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La corsa all'oro ma non alla felicità

Il circo - 1928 (1970)

Sembra quasi che il destino si prenda gioco degli uomini non solo nei film, ma anche nella realtà. "La febbre dell'oro" regalò a Chaplin ricchezza e successo, ma allo stesso tempo lo fece sprofondare in una crisi esistenziale, portandolo a riflettere sul senso della vita e se fosse mai possibile raggiungere la felicità.

Il circoTutto nasce come al solito dal debole di Chaplin nei confronti delle ragazzine. In origine aveva scelto come protagonista femminile de "La Febbre dell'oro" la sedicenne Lita Grey, la stessa che aveva interpretato l'angelo seduttore nel sogno de "Il Monello". Dal set al letto il passo fu breve, ma anche stavolta rimase inguaiato, mettendo incinta la ragazza. Ecco che si ripete la storia del primo matrimonio. Si sposa per forza e gli rimane addosso una specie di macigno che gli pesa sull'animo, nonostante l'arrivo di due bei bambini (Charles Junior e Sydney Junior). è in questa atmosfera di infelicità, di situazione penosa e opprimente che nasce il film "The Circus" ("Il circo").
Come se non bastasse, a film quasi finito, Lita Grey intenta contro Chaplin una clamorosa causa di divorzio, condita con un dossier carico di pettegolezzi umilianti e di cattiverie. Per fortuna di Chaplin, gli intellettuali e il grande pubblico sono tutti dalla sua parte e non lo abbandonano. Il colpo fu comunque durissimo, tanto da fargli diventare bianchi tutti i capelli in pochi giorni.
Suo fratello Sydney riuscì a sintetizzare la situazione in una lettera: "Non perderti d'animo, Charlie, ricordati che nella vita ci sono cose più importanti della ricchezza... Dopo tutto, sembra che la felicità sia solo una questione relativa e dipenda essenzialmente dal nostro modo di vedere le cose e di pensare".

L'idea da cui è nato il film deve essere venuta a Chaplin da una specie di incubo. Si immaginava in un circo che camminava sul filo, senza rete e angustiato da delle scimmie. Da questa specie di immagine simbolo si fece venire in mente tante altre idee e gag basate sulla vita dei saltimbanchi, qualcosa che aveva conosciuto bene nell'infanzia e che sapeva quali problemi e dolori nascondeva. Le riprese, durate dalla fine del 1925 all'autunno del 1927, furono funestate anche da incidenti vari, tra cui l'incendio dell'intero set. La prima avvenne il 6 gennaio 1928 e anche se il film fu ben accolto da pubblico e critica (vinse un premio equivalente all'Oscar moderno), Chaplin ne ha sempre conservato un pessimo ricordo, tanto da ignorarlo completamente nella sua autobiografia. Nel 1970 lo ha integrato di musiche e di canzoni scritte e cantate da lui; questa è la versione che troviamo sul dvd.

Se la caratteristica scenica de "La Febbre dell'oro" erano le frequenti coincidenze, "Il Circo" invece propone molti episodi senza riuscire forse a fonderli fra di loro. Essenzialmente si basa sulla triste constatazione che in certe circostanze è impossibile essere felici, anche se rimane possibile fare felici gli altri. Si può essere altruisti o far ridere il pubblico, ma alla fine non c'è da aspettarsi ricompensa: la vita non perdona, se si è in difficoltà si viene lasciati soli al proprio destino. Questo discorso viene sviluppato su più piani: c'è la vicenda dei clown che non riescono più a divertire, la logica dello sfruttamento e del denaro sopra qualsiasi cosa, la sensazione di non possedere le caratteristiche necessarie (ricchezza, bellezza) per avere successo in società. Ci sono poi molti spunti che verranno approfonditi in "Luci della ribalta" (vita e arte), "Tempi moderni" (vita e lavoro) e "Luci della città" (altruismo senza ricompensa).
Salta agli occhi soprattutto la trasformazione del personaggio del vagabondo. è molto meno baldanzoso e vivace, non usa più trucchi o giochetti. Adesso si comporta in maniera più cerimoniosa, posata e riflessiva; è come se fosse maturato e invecchiato e gli pesasse l'esperienza della vita. Inoltre, dal punto di vista stilistico, nella storia si cominciano a usare oggetti e situazioni con chiaro significato simbolico.

Il circoIl prologo ci porta nel dietro le quinte di un circo. Si fa vedere che dietro la facciata di gaia allegria si nasconde il duro lavoro, la fatica e il dolore. Subito risalta la figura del direttore del circo (Allan Garcia): un personaggio cinico, molto duro e severo (forse troppo), crudele e disumano anche con la figliastra che fa la cavallerizza. Tutto quello che gli interessa è l'aspetto commerciale del mestiere. Vuole dai suoi sottoposti la perfezione e il massimo solo allo scopo di riempire il tendone e fare soldi. Per lui esiste solo il rapporto commerciale senza niente di affettivo o sentimentale. Questo è il primo di una serie di personaggi che rappresentano il lato disumano del sistema economico e sociale capitalista, qualcosa che a Chaplin non andava proprio giù.

Finalmente viene introdotto il vagabondo che, come al solito, vaga - questa volta in un luna park - alla ricerca di qualche occasione per fregare qualcosa da mangiare - quello che fa abilmente con l'hot dog di un bambino. Viene poi coinvolto suo malgrado in un furto di portafoglio e tanto per cambiare si ritrova inseguito dai poliziotti. Anche stavolta però non si smentisce e riesce a prendersi gioco di loro: va ad infilarsi nella sala degli specchi, rendendo quasi impossibile non ammirare le tante gag che riesce a tirar fuori con le illusioni ottiche e le figure meccaniche. Alla fine si rifugia nel tendone del circo, dove il suo inseguimento diventa l'oggetto delle risate e del divertimento del pubblico che fino a quel momento si annoiava. In pratica si suggerisce che per far ridere basta essere spontanei e naturali con semplicità, senza stare a cercare cose artefatte o complicate.

Visto il successo e la possibilità di guadagno, il direttore del circo decide di mettere alla prova il vagabondo; la mattina dopo si presenta di buon ora e si accinge a fare la sua povera colazione quando incontra la cavallerizza (Merna Kennedy - una debuttante quasi sosia di Georgia Hale) molto affamata che cerca di rubargliela. Questa piccola guerra fra poveri si risolve quasi subito per la solidarietà del vagabondo, che dopo una prima reazione stizzita, vista la persona dolce che ha davanti, non può fare a meno di regalarle l'intero pasto.

Inizia la prova, introdotta dall'invito del Direttore: "Avanti, facci ridere". è l'occasione per Chaplin di dare un saggio di comico nel comico (si ride di chi fa ridere), qualcosa che anticipa "Luci della ribalta". Si scontrano la concezione del direttore che vede tutto come una ripetizione meccanica e quella del vagabondo che sente il comico come qualcosa di fantasioso, da reinventare ogni volta. Anche gli altri clown sono molto bravi (fra tutti il ciccione interpretato magistralmente da Henry Bergman), eppure dalle labbra del direttore non esce neanche un sorriso.

Il direttore scarta il vagabondo come clown perché secondo lui non fa ridere, ma lo tiene come inserviente. I fatti però lo smentiscono. I casuali interventi guastatori del vagabondo in mezzo ai numeri (fra cui quello del prestigiatore Prof. Bosco) hanno un effetto esilarante e fanno riempire il tendone del circo. Il Direttore si guarda bene dal rivelarglielo, per poter spillare più soldi possibile, così per il vagabondo e la cavallerizza la vita continua ad essere dura e faticosa.
Non si può però mai stare tranquilli! A parte gli animali persecutori, basta una distrazione e ci si trova chiusi nella gabbia dei leoni. Per fortuna che c'è l'aiuto reciproco che può in parte lenire la vita amara e difficile.

Dall'amicizia all'amore il passo è breve. è solo grazie a Merna che il vagabondo riesce a infondere vita in quello che fa. Se l'arte comica è la rappresentazione del proprio essere naturale e spontaneo, come è possibile continuare a far ridere con la tristezza dentro? è proprio quello che succede al vagabondo quando si accorge che Merna si è innamorata del funambolo Rex, un uomo molto più bello e raffinato di lui. Nell'animo del vagabondo si mescolano rabbia, vendetta, delusione e scoramento; non è certo la miscela giusta per far ridere il pubblico. Infatti il direttore, tutto premuroso ai tempi del successo, diventa una belva feroce (altro che il leone della gabbia!) e minaccia di licenziarlo se non riprende a far ridere (come se fosse un lavoro qualsiasi).

Si giunge così alla scena clou del film. Il vagabondo vuole dimostrare a Merna che anche lui vale qualcosa e si allena di nascosto a camminare sulla corda. Arriva l'occasione in cui Rex non si presenta per il numero e il vagabondo ha la possibilità di dimostrare a Merna quanto vale. Lei è preoccupata: "Ti ammazzerai", ma lui risponde con sufficienza: "Sono nato fortunato" e proprio in quel momento gli casca un sacco in testa, tanto per smentire comicamente la sua spavalderia. Di tutt'altro genere è il commento del direttore a un'osservazione simile: "Niente paura, l'ho assicurato"; come dire: mica ci perdo soldi se muore.

Il circoIl numero di Chaplin sulla fune ha il sapore dei film comici basati sulla paura, quelli che hanno portato Harold Lloyd al successo. Qui però la scena si colora di significati simbolici, diventa la metafora della vita, così difficile e instabile (si può cadere da un momento all'altro), piena di mille difficoltà e cattiverie (le scimmie) che arrivano sempre nei momenti in cui uno avrebbe più bisogno di aiuto. Ma è proprio in questi momenti che occorre tirare fuori tutta la propria forza d'animo e stringere più forte i denti; solo in questo modo si può uscire anche dalle situazioni peggiori.
Così il vagabondo riesce, in qualche maniera, a portare a termine il suo numero, anche se la cintura di sicurezza si rompe, le scimmie lo tormentano, oltre a rimanere ridicolmente in mutande e a scivolare su una buccia di banana. Un'impresa che rimane privata perché non è capace di concluderla davanti al pubblico, non ottenendo così nemmeno la soddisfazione che tanto cercava.
Questa esperienza trasforma però il vagabondo, dandogli più fiducia in se stesso. Ritorna nel tendone per assistere all'ennesimo maltrattamento del direttore nei confronti di Merna. Stavolta non sta a guardare, ma reagisce e ha il coraggio di picchiare il direttore, finendo per perdere il lavoro.

Capisce anche tante cose sul suo rapporto con Merna. Cosa può pretendere un vagabondo come lui? L'unica felicità che gli può spettare è quella di fare felici gli altri e poi sparire dalla loro strada. Si arriva così allo splendido finale agrodolce. Il vagabondo fa di tutto per far sposare Merna con Rex, perché sa che loro vogliono questo e il sentimento di Merna nei suoi confronti è solo gratitudine (la stessa situazione di Calvero in "Luci della ribalta"). Riesce anche a farli riappacificare con il direttore. Quando però il circo riparte, seppur a malincuore, decide di restare solo. Che stimolo ha a "far ridere" la gente? Un'individualista come lui non può stare alle dipendenze di uno strozzino. Meglio la libertà, anche a costo di privazioni e della solitudine. Sì, anche da soli la vita continua.
Sul vagabondo zampettante (come in "Charlot vagabondo") si chiude il film.

La scena finale è veramente splendida da un punto di vista visivo e simbolico. La lunga fila di carri che si muove alzando la polvere, la bruma della mattina presto, il sole radente, il vagabondo che se ne sta immobile fra i carri che passano e infine un cerchio di erba pestata (tutto quello che resta di tanta intensità di vita) con una cassa nel mezzo. Sembra una scena uscita da un film di Fellini. Un finale che si carica di suggestioni, indimenticabile come i magnifici finali dei film che seguiranno.


Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 03/04/2009