligenza cosmica, intesa come la natura stessa della vita e del cosmo che la ospita. Kubrick è stato sempre chiaro nelle interviste circa altri suoi film; si leggano le interviste concesse a Michel Ciment, probabilmente lo studioso più rinomato del regista, di Arancia meccanica, Barry Lyndon e Shining. Si noterà un Kubrick piuttosto prodigo di notizie, aneddoti e concetti. Il fatto che poi abbia desiderato (preteso) che le interviste fossero da lui controllate prima di essere pubblicate la dice lunga circa la cura riposta verso i particolari delle sue stesse dichiarazioni: Kubrick era indubbiamente il miglior pubblicitario di sé stesso. La reticenza a parlare è concessa solo a 2001. Il regista, nella sua mente iper-elaborativa, aveva capito che svelare apertamente ciò che aveva voluto fare sarebbe valso a togliere al film quell'imprecisata aura che gli conferiva carisma e unicità. 2001 non pone domande ma allude, suggerisce; mostra ma nasconde allo stesso tempo, dimostrando di saper osservare la società e il suo cammino meglio di molti sociologi o scienziati. Kubrick sapeva che la miglior soddisfazione è il fascino dell'ambiguo, quella stessa affascinante ambiguità con cui dipingerà i suoi futuri personaggi. Ed era ben conscio che una soluzione alla mano non avrebbe soddisfatto nessuno; una risposta immediata non può che deludere e comunque una qualsiasi verità apparirebbe priva di contenuti una volta concessaci all'improvviso, senza che la nostra coscienza sia stata purificata da una lunga interrogazione.

Il monolito è l'oggetto supremo perché è il nostro confine, oltre al quale non ci è concesso vedere. Ma è anche il mezzo che ci permette di varcare questo confine lasciandoci forse intravedere il prossimo; l'unica condizione è che non lo si raggiunga mai. Come si è già detto, è un tendere verso, non un raggiungere. È in quei tempi che si affermava Marshall Mc Luhan e il suo celebre detto "Il medium è il messaggio". Parafrasando, il monolito è il messaggio, unico segno al mondo che non rimanda a nulla, se non a se stesso. Inoltre, non è chiaro se il monolito venga deliberatamente messo o semplicemente appaia. Se è posto da qualcuno in un qualche luogo affinché venga trovato, prevale l'ipotesi Clarke; viceversa se appare al momento opportuno prevale l'ipotesi Kubrick. E' quindi importante capire come questo si manifesti. Sappiamo che sulla luna viene trovato sepolto, messo lì da "qualcuno" quattro milioni di anni fa e fin qui è chiaro. Ma cosa dire del monolito che semplicemente viene trovato all'esterno della caverna in cui Moonwatcher e i suoi riposano? Pare che il giorno prima non ci fosse, quindi in questo caso prevale il pensiero Kubrick. Ma a ben vedere, la sequenza del ritrovamento è preceduta da un'inquadratura sul volto spaventato di due uomini preistorici. Sono evidentemente terrorizzati. Ma da cosa? Stanno forse vedendo "qualcuno" nell'atto di portare il monolito? Purtroppo non è chiaro e un'ipotesi vale l'altra. Si è detto che il monolito rimanda a sé stesso e infatti quello sulla luna punta su un altro che orbita intorno a Giove, ma non abbiamo informazioni sufficienti per decidere la sua provenienza; si limita a fluttuare nell'atmosfera di Giove. Infine l'ultimo, forse il più importante, quello che Bowman indica prima di morire e rinascere. Si noti che Bowman, nella camera settecentesca, osservava se stesso invecchiare vestito di nero e in punto di morte vede il monolito. Forse il monolito è lui stesso, ed ora è in grado di vederlo perché più evoluto; sarebbe la dimostrazione che il viaggio dell'uomo è affidato all'uomo stesso, nasce e termina con quest'ultimo e nient'altro lo accompagna. Sarebbe la visione più antropocentrica e "laica", in quando rifiuterebbe l'apporto di qualsiasi forza extraterrestre -intesa nel senso etimologico del termine di al di fuori del terrestre- che non sia l'habitat in cui si sviluppa la vita: la natura. Ma, anche qui, sono solo ipotesi. Questo a dimostrare come 2001 si presti ad essere il film per eccellenza; attraverso l'arte viene posta La domanda nel più affascinante dei modi. Abbiamo prima lodato l'ambiguità del film e di certo non si vuole trasformare questo spazio in un laboratorio di analisi che risulterebbe abbastanza gratuito. Dal canto suo, Kubrick ha calcolato che il silenzio avrebbe pagato. A parte la sua "dimostrazione perfettamente scientifica di Dio", che vuol dire tutto e il contrario di tutto, i suoi commenti si fermano qui. Dice Dullea: «Mai! Non parlava mai con noi della filosofia del film.».

Abbandonando le speculazioni sul monolito, 2001 offre molti altri spunti di discussione su ciò che è l'uomo, creatura perennemente alle prese con un rito di passaggio. Questa caratteristica tornerà ciclicamente nei successivi film di Kubrick, che a ben vedere potrebbero essere tutti interpretati come semplici vicissitudini che si svolgono all'interno di 2001, rendendo quest'ultimo come il modello per eccellenza, l'iper-testo kubrickiano. Il rito di passaggio indica l'uomo in uno stato di liminalità, una condizione che presuppone il soggetto come uscente da un certo stato per entrare, a rito concluso, in un altro. Dal momento che il rito è la rappresentazione liturgica del mito, andiamo a scoprire quali sono i miti contenuti in 2001, e i riti che nascono da essi.

L'organizzazione sociale è palesemente presa in esame sin dalle prime inquadrature che riguardano l'alba dell'uomo -ma l'etichetta andrebbe bene per tutto il film.

Notiamo la vita agli albori, in particolar modo quella di Moonwatcher e il suo gruppo. Essi vivono in simbiosi con la natura, l'unica forza a prevalere è l'istinto di sopravvivenza. Più precisamente -si tenga in mente- l'istinto di sopravvivenza è indissolubilmente legato a quello della violenza. Le cose che ci permettono di vivere vanno qui ottenute con la forza e con nient'altro; il ghepardo si ciba di un uomo-scimmia, questi ultimi combattono con la propria specie per il possesso di una pozza d'acqua. Violenza. Poi, il monolito; Moonwatcher capisce che può usare l'osso -in un montaggio concettuale eisensteniano- come arma. E' la prima tappa del progresso, che non è altro se non uno sviluppo delle capacità dell'uomo di migliorare -e facilitare- i propri mezzi di sussistenza. Ma, se qualcuno vuole cogliere un velo di ironia in tutto questo, il primo prodotto culturale dell'uomo è un'arma. Dice Kubrick: «E' sotto gli occhi di tutti che tutta la tecnologia umana sia nata dalla scoperta dell'utensile-arma. Non c'è dubbio che vi sia una profonda relazione emozionale fra l'uomo e le sue macchine armi, che sono i suoi figli. La macchina sta incominciando a imporsi in modo molto profondo, anche suscitando sentimenti di affetto e di ossessione». Poi, Moonwatcher compie il primo delitto con un'arma della storia. Dopo averlo lanciato in aria, la più lunga ellissi della storia del cinema; tre milioni di anni in avanti e la sagoma dell'osso trasfigura in quella di un'astronave. A Kubrick non interessa ciò che è accaduto durante; pare dirci che non è essenziale e la narrazione di un qualunque evento equivarrebbe a reiterare il già detto. Dalla preistoria fino al 2001, ma il discorso non è cambiato. Il progresso dell'uomo e il raggiungimento di una tecnologia che semplifichi la sua vita non si è -e non sarà mai- scisso dall'atto stesso della violenza. Le più grandi invenzioni della storia sono state in campo militare. Comunicazioni, mezzi di locomozione, tutti surrogati dell'osso primigenio, ideati con intento coercitivo, per piegare, per spazzare. L'uomo ha imparato a vivere in società perché ha capito che il raggrupparsi avrebbe facilitato il processo di difesa verso eventuali attacchi esterni. Kubrick vuole dirci che le nazioni di cui siamo orgogliosi e in cui viviamo sono nate dal sangue e dalla violenza e, si converrà, non c'è nulla di moralistico in queste affermazioni. Non potrebbe esserci intenzione più lontana dall'autore di questo articolo; è semplicemente una constatazione inoppugnabile, qualunque manuale di storia è il racconto dell'uomo attraverso le sue guerre. Dai tempi di Moonwatcher ad oggi non è cambiato nulla, se non i mezzi con cui viviamo. Ma non il come; se il primo atto dell'evoluzione dell' uomo è un omicidio, allora si può ben capire perché il "figlio delle stelle" avrebbe dovuto distruggere la terra. L'olocausto è il suicidio supremo e sarebbe stato il gesto di Moonwatcher su larga scala.

Lo sguardo di Kubrick nell'anno 2001 del titolo è impietoso. La comunicazione facilitata e possibile ovunque ha avuto come conseguenza il predominio del mezzo comunicativo sul messaggio stesso. Si vedano i -pochi- dialoghi nel film; l'arrivo di Floyd nella stazione orbitante e il dialogo con i colleghi russi, la sua comunicazione con la figlia e il messaggio di buon compleanno a Poole dai suoi genitori sono la quintessenza della crisi della comunicazione facilmente rintracciabile nei giorni nostri. Si assiste alla fiera delle frasi di cortesia, del dialogo privo di qualsiasi contenuto, dell'asetticità, esattamente come sono asettici i luoghi in cui tali personaggi si muovono. E, come per i film di Kubrick dopo 2001, la piattezza dei dialoghi preannuncia la tragedia che la crisi di comunicazione facilita e incoraggia. Nell'imminenza della tragedia, i personaggi kubrickiani si svuotano completamente.
Tanto che il "personaggio" più vivo è per assurdo colui che non è neppure umano, cioè H.A.L. 9000. Il suo dialogo acceso, il suo carattere orgoglioso fanno da contraltare alla piatta vita degli astronauti, di cui tre metaforicamente in stato d'ibernazione. Il computer controlla e governa la Discovery, in rotta verso Giove per risolvere il mistero del monolito, la cui esistenza è ignara all'equipaggio, se non ad H.A.L. E' iniziata l'odissea dell'arciere-Ulisse Bowman (che significa appunto arciere), che lo porterà al prossimo passo verso l'evoluzione. Se non che H.A.L. impazzisce e tenta di uccidere tutto l'equipaggio riuscendoci, eccezion fatta per Bowman. Si è molto discusso sul perché H.A.L. impazzisca; si tenga conto che il computer è l'unico a conoscere i motivi del viaggio e l'esistenza del monolito. Nel corso della missione appare dilaniato sempre più da sentimenti che paiono umani a tutti gli effetti, come la preoccupazione e il senso di incomprensione di fronte ad un mistero, di un qualcosa di cui non si posseggono i dati necessari per la decodifica (il monolito). H.A.L. chiede a Bowman se ha l'impressione che qualcosa non vada e questi pensa che stia stilando un referto psicologico dell'equipaggio, ma in realtà H.A.L. comincia ad essere dilaniato dal dilemma di portare in seno una rivelazione che è costretto a tacere perché così impongono gli ordini e comprende di essersi imbarcato in una missione che potrebbe significare la fine del genere umano, o il suo cambiamento in qualcosa di molto diverso; H.A.L., programmato per essere preciso, affidabile e infallibile, è costretto a venir meno alla propria etica perché costretto all'inganno dall'uomo, che lo ha portato a mentire al proprio equipaggio, venendo meno alla perfezione che gli è richiesta per sopravvivere. L'errore di H.A.L. fa precipitare la situazione e questo getta nello sconforto Poole e Bowman i quali decidono che, essendo H.A.L. inaffidabile, vada scollegato. I due non possono sapere che H.A.L. è così perché involontariamente programmato dall'uomo ad essere inaffidabile; e pochi si sono accorti del fatto che H.A.L. non è in errore prevedendo l'avaria, dal momento che è lui stesso a provocarla per tagliare fuori la Discovery dalle comunicazioni con la terra. Il fatto di averla anticipata va visto come una dichiarazione d'intenti. È come se, con ironia, avesse reso partecipi i due astronauti di ciò che da lì a poco avrebbe fatto. Ma H.A.L. fallisce nel suo intento e Bowman -in una delle sequenze più strazianti della storia del cinema- lo "uccide" disattivandolo. Fa rabbrividire la tenacia con cui H.A.L. si dimostra attaccato alla vita e inducono a compassione le sue pacate richieste di lasciarlo sopravvivere; il suo esprimere paura, cercando nella morte la solidarietà del suo "omicida", è quanto di più drammatico si possa rappresentare. H.A.L. è l'unico di tutti i personaggi in gioco a dimostrare di possedere quei sentimenti che agli uomini sono stati tolti. Prima si è detto che la comunicazione facilitata abbia portato alla sterilità dei sentimenti; Kubrick ci fornisce una metafora di questo con il mezzo di comunicazione per eccellenza -H.A.L.- che si dimostra più umano dei suoi creatori. Ma la sua disattivazione non è solo necessaria per la salvezza di Bowman, bensì per la riuscita del rito di passaggio; così come Moonwatcher scaglia l'osso in alto, è solo con il disfarsi della tecnologia, del dominio tecnico, che l'uomo può nuovamente evolversi. La macchina infallibile diviene fallibile perché controllata dall'uomo, l'errore è sempre dietro l'angolo. Compiendo l'uccisione rituale di H.A.L., Bowman scopre il monolito. Solo così è in grado di raggiungere l'infinito ed oltre. Della stanza si è già discusso; le "presenze" che lo osservano -qualunque natura abbiano- sono suggerite da suoni che non hanno nulla di umano; ma si ponga l'attenzione verso un gesto assolutamente inquietante che a una prima visione appare senza senso; la rottura di un bicchiere, che Bowman vecchio fa cadere per terra. A parte la citazione dichiarata di Quarto potere di Welles, ciò che colpisce e stimola a riflettere è la rottura di un cristallo -un qualcosa di puro- all'interno di una fase d'incubazione, che dovrebbe darsi per "pura". E' l'introduzione di un gesto non previsto, di un possibile errore all'interno di un'evoluzione verso uno stadio superiore che potrebbe quindi risultare imperfetta, esattamente come -forse- quei tre milioni di anni "tagliati" da Kubrick nella sua famosa ellissi contenevano qualcosa di imperfetto. La si legga come si voglia, ma è la volontà di dire che la Storia, nonostante i suoi errori e il darsi come entità imperfetta per i criteri umani, va avanti comunque; quali che siano i nostri programmi e le nostre ambizioni intesi come civiltà umana. L'introduzione dell'elemento del bicchiere infranto è un monito alla civiltà, e nel contempo si sposa alla perfezione con la teoria dell'ombra junghiana che Kubrick ha fatto propria per svelare le contraddizioni dell'uomo. Il bicchiere infranto è il peccato originale del mondo a venire; non si intuisce forse nel "figlio delle stelle" uno sguardo angosciato? Dopo questo sguardo, al quale farà eco il glance di Alex in Arancia meccanica, Così parlò Zarathustra lega il film al suo principio, in una catena interminabile, o se si vuole restare in tema, in un eterno ritorno; la struttura circolare è infatti la forma armoniosa più frequente in 2001; il film non segue una struttura lineare da A a B, ma da A a B e infine di nuovo ad A. L'"occhio" di H.A.L. è circolare, la piattaforma in cui si esercitano i due astronauti è circolare, la stazione orbitante è circolare, i pianeti e le galassie stesse sono circolari; la natura del cosmo riproduce meccanicamente le forme a lei più congeniali e tutte insieme queste forme prendono vita dinanzi alla maestosità del Danubio blu, in una danza astrale affascinante ed unica nella storia del cinema. Le galassie di Kubrick ballano, creando un'armonia e un equilibrio finora insuperati e difficilmente raggiungibili. Il tema musicale che accompagna l'evoluzione è il già citato Così parlò Zarathustra, ma ciò non tragga in inganno; come si è visto in precedenza, il tema fu selezionato perché notato in una serie sulla prima guerra mondiale della BBC e il fatto che Zarathustra rimandi al capolavoro di Nietzsche e al suo superuomo è del tutto casuale. Un caso incoraggiato dai seguenti versi dell'opera nietzschiana: «Che cos'è la scimmia per l'uomo? Un oggetto di riso e di dolorosa vergogna. E così è l'uomo per il superuomo: un oggetto di riso e di dolorosa vergogna». Il riferimento alla scimmia può aver contribuito alla fortuna di tale diceria e il fatto che 2001 termini con un "superuomo" è un'agghiacciante coincidenza. In realtà "il figlio delle stelle" non potrebbe essere più lontano dal concetto del superuomo, allo stesso modo in cui Nietzsche è solo superficialmente -ed erroneamente- collegabile in qualche modo con ideologie quali il nazismo e il fascismo. Kubrick ha sempre aderito all'ideologia deterministica hegeliana, che a sua volta contrasta con la visione nietzschiana dell'esistenza. Ad ogni modo, come la composizione di Strauss non è un tributo al poema di Nietzsche, non lo è di conseguenza 2001.

Questi i miti e i riti di 2001: odissea nello spazio, opera sull'uomo per eccellenza, che non esaurirà mai il suo discorso perché per sua natura inesauribile. Il grande biologo Haldane disse: «L'universo non è solo più strano di quello che immaginiamo; è più strano di quello che siamo in grado di immaginare». 2001, facendosi carico di manifestare tele dichiarazione in forma poetica e sfruttando al massimo le potenzialità visive della macchina cinema, diviene opera immortale, a giudizio di molti il miglior film mai visto.

La carriera di Kubrick poteva anche concludersi qui; ma la natura provvede con compensi sublimi a chi dimostra di essere in intimità con essa e da qui in avanti tutte le opere di Kubrick si assesteranno su livelli irraggiungibili; pur non superando sé stesso, con 2001 Kubrick aveva trovato la meta-struttura dei suoi film successivi. Lo sguardo cinico si era completamente dischiuso, e l'apparente finale ottimistico non sarebbe ritornato se non con Eyes wide shut.


Torna suSpeciale a cura di cash - aggiornato al 26/10/2004