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Il crollo delle illusioni

Luci della ribalta - 1952

Anche se Chaplin si preoccupava di fare film di grande valore artistico, quello che gli interessava di più era il successo e il favore del pubblico. Per questo fu molto colpito nel proprio intimo dal fallimento di "Monsieur Verdoux": "mi sentivo il bersaglio dell'odio e dell'ostilità di un'intera nazione e temevo che la mia carriera cinematografica fosse finita". Proprio quest'idea che gli era balenata in testa, cioè di essere ormai un comico "demodé" e che non riesce più a far ridere, fu la base per "Limelight" ("Luci della ribalta"), il film che doveva smentire questa idea ed essere una specie di testamento spirituale.

Luci della ribaltaQuesta sensazione gli fece venire in mente molti artisti comici che aveva conosciuto e che avevano avuto una carriera sfortunata. Chaplin dichiarò di essersi ispirato per "Luci della ribalta" a Frank Tinney, che in vecchiaia aveva perso "la vena comica", e anche a Samby, un comico inglese della sua infanzia che, accortosi di non fare più ridere, si gettò nel Tamigi. Poi nella sua autobiografia si ricorda di Marceline, un mimo famoso che aveva molto ammirato da giovane e che aveva ritrovato molti anni dopo in particine insignificanti. Lo andò a trovare in camerino e notò che "anche sotto il trucco da pagliaccio aveva un'aria triste e avvilita e sembrava immerso in un malinconico torpore". Anche lui finì suicida, come pure il famoso comico francese Max Linder che Chaplin considerava quasi un maestro. Insomma, praticare l'arte della risata, che più di tutti solleva e consola l'animo umano, paradossalmente può portare alla depressione e al suicidio.

Altra fonte di ispirazione per "Luci della ribalta" fu il rapporto con la quarta moglie, la giovanissima Oona O'Neill. Un rapporto che diede a Chaplin la tanto agognata felicità e il calore di una numerosa famiglia. Ciò fece sì che nel film si parlasse più che altro dei rapporti di natura sentimentale fra le persone e si lasciasse un po' da parte l'aspetto socio-economico o politico della vita umana. Il tutto era congegnato per poter riguadagnare il favore del pubblico, anche americano: "avevo meno dubbi sul suo successo che per qualsiasi altro film che avessi mai fatto".

Questo progetto lo prese per tre anni, dal 1948 al 1950, e lo portò a stilare una sceneggiatura che assomigliava più che altro ad un romanzo. Dentro ci infilò tutte le suggestioni che gli venivano dal proprio passato, soprattutto dalla propria infanzia. L'ambiente in cui si svolge la storia (la Londra del 1914) e le figure coinvolte erano quelle che aveva conosciuto Charlie bambino o adolescente. Il protagonista, il vecchio Calvero, ha più di un punto in comune con le vicende di suo padre. Che ci sia molta autobiografia lo svela anche il fatto che inserisce nel cast un po' tutti i componenti della sua famiglia, dal fratellastro Wheeler Dryden (il dottore di Terry), al secondogenito Sydney (Neville, il rivale in amore di Calvero), al primogenito (il poliziotto nell'arlecchinata) e persino i suoi tre piccoli bambini avuti da Oona hanno una piccola particina all'inizio. L'arte di Calvero in fondo è l'arte di Chaplin stesso che con questo film, alla fin fine, fa una specie di "autocelebrazione" per interposta persona.

Le riprese furono brevissime: solo 55 giorni. Molto più tempo occorse invece per la colonna sonora che ha un ruolo molto importante nel film, facendo quasi da amplificatore in tutte le situazioni drammatiche. Non c'è che dire, l'impegno profuso è stato premiato. Questa è senz'altro la musica più bella che abbia composto, anche se lo stile sentimentale può non piacere a tutti. Si è voluto anche fare un omaggio all'altra grande passione artistica di Chaplin: la danza.
La prima avvenne a Londra il 23 ottobre 1952 e fu un enorme successo. La speranza di riconquistare il favore del pubblico americano si rivelò invece vana. Ormai le autorità lo avevano bollato come sovversivo e non solo la sua persona, ma anche la sua opera fu bandita dal territorio statunitense. Solo nel 1972 cercarono di farsi perdonare da Chaplin dandogli l'Oscar postumo proprio per la colonna sonora di questo film.

"Luci della ribalta" è una riflessione sul senso della vita, spogliata da qualunque illusione. è un continuo meditare sul significato e lo scopo dell'esistenza umana, dell'arte e dell'amore, alla luce di una realtà che non offre appigli e che fa di tutto per smentire o mettere alla prova tutte le belle teorie o le belle intenzioni che uno ha avuto la ventura di professare. L'arte, forse l'unica attività che nobilita l'uomo, è in parte soggetta a leggi economiche e all'instabilità dei gusti del pubblico. Non è più un punto fermo; anche l'arte può distruggere chi la pratica. L'amore è più complesso di quello che si pensi. Non sempre si riesce a distinguerlo dalla gratitudine o dalla pietà o semplicemente dall'affezione verso la propria guida spirituale. La risposta è che non c'è risposta: "Heart and mind, what an enigma" ("Il cuore e la mente, che grande enigma"). Si vive, si agisce, si ama senza ragione valida, si esiste solo tramite il "desiderio" senza sperare in niente. L'individuo non può far altro che apparire, recitare la sua parte sul palcoscenico del mondo e lasciare il posto al prossimo di turno. Come dice la didascalia iniziale, "age must pass as youth enters" ("chi è vecchio deve cedere il passo a chi è giovane"). "Luci della ribalta" è senz'altro una delle maggiori opere del cinema esistenzialista.

La trama della storia è abbastanza semplice. Un vecchio comico in decadenza (Calvero) salva una ex-ballerina (Thereza, alias Terry - la brava Claire Bloom) dal suicidio. Piano piano riesce a infonderle fiducia in se stessa e a farla diventare una grande artista. Lui invece colleziona solo fallimenti e non se la sente di cedere alle profferte di amore di Terry, alle quali in cuor suo non crede. Si consolerà assaporando per l'ultima volta il successo e lascerà il mondo vedendo che la vita e l'arte vengono portate comunque avanti da altre persone.

Dal punto di vista formale viene riesumato lo stile a sketch dei film degli anni '20/'30. Grazie a sogni, flashback e pezzi teatrali, si inseriscono nella storia gag da music-hall, canzonette, balletti o scenette comiche che non hanno stretta attinenza con la storia. Servono però a creare un'atmosfera un po' incantata, come se ci si trovasse in un mondo speciale, quello dell'arte e degli artisti. Queste digressioni nella memoria sono precedute dal suono di tre musicanti di strada, che simboleggiano la vera natura dell'arte come esercizio spontaneo e senza tante pretese. Sembra quasi di sentire un po' il sapore delle opere di Fellini.

La maggior parte del film è fatta di dialoghi. In quasi tutte le scene si va a finire sul filosofico, meditando sulla vita, la felicità, l'arte, l'amore. Comunque si fa in modo che i discorsi non diventino mai pesanti, noiosi o astratti. Si parte sempre da qualche situazione disagiata, si chiede qualche cosa di normale o banale e poi invariabilmente si passa al piano generale. In ogni caso le parole sono inframmezzate spesso da espressioni a volte comiche o scherzose. Si usa poi la sottile ironia di mettere alla prova le parole con i fatti. Magari qualche volta si cede un po' al sentimentalismo.

Si ha subito un esempio con la prima scena dove il disagio è rappresentato da un vecchio ubriacone e da una giovane aspirante suicida. L'ubriacone la salva, "perché?" le chiede lei. Ecco che il discorso va sul serioso: quanta fretta di morire! Poi le parla dell'evoluzione umana, dell'universo, delle stelle, del sole. Sono discorsi fatti però da un ubriaco e lei poi si addormenta russando. In altre occasioni invece la conversazione fra i due va a fondo nei misteri dell'esistenza. Lei: "La vita è senza scopo e senza senso". Lui: "La vita è desiderio, non scopo... è un'abitudine disperata... Vale la pena essere vissuta anche solo per se stessa... Bisogna combattere... La mente è il segreto della felicità... La vita è meravigliosa se non ne abbiamo paura".

Luci della ribaltaLa storia di Calvero dimostra però che tutta questa saggezza può portare più danni che vantaggi. Riflettere troppo sulle cose fa perdere la spontaneità della vita. Se non si ha entusiasmo o trasporto, ma solo distacco e disillusione come si può pretendere di essere convincenti quando si vuol far ridere? Questa è la spiegazione che dà Calvero della sua decadenza sul palcoscenico e dal bisogno che sente di stordirsi con l'alcool per essere divertente. I suoi sogni finiscono invariabilmente in incubi, dalla paura che ha di avere perso l'arte che dà gioia e allegria. Nonostante i suoi tentativi la realtà gli regala solo insuccessi e umiliazioni, con la cinepresa che ci mostra impietosa la faccia di Calvero/Chaplin devastata dal dolore e dalla delusione.

Il fallimento di Calvero porta però Terry a reagire, a dimenticare i suoi problemi vedendone altri forse più gravi. Nella scena più drammatica e sentimentale del film, mentre Calvero piange disperato la sconfitta definitiva, Terry si libera dei suoi blocchi e vede il mondo davanti a sé. Nonostante ciò non guarisce completamente, sente comunque il bisogno continuo del suo "maestro" a tutela dei suoi passi futuri. Dice sempre a Calvero: "ti amo, ti voglio sposare". Anche qui ci pensa la realtà a smentire le parole. Si fa vivo il giovane musicista Neville, la persona alla quale Terry si sente legata da sempre senza volerlo ammettere. La scena del pranzo fra i due è tutta giocata su imbarazzi, sguardi, silenzi che dicono molto più di quello che si vorrebbe. Va senz'altro vista in lingua originale per la profonda e sensuale voce di Sydney Chaplin. Altra scena cruciale è quella in cui Neville trova il coraggio di dichiararsi e di spiegarle che il suo presunto amore per Calvero è solo pietà e gratitudine. Si usano tutti gli artifici scenici (luci, inquadrature, accenni alla figura della Madonna) per dare enfasi e, per rendere il tutto più drammatico, si fa in modo che Calvero ascolti parte del dialogo.

Lo scacco amoroso si aggiunge a quello artistico e così, mentre Terry sale tutti i gradini che la portano al successo, Calvero li scende fino a ridursi a clown e musicante di strada. Eppure questa esperienza lo fa quasi rinascere. Non si fa più condizionare dall'orgoglio e ritrova l'arte della spontaneità: "Tutto il mondo è un palcoscenico... Mi attira lavorare nella strada. Devo avere un animo da vagabondo". Si dichiara soddisfatto ma in realtà nella sua testa c'è sempre il grande pubblico del palcoscenico. Per questo coglie al balzo l'offerta di uno spettacolo dove potrà dimostrare che non è un comico finito.

Le scene finali segnano l'apoteosi di Calvero sia come comico che come essere umano. Con un vero e proprio colpo di teatro, Chaplin coinvolge nel suo sketch finale nientemeno che Buster Keaton, altro grande dimenticato del cinema dell'epoca (anche se in realtà continuava a lavorare per la televisione). Si comincia subito con una serie di battute ironiche di Keaton: "Non avrei mai pensato di ridurmi così... Un altro che mi dice ‘come ai vecchi tempi' e mi butto dalla finestra". Poi i due si scatenano in un divertentissimo sketch in cui vengono riproposti i cavalli di battaglia della "vecchia" comicità: la pantomima, l'impassibilità, la ribellione degli oggetti, le variazioni di ritmo, il tutto senza dire una parola. Bisogna dire che entrambi dimostrano ancora tantissima bravura.
Non potevano mancare le polemiche per i tagli che ha fatto Chaplin in sede di montaggio alla parte recitata da Keaton. Per ragioni filmiche il primato nella scena doveva essere dato a Calvero e così è stato. Chaplin è sempre stato convinto di aver fatto un "favore" a Keaton per averlo fatto di nuovo lavorare nel cinema. Ciò non toglie che Keaton potesse essere anche più bravo di Chaplin.

La degna conclusione di una storia del genere non poteva essere che la morte sul palcoscenico, il desiderio romantico di tutti i grandi artisti. Chaplin è però abile a evitare forzature e fa scorrere tutto in maniera naturale e impressionante allo stesso tempo. L'incidente del tamburo è sì l'occasione per un saluto comico al pubblico, ma il sipario si chiude sulla faccia preoccupata di Keaton.
La scena dell'agonia di Calvero è solenne, delicata e profonda allo stesso tempo. è dolore fisico (la faccia stravolta di Chaplin), è rimpianto di non avere saputo nulla dei segreti della vita, è commiato dalle persone care, è spronare a continuare come se nulla fosse.
Le ultime inquadrature sono simboliche. Calvero coperto da un lenzuolo diventa come un catafalco mortuario nelle quinte di un teatro, mentre sul palcoscenico continua a svolgersi lo spettacolo con la musica che suggella l'intensità emotiva della scena. Il singolo uomo è destinato a perire, solo l'arte, la sua attività rimane eterna. Questa è l'unica certezza in qualcosa di duraturo, che va al di là della vita e della morte di ognuno di noi.
Come si sarà notato, in tutto il film non c'è il minimo accenno a Dio, al concetto di anima o ad un presunto aldilà. Chaplin ha avuto anche qui il coraggio di guardare in faccia il mondo senza nessuna facile o falsa copertura. Un'altra bella lezione di libero pensiero e di grandezza artistica.


Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 03/04/2009