Dopo i primi venti minuti di fuochi d'artificio, c'è un evidente calo di tensione; non viene però meno l'interesse e il significato delle scene successive.
Il nostro ex-operaio viene dimesso dalla clinica con la raccomandazione di "prendersela con calma e evitare eccitazioni". Fuori è però tutto un subbuglio per via della crisi economica. Raccoglie per strada una bandiera rossa, caduta da un camion con un carico sporgente e guarda caso si trova coinvolto in una manifestazione politica socialista, in mezzo ad altre persone come lui. Chissà se si accorge di quello che sta facendo; in ogni caso quando interviene la polizia a disperdere la manifestazione, a farne le spese è proprio lui, che in apparenza non c'entrava niente.
Sono stati versati fiumi di inchiostro sull'interpretazione di questa scena. Si tratta di un appoggio indiretto al comunismo o una critica al movimento che prende per leader il primo che capita? Ad avviso di chi scrive, Chaplin voleva dimostrazione come gli automatismi influenzino anche il modo di pensare di chi dirige la società; è sufficiente prendere una bandiera rossa in mano e subito si è presi per comunisti, senza esaminare le caratteristiche individuali della persona coinvolta. è palese il riferimento a se stesso, che già allora veniva accusato di comunismo solo perché si occupava di problemi sociali ed economici in modo anticonformista.
Il film all'improvviso cambia registro. Entra in scena la monella (la bellissima Paulette Goddard), una che "rifiuta di soffrire la fame" e lo fa rubando delle banane per poi darle a chi ha bisogno come lei. Da ora in poi il film procede in parallelo descrivendo le vicende dei due eroi, "gli unici due spiriti vivi in un mondo di automi".
Nonostante le intenzioni di Chaplin, il sentimentalismo fa la sua brava parte (pur se non eccessiva) anche in questo film. Ecco apparire di nuovo la famigliola povera ma virtuosa, a cui manca la madre. Addirittura durante un'agitata manifestazione il padre viene ucciso, con la monella che accorre piangente. Si ripete la storia degli orfani costretti ad andare in istituti inospitali. Stavolta però la monella si ribella e decide di affrontare le difficoltà da persona libera. è lampante il parallelo con le vicende analoghe che ha vissuto Chaplin durante l'infanzia.
L'ex-operaio, invece, "preso per un leader comunista langue innocente in prigione": una didascalia che si rivelerà profetica per Chaplin durante gli anni Cinquanta. In carcere c'è la stessa disciplina meccanica che c'è in fabbrica. Non tarda molto però che l'ex-operaio rivela la sua natura fondamentalmente onesta, proprio a dimostrare l'assurdità della sua detenzione. Nonostante ciò, la sua uniforme da carcerato gli procura lo sguardo altezzoso e quasi di disprezzo della moglie del reverendo, venuto in visita "religiosa" in carcere. è da notare che nel film le donne (a parte la monella) hanno tutte ruoli negativi, o fanno le delatrici o guardano dall'alto in basso.
L'ex-operaio viene finalmente liberato, ma fuori la vita è così dura che vorrebbe ritornare di nuovo in prigione e si mette apposta a mangiare senza pagare.
Anche la monella gira per le strade ammirando le belle vetrine piene di cibi allettanti, con la fame che la spinge a rubare. Il quadro sociale che esce da queste scene è decisamente desolante.
Il destino fa in modo che i due s'incontrino sul cellulare della polizia. Lei disperata si mette a piangere e lui intenerito cerca di aiutarla. Molto intensa questa scena, in cui si fa capire quanto sia preziosa la solidarietà. I due riescono a scappare ed eccoli trasformati in vagabondi: la società li ha spinti di nuovo ai margini. Certo, adesso sono insieme, non sono soli. C'è sempre il sogno che solleva il morale, l'immagine di un mondo mitico dove frutta e latte sono lì pronti, basta allungare la mano. Ci pensa però il solito poliziotto a riportarli alla realtà.
Non c'è alternativa al lavoro e il vagabondo sfrutta subito l'occasione di fare il guardiano notturno in un grande magazzino, che sembra quello di "Charlot caporeparto". E qui rivediamo Chaplin che ci fa ridere di nuovo con i pattini ai piedi o tentando di scendere una scala mobile al contrario. Molto brava e vivace anche la Goddard.
Non potevano mancare i soliti ladri. Stavolta però si scopre che sono gli ex-colleghi di catena di montaggio, che confessano candidamente: "non siamo ladri, abbiamo solo fame". Sembra si voglia insinuare che se si tratta di fare sopravvivere delle persone, togliere ai più ricchi non è certo reato. Più probabilmente è un modo per far capire che l'aumento della criminalità è legato a doppio filo all'aumento della disoccupazione.
Il tutto finisce con l'operaio-vagabondo di nuovo in prigione. Stavolta all'uscita trova ad aspettarlo la monella con una sorpresa: è riuscita a trovare una casa. Veramente si tratta di una catapecchia che cade tutta a pezzi, all'estrema periferia della città. Nonostante l'estrema povertà e il degrado in cui vivono, per loro è la realizzazione di un sogno.
Questo piccolo menage, che ricorda quello de "Il Monello", è la parte più delicata e sentimentale del film. Lo scopo è sempre quello di nobilitare la povertà e la semplicità con il sentimento. Si tratta comunque di una condizione non certo idilliaca; infatti si fa capire che i cibi che mangiano sono stati probabilmente rubati. Ovviamente sanno che non possono vivere solo di espedienti e quindi il vagabondo non esita a ritornare operaio, di nuovo servo della macchina. Il sistema offre solo questo: prendere o lasciare.
Le grandi ruote e gli ingranaggi divoratori ritornano così di nuovo in scena per altre gag comiche. Stavolta Chaplin ha come spalla Chester Conklin, un suo vecchio collega dei tempi della Keystone. Stavolta è lui a essere letteralmente ingoiato dalla macchina, sempre a causa dell'ingenuità e della distrazione dell'operaio-vagabondo. Il lavoro ha però breve durata, perché viene proclamato uno sciopero senza spiegare per quale ragione. I nostri due sono costretti, che vogliano o no, a uscire dalla fabbrica. All'uscita ecco i soliti poliziotti che colpiscono nel mucchio, spintonando il nostro operaio senza una ragione apparente. Poi per una casualità piove loro un sasso in testa e sembra si voglia suggerire indirettamente che è quello che si meritano. Fatto sta che anche stavolta il nostro operaio finisce di nuovo in prigione come agitatore, anche se non aveva alcuna responsabilità.
Fuori è la monella che si dà da fare. Grazie alla sua vivacità e bellezza viene assunta come ballerina in un ristorante gestito da Henry Bergman (che faceva veramente il ristoratore). Quando il nostro operaio esce di prigione, lei riesce a farlo assumere come cameriere cantante. è l'occasione per Chaplin di rispolverare la vecchia arte dei cortometraggi ambientati nei bar e nei ristoranti e regalarci scene esilaranti. Ma c'è la novità assoluta della canzone. Finalmente il vagabondo parla, anzi canta. Per la prima e unica volta sentiamo la sua voce. Tanto per restare fedele al suo ruolo di rappresentante universale di tutti gli emarginati della terra canta in una lingua inventata, un miscuglio di francese, spagnolo e italiano, sulle note della Titina. Il sonoro serve però a mettere in risalto la grande bravura di Chaplin nella pantomima: il suo spettacolo delizia il pubblico composto da povera gente e soprattutto da marinai.
Il padrone del ristorante vorrebbe assumere il vagabondo. Pare proprio che stavolta sia riuscito finalmente a trovare un'attività che non aliena, non incatena, anzi nobilita e fa felici gli altri. L'arte e la sua filosofia sembra l'unica via d'uscita (utopica) a una società che impoverisce e schiaccia.
Adesso che tutto sembra essersi sistemato, il passato della monella si fa di nuovo vivo. La legge è legge; gli orfani devono andare in orfanotrofio, non si scappa. Per questo, come ne "Il Monello", arrivano gli ufficiali a prelevare la monella e pure stavolta il vagabondo riesce a sventare il loro proposito.
Il film pareva finire lietamente e invece ecco di nuovo i due protagonisti punto e a capo, per strada senza possedere niente. Sembra che la durezza della vita abbia il sopravvento su tutto; come si può continuare a vivere? Sì, si può; anzi si deve continuare e se possibile con il sorriso in volto: questo è il bellissimo messaggio di un altro grande finale della storia del cinema.
I due si riposano dopo avere molto camminato in una landa deserta. Lei cede alla disperazione e si mette a piangere. "Cosa c'è che non va?", sembra dire il vagabondo. Lei si volta con una bella espressione che esprime dolore, stanchezza, rassegnazione: "What's the use of trying?" ("A cosa serve lottare?"). Accanto a lei c'è però una persona che le vuole bene, che le tira su il morale: "Buck up - never say die. Wèll get along" ("Non ti dare per vinta. Ce la caveremo"). Insieme si affronta tutto, mai arrendersi. Addirittura con il sorriso in bocca, perché la vita nonostante tutto è bella.
Il film si chiude come si è aperto: con una scena simbolica. La silhouette dei due protagonisti si staglia in movimento lungo una strada deserta, verso una cortina di montagne. è il simbolo dell'umanità in marcia verso la felicità, come recitava la didascalia iniziale. Si parte dal niente ma con tante speranze per il futuro. Può essere il socialismo, può essere una nuova forma di capitalismo, chissà. L'importante è avere un'illusione in cui credere.
Questa scena simboleggia anche l'addio del vagabondo. Non lo rivedremo mai più.
Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 03/04/2009