Dopo l'esperienza di Spartacus, Kubrick decise che non avrebbe mai più fatto film se non ne avesse avuto in mano il controllo. Si convinse che avrebbe potuto migliorare il film, se solo avesse avuto occasione di mettere mano alla sceneggiatura. Ma la più grande lezione che trasse da Spartacus fu quella di poter aggirare i meccanismi e le insidie dello star-system.
Harris e Kubrick andarono quindi alla ricerca di un nuovo valido soggetto, che trovarono in Lolita, capolavoro di Vladimir Nabokov. Lo scrittore fu prontamente contattato e gli venne fatta un'offerta di tutto rispetto: 40.000 dollari per la stesura della sceneggiatura e 35.000 se fosse poi risultato come unico sceneggiatore del film. Inoltre avrebbe goduto di un rimborso spese per tutto il tempo in cui avrebbe dovuto soggiornare a Los Angeles.
Lolita non trattava un tema facile; era la storia di un docente universitario che si innamorava, ricambiato, di una dodicenne. Parve subito chiaro che il soggetto, così come era trattato nel libro di Nabokov, non sarebbe mai stato approvato dal Codice di Protezione, in vigore sin dagli anni '30, steso per salvaguardare la moralità degli spettatori da situazioni o idee ritenute non eticamente conformi alla linea di condotta generale. Oggi si direbbe Politically Correct. Il codice fu istituito anche per prevenire attacchi che potevano provenire da enti politici e statali. Si preferì quindi istituire un organo d'autocensura interna allo stesso sistema hollywoodiano. I registi con dubbi circa la "moralità" dei loro soggetti, potevano consultare la Mpaa (Motion Pictures Association of America), prima di essere cassati dal codice.
Il libro di Lolita è tutt'ora considerato un capolavoro, ma da altre parti fu trattato come semplice pornografia e per Harris e Kubrick parve una sfida affascinante il fatto di doverne trarre un film; per salvaguardarsi da previsti e certi attacchi quando il film fosse uscito, partirono con l'idea di attribuire la sceneggiatura al solo Nabokov, comunque andasse e nonostante non fosse risultata solo ed esclusivamente opera dello scrittore. La prima stesura di Nabokov, seppur considerata un capolavoro, risultò troppo lunga, circa quattrocento pagine, subito smaltite da Harris e Kubrick. Via via la sceneggiatura fu sempre più manipolata e tagliata, ma Nabokov non parve prendersela più di tanto; era ben conscio della difficoltà del soggetto e del fatto che fare un film non garantiva certamente le stesse libertà che scrivere un libro.
La M.G.M. si offrì di produrre il film con un milione di dollari ma, al solito, pretesero la garanzia che ci fosse una star disponibile per il ruolo di protagonista. Laurence Olivier fu sul punto di accettare, prima di essere sconsigliato dal suo stesso agente; anche Marlon Brando sembrava essere sul punto di partecipare, prima del rifiuto. La scelta del protagonista cadde su James Mason, assoldato per interpretare il ruolo di Humbert Humbert. Più difficile fu trovare una ragazza adatta a recitare nel ruolo della ninfea Lolita. Dopo una lunghissima serie di provini, la scelta cadde sull'allora sconosciuta Sue Lyon. Kubrick e Nabokov furono entusiasti della ragazza, che pareva perfetta. Dovettero solo mercanteggiare sull'età della ragazza, che da dodici anni fu portata a quattordici (che era poi la reale età della ragazza). Per il ruolo della madre di Lolita fu scelta una Shelley Winters in sovrappeso. Mancava solo la parte di Quilty, che andò all'istrionico Peter Sellers, che interpretò in effetti ben quattro personaggi.
Tra Kubrick e Sellers ci fu sin dall'inizio reciproca stima e simpatia, dato che entrambi erano accomunati dalla visione cupa e pessimista del mondo. Fu anche la persona che cambiò definitivamente l'opinione che il regista aveva degli attori, prima considerati semplici manichini al servizio del regista-demiurgo, il solo capace di infondere emozioni attraverso il processo artistico del montaggio. Con Sellers il regista comprese le assolute qualità con le quali un geniale attore poteva contribuire alla riuscita del film, al punto che l'attore inglese fu praticamente libero di improvvisare ciò che desiderava. Un atteggiamento che fece andare Mason su tutte le furie, che spesso abbandonò il set in preda all'ira. Sellers non riuscì neppure a stringere un legame con la Winters, mentre sembrò più che interessato -in perfetta linea con il personaggio che andava a interpretare- alla Lyon, di cui conservava centinaia di foto da lui stesso scattate.
In Inghilterra vigeva una legge detta Eady Plan, in base alla quale i produttori stranieri potevano dedurre le spese se l'80% dei collaboratori al film era di nazionalità britannica. Harris e Kubrick decisero quindi di girare il film in Inghilterra, scelta che aveva in sé il desiderio di allontanarsi dal clima hollywoodiano. Il contratto firmato con la M.G.M. fu inoltre assolutamente vantaggioso e unico; il regista aveva un pressoché totale controllo e aveva diritto al "final cut", cioè aveva voce in capitolo sul montaggio finale.
Se con gli attori parve andare tutto liscio, eccetto alcune incomprensioni con Shelley Winters, l'ostacolo principale fu -e non era una novità- il direttore della fotografia, Oswald Morris, il quale, dopo l'esperienza di Lolita, affermò che «Non avrebbe mai più lavorato con il regista». Lui stesso riportò una tipica discussione con il regista-tiranno: «Ti diceva: "Adesso voglio che questa scena sia illuminata come se ci fosse solo una lampadina in mezzo al set ". Quindici minuti dopo tornava e diceva: "Che cosa sono tutte queste luci? Ti avevo detto che volevo solo una lampadina". E io gli rispondevo: "Il set è sostanzialmente e fedelmente illuminato come se ci fosse solamente una lampadina". Lo sfidavo [ ] Così litigavamo sempre [ ] tutte quelle intromissioni sull'illuminazione stavano diventando noiose». Non si può negare comunque al film un delicato ed elegante chiaroscuro, forse la miglior illuminazione di cui Kubrick avesse mai goduto per un suo film in bianco e nero.
Lolita inizia con Humbert che si reca a casa di Quilty per ucciderlo e, dopo averlo assassinato, inizia un lunghissimo flashback che narra tutta la strada percorsa per arrivare a tal gesto. Humbert, per una vacanza, affitta una stanza nella grande casa della signora -e vedova- Charlotte Haze, madre di Lolita. Humbert, ossessionato dall'adolescente, acconsente a sposare Charlotte pur di starle vicino, finché la donna muore in un incidente. Humbert inizialmente nasconde la cosa alla ragazza e inizia con lei un rapporto amoroso, finché non fugge con Quilty, bizzarro personaggio che aveva avvicinato in precedenza Humbert camuffato prima da ispettore di polizia, poi da psichiatra. Dopo quattro anni, Humbert riceve una lettera da Lolita che gli chiede soldi e la trova sposata con un ragazzo e per di più incinta. Dopo essersi reso conto di amarla follemente e scoperto che a portargliela via è stato Quilty, Humbert decide di vendicarsi. Lo trova e lo uccide. Una didascalia ci avverte che morirà in prigione per trombosi coronarica, in attesa di essere processato per omicidio.
Il romanzo non inizia come il film, nel quale la sequenza dell'omicidio è portata avanti, usata come incipit; la scelta di anticipare tale -fondamentale- momento sposta il fulcro della tematica amorosa nabokoviana in quella, tutta kubrickiana, dell'ossessione. Uno dei temi prediletti del regista è infatti proprio l'ossessione in sé; il film mette da principio in evidenza le meccaniche del delitto, giocando così con il meccanismo della suspance. Sappiamo che dovrà accadere qualcosa di sgradevole e irreparabile e ogni singola scena verrà "letta" e interpretata come gradino che, sequenza dopo sequenza, edifica la lunga scalinata che porta all'omicidio di Quilty. La passione, l'amore, vengono quindi subordinati all'ossessività che muove Humbert, il cui rapporto con Lolita porta in sé i germi della possessione, più che quelli del sentimento puro dell'amore. Un sentimento "impuro" che termina con il più impuro dei gesti: l'assassinio di un uomo. Il nemico viene identificato in Quilty, che però non è la persona che Lolita ha sposato e da cui aspetta un figlio; Humbert percepisce Quilty come suo doppio, come la metà di sé che è necessario sopprimere per godere delle attenzioni della ragazza. A Quilty vengono infatti assegnati diversi ruoli, che sono portatori di differenti personalità, ma con il medesimo messaggio da trasmettere a Humbert: il fatto che, prima o poi, dovrà fare a meno della ragazza. Simbolicamente, si rende necessaria la soppressione del triangolo amoroso, ai cui vertici sono presenti due uomini con la stessa età e il medesimo interesse nei confronti della quattordicenne. È indispensabile la "castrazione" simbolica del personaggio di Quilty, che non perde occasione di schernire Humbert, mettendolo in ridicolo senza che questi neppure se ne accorga. Quilty, fino alla fine del film e al conseguente omicidio, rappresenta il perturbante che a livello inconscio disturba la relazione di Humbert con Lolita. Rappresenta, jungianamente, la sua zona d'ombra. Come si vede nella sequenza d'apertura, Quilty è indubbiamente vincente, anche di fronte alla minaccia di morte sembra alzare il tono della sfida, prendendo in giro e mettendo in ridicolo Humbert e, dopo averlo invitato a giocare una partita a ping pong, ridicolizzando anche le sue doti letterarie. L'omicidio appare quindi liberatore delle contraddizioni che Humbert porta con sé, ma senza le quali sarà destinato a vita breve -infatti morirà poco tempo dopo in carcere-.
Sellers, nella citata sequenza della partita a ping pong, cita apertamente Spartacus: «Io sono Spartaco, è venuto a liberare gli schiavi?» inaugurando così una serie di citazioni e rimandi dall'interno di un film di Kubrick ad un altro. Lo spostamento dall'amore all'ossessione fece sì che l'erotismo presente nel film si ridusse praticamente al minimo. Ciò tornò utile per ottenere l'approvazione della Mpaa, che chiese di togliere un primo piano di Lolita che Humbert avrebbe dovuto guardare ossessivamente mentre faceva l'amore con la madre, Charlotte. Si potrebbe dire che l'unica sequenza erotica del film sia quella in cui Humbert mette lo smalto alle dita dei piedi di Lolita. Del resto, Harris e Kubrick non avevano mai avuto intenzione di fare un film erotico nel vero senso della parola.
Il film ottenne quindi il marchio d'approvazione il 31 agosto del '61 e costò, dal milione previsto e stanziato, poco più del doppio. Ebbe però un buon successo sia di critica che di pubblico, fatto che permise di coprire ampiamente le spese di produzione. Fu anche il film che fece cambiare a Godard opinione sul ribelle del Bronx. Il padre della Nouvelle vague si espresse così: « Lolita faceva temere il peggio; sorpresa: è un film semplice, lucido, scritto in modo preciso [ ] che prova che Kubrick non deve abbandonare il cinema, a condizione di filmare personaggi che esistono e non idee, che esistono soltanto nei cassetti dei vecchi sceneggiatori che credono che il cinema sia la settima arte». Ma, sempre secondo Godard, «Kubrick resta un regista i cui movimenti di macchina non esprimono una visione del mondo, come in Ophuls», frase che, oggettivamente, non significa un bel nulla.
Lolita rappresentò l'incursione di Kubrick nella commedia nera, nonché l'introduzione per l'attenzione riposta nei processi cupi e reconditi dell'animo umano; l'interesse per quelle che Jung definiva zone d'ombra.