Il 1918 porta con sé la grande novità di un nuovo contratto milionario con la First National. Stavolta la compagnia anticipa i soldi e Chaplin è liberissimo di spenderli come vuole: decide le storie, le scenografie, i tempi, le persone. Basta che produca otto film a due bobine. Per prima cosa si costruisce uno studio tutto suo per le riprese, poi si butta a capofitto nella sua grande passione: il cinema. Un impegno continuo, costante: crea, disfa, pensa, si pente. Gira chilometri di pellicola per ricavarne pochi metri. Per fortuna la fantasia non viene mai meno. Il duro lavoro è sempre premiato.
Questa fantasia continua a sfornare situazioni ambientate nelle periferie malfamate delle città. Con il mediometraggio "A Dog's Life" ("Vita da cani") si arriva alla rappresentazione più dura e realistica della povertà fatta all'epoca (e non solo). La descrizione della gente che vive in questo ambiente è desolante: poveracci che si fanno guerra fra di loro, ladri, prostitute. Eppure Chaplin vuole dimostrare - in polemica con i naturalisti - che l'ambiente non riesce a vincere del tutto sull'animo umano. C'è ancora chi crede nella solidarietà e la pratica. Queste sono le persone che valgono qualcosa.
Si inizia subito con il vagabondo che dorme sulla nuda terra. Anche così ha l'animo sereno. La fame lo porta però a commettere una piccola furberia (il furto di una salsiccia), vista però dall'onnipresente poliziotto (Tom Wilson) che lo vorrebbe arrestare. Segue una serie di gag che vedono il vagabondo vittorioso sui poliziotti, molto dileggiati. A questo proposito in quel periodo Chaplin ha dichiarato: "Se c'è una categoria che l'intera umanità guarda in genere con una certa antipatia è quella dei poliziotti... Si tratta della naturale antipatia per ogni forma di autorità". Vedendo la scena viene da chiedersi perché un poliziotto debba perseguitare un semplice poveraccio che ha fame. Anche l'unico mezzo per sopravvivere onestamente, il lavoro, si risolve in una lotta all'ultimo spintone allo sportello del collocamento. Si ride, ma che amarezza vedere uno spettacolo del genere. Tanto più che Chaplin non ci risparmia lo spettacolo del vagabondo che fruga nella spazzatura.
L'accusa è netta: c'è gente che vive a livello di animali. Addirittura i cani hanno gli stessi problemi. L'altro protagonista della comica è infatti un piccolo randagio (Scrap), costretto anche lui a litigare l'osso con orde di cani famelici. Il vagabondo interviene però a salvare Scrap. La solidarietà ha avuto il sopravvento su qualsiasi altra considerazione e poi fra perdenti ci si deve aiutare; è il minimo che si possa fare. Un mezzo per sopravvivere comunque lo si trova, basta essere scaltri, come fregare tortine al chiosco di un ambulante (suo fratello Sydney). Non si può che ridere e simpatizzare con il "ladro".
La comica prosegue sempre con singoli sketch stavolta ambientati in un bar malfamato, molto ben descritto. Sembra uno di quei bar dove si cantava e si beveva (e ci si prostituiva), frequentati dai genitori di Chaplin. Anche in questo ambientaccio c'è la persona di animo nobile che fa resistenza al mondo che la circonda; una cantante sentimentale (Edna Purviance) trattata da Chaplin comunque con molta ironia. Si coglie inoltre l'occasione della canzone strappalacrime di Edna per prendere in giro l'eccessivo sentimentalismo. Anche lei per sopravvivere si vede costretta a fare cose che non vorrebbe. Il padrone le dice: "se strizzi l'occhio e sorridi ordineranno da bere". Lei fa l'occhiolino alla persona sbagliata, cioè al vagabondo, quello che non può ordinare da bere. Tutta la scena è una parodia della figura della vamp, della femme fatale. Entrambi, o senza un soldo o che non vogliono far guadagnare, vengono buttati inesorabilmente fuori da un ambiente dove il divertimento è solo a servizio del denaro.
Questo piccolo capolavoro purtroppo scade un po' nel finale. Viene introdotta una di quelle convenzioni così comuni nel cinema dell'epoca, ma così improbabili nella vita reale. Per caso un ricco ubriaco passa nel quartiere malfamato e ovviamente viene derubato del portafoglio da una coppia di malfattori. Con tutta una serie di gag esilaranti (tra cui quella in cui il vagabondo accoppa un malvivente e lo fa "agire" al suo posto), cambiando continuamente proprietario, il portafoglio finisce proprio nelle mani del vagabondo e di Edna, i quali possono realizzare il loro sogno: vivere in campagna. è il classico lieto fine che ripara alle sgradevolezze mostrate per tutto il film, soddisfa lo spettatore ma rompe l'incantesimo di splendida descrizione di un ambiente e di chi ci abita.
Chaplin si avvede però di essere finito troppo nel melenso e colora la scena finale con una sottile ironia. Il vagabondo è diventato un improbabile agricoltore che semina facendo dei buchi nel terreno con un dito e mettendoci un seme per volta. La casa è tutta pizzi e trine e per giunta c'è una bella culla in cui tutti si aspetterebbero il bebè del vagabondo, e invece c'è Scrap con una bella nidiata di cuccioli (anche se Scrap sarebbe un maschio... ).
L'idillio fa capolino nelle comiche di Chaplin e presto lo vedremo occupare parti importanti come in "Idillio nei campi" e "Il Monello". Sta a significare che il sogno è una parte importante della vita, senza quello non c'è speranza.
Chaplin continua però con un'altra grande opera a mescolare abilmente la dura realtà della vita e la fantasia del comico.
Nell'ottobre del 1918 esce "Shoulder Arms" ("Charlot Soldato"), proprio quando la Prima Guerra Mondiale si stava per concludere e ormai aveva svelato a tutto il mondo la tremenda carneficina e l'orrore che era stata. Imbastire una comica su di un fatto del genere sembrava a tutti i suoi collaboratori una pazzia. Chaplin invece decise di rischiare, convinto che il riso avrebbe spiegato alcuni aspetti della tragedia meglio di qualsiasi film serio. Anche nella guerra si nasconde il ridicolo e l'insensato. Questo equilibrio è raggiunto dando a tutto il mediometraggio un'atmosfera disincantata. L'evento è spogliato di drammaticità e viene disegnato come un'assurda routine. L'assurdità e il comico sta tutto in questo contrasto fra l'atteggiamento dimesso e indurito dall'abitudine dei soldati e il contesto di morte, di precarietà che grava su di loro.
Si comincia subito dissacrando le esercitazioni militari, in generale tutte le imposizioni. Il vagabondo con i suoi piedi storti e con il suo fare imbranato ridicolizza il plotone agli ordini di Tom Wilson (quello che in genere interpreta il poliziotto). La scena poi si sposta nelle trincee, ricostruite in maniera realistica. Il vagabondo sa già cosa serve e si porta dietro trappole per topi e difese contro i pidocchi. Del vitto e dell'alloggio poi se ne fa un quadro proprio pietoso. Senza dire che piove in continuazione, si vive nel fango e addirittura si fa finta che l'acqua che allaga tutto non ci sia e si dorme sott'acqua come se nulla fosse.
Non manca il tocco di commozione (sobrio e azzeccato) quando si descrive l'arrivo della posta e quando appaiono visioni nostalgiche di casa. Grazie al comico si riesce a dimostrare che l'eroismo è solo di facciata, in realtà domina la paura. I nemici sono solo descritti in maniera più ridicola e si rivelano pure loro dei poveri diavoli.
Anche in guerra diventa essenziale l'astuzia e la scaltrezza. Chaplin si traveste da albero e riesce a beffare una pattuglia di soldati tedeschi. La scena non si può descrivere, va vista ed è molto divertente. Trova quindi rifugio in una casa semidistrutta abitata da una contadina francese (Edna Purviance), che si prende cura di lui. Questa è una rara occasione nel cinema di Chaplin in cui si usa simbologia cristiana (l'altra è l'inizio de "Il Monello"). Edna cura la mano ferita che sembra quella di Gesù trapassata dal chiodo. Sulla parete della casa si intravede un'immagine della Madonna con il bambino.
Purtroppo anche in questo caso il finale non è all'altezza. Il vagabondo riesce a catturare nientepopodimeno che il Kaiser in persona, grazie ad una serie improbabile di coincidenze fortunate (ma nel comico si può transigere, se serve a ridere un po'). Questo finale smaccatamente lieto è mitigato da un tocco di ironia. Si scopre che tutta la storia non era altro che il sogno del vagabondo addormentatosi dopo l'esercitazione. Anche qui il sogno appare come l'unico rifugio dove trovare qualcosa di positivo.
Dopo queste due opere notevoli, Chaplin attraversa un periodo di crisi. Nonostante cerchi di tenere separato il lavoro da tutto il resto, i fatti privati cominciano a influire sulla sua ispirazione. Chaplin si è dimostrato una persona che ha saputo resistere psicologicamente all'improvviso successo e allo stress da prestazione, grazie al pensiero fisso per il lavoro e al notevole impegno profuso. La sua personalità ha però un punto debole che gli procura guai: la passione per le ragazze molto giovani. Nel 1918 una ragazzina di sedici anni (Mildred Harris) riesce ad abbindolarlo e a fargli credere di essere incinta. è costretto a sposarla e si rende subito conto che la sbandata è costata molto cara, visto che si tratta di una ragazza molto frivola e fatua. Si sente così scontento e in crisi che addirittura rinuncia a far venire sua madre dall'Inghilterra. Scrive infatti a suo fratello: "temo sua presenza qui possa deprimermi e danneggiare il mio lavoro".
Nonostante i suoi sforzi, il momento no si riflette anche nell'arte. Il mediometraggio "Sunnyside" ("Idillio nei campi"), uscito nel 1919, è nettamente inferiore ai precedenti. è una comica melensa e con poco mordente, che contiene però scene interessanti. La scenografia stavolta è quella di un paesetto sperduto nella scalcagnata campagna americana (belle riprese in esterni). Sembra quasi che Chaplin abbia voluto approfondire il mondo evocato alla fine di "Vita da cani", per far vedere che non era tutto oro quello che luccicava. Infatti in "Sunnyside" di idilliaco ci sono solo il paesaggio e la natura, mentre la gente è tutt'altro che amichevole. Si inizia subito con l'ironia, quando s'inquadra una targa con su scritto "Ama il tuo prossimo" e poi si fa vedere il comportamento del possessore della targa. Si tratta del proprietario di un albergo scalcinato, nonché possessore di bestiame, che cerca di far lavorare a forza di calci nel sedere, un assonnato e svogliato vagabondo. Ricorda un po' il rapporto di lavoro del cortometraggio "Work", anche se in maniera più "soft". Anche qui il vagabondo sembra subire lo sfruttamento, per poi rifarsi con l'astuzia. Del resto tutti gli abitanti del villaggio si fanno un dovere di leggere la Bibbia e seguire le funzioni con il bel vestito, mostrandosi in realtà delle persone molto grette.
Una parte del pezzo è occupata da un sogno fatto dal vagabondo, in cui si trova a danzare con quattro ninfe, in un'atmosfera idilliaca che ricorda la musica di Debussy in "Prelude à l'après-midi d'un faune". Anche il sogno è venato d'ironia (si siede su di un fico d'india), come non si risparmia l'ironia al vagabondo stesso, quando per stare da solo con la sua amata Edna non esita a sbarazzarsi senza pietà del fratello handicappato di Edna.
In questo mondo così chiuso piomba all'improvviso un giovane cittadino. I suoi modi raffinati contrastano con quelli semplicioni del vagabondo, il quale si sente colpito e inferiore al nuovo arrivato. Cerca così di imitarlo con i suoi mezzi limitati (le ghette, l'accendino nel bastone) ma riceve un inesorabile rifiuto da parte di Edna, invaghitasi del giovane. Si ripropone così il modello del vagabondo che si sente rifiutato, che si deve arrendere alla vittoria del mondo dell'apparenza su quello della sostanza. Decide addirittura di suicidarsi, ma sul più bello ... si scopre che era l'ennesimo sogno. La realtà stavolta consola il protagonista: Edna non si fa abbindolare dal bellimbusto e preferisce il povero ma devoto vagabondo.
Stavolta il finale lieto non viene turbato da alcuna ombra, anche se alcuni critici cinematografici hanno avanzato l'ipotesi che il finale fosse il sogno del vagabondo che si stava per suicidare.
Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 03/04/2009