Nel 1914 il cinema non aveva ancora 20 anni di vita. La sua apparizione ebbe lo stesso effetto di internet negli anni Novanta: un successo immediato ed uno sviluppo impetuoso. In pochissimo tempo si diffuse in tutto il mondo e diventò lo spettacolo preferito dalle masse; tutti si buttarono a capofitto in questa nuova forma di intrattenimento, che si rivelò molto redditizia. Si filmava di tutto, bastava che attirasse il maggior numero di spettatori: salvo poche eccezioni, si imitava il peggio dello spettacolo teatrale o del romanzo di appendice; la recitazione era enfatica e la tecnica rudimentale, ma la gente amava questo spettacolo che accendeva la fantasia o toccava forte i sentimenti.
Chi andava al cinema, allora, assisteva ad una serie di 8-10 spezzoni filmati di vario genere, della durata ciascuno di circa 10-15 minuti. Ovviamente non poteva mancare il pezzo comico: fra quelli che avevano maggiore successo c'erano i cortometraggi diretti da Mack Sennett della Keystone. Questi aveva avuto la felice intuizione di mettere su una specie di fabbrica di comiche vicino a Los Angeles; le riprese di un pezzo duravano da un minimo di uno ad un massimo di sette giorni, ed ogni settimana ne venivano sfornati da tre a cinque: si cercava insomma di sfruttare al massimo il mercato con la quantità e la velocità di produzione.
Le comiche stesse erano piuttosto dozzinali e consistevano più che altro in botte, ruzzoloni ed inseguimenti (il cosiddetto stile slapstick). Il montaggio era dir poco convulso: le scene si susseguivano in maniera frenetica e l'azione era molto spezzettata, non esisteva una vera storia ed i personaggi erano semplici macchiette grottesche; del resto tutto si basava sull'improvvisazione e sull'estro del regista nel momento in cui girava. Queste comiche ora sono inguardabili, ma all'epoca piacevano e meravigliavano soprattutto per la vivacità, il movimento e la fisicità dei gesti. Da quel poco di società che viene dipinta, ne viene fuori un mondo elementare e cinico. Le corna matrimoniali sono diffusissime, le donne cedono subito al primo arrivato e non si risparmiano loro nemmeno le botte.
Questo è il tipo di cinema che vide Chaplin nel Gennaio del 1914, in un polveroso e anonimo quartiere di Los Angeles, rilevando subito che il suo modo di recitare non si adattava a questi metodi spicci e superficiali. Non si dette però per vinto e decise di combattere la sua battaglia per dare un'impronta nuova al modo di creare una comica. Dava continui suggerimenti al regista ed inventava nuove gag, ma non faceva altro che attirarsi antipatie e le sue invenzioni finivano per essere regolarmente tagliate.
La svolta avvenne però dopo poche settimane, quando Sennett gli chiese di inventare qualcosa da inserire in uno sketch ambientato nella hall di un albergo di lusso ("Mabel's Strange Predicament" - "La strana avventura di Mabel"). Fu così che nacque quasi per caso un personaggio destinato all'immortalità come le maschere di Pulcinella, Arlecchino e Pierrot. Ecco che nella hall dell'albergo irrompe un omino ridicolo, malvestito, cencioso ma fiero e baldanzoso; viene squadrato da una ricca signora, ma lui come se nulla fosse alza il cappello e rotea il bastone. Per nulla intimorito dall'ambiente non in sintonia con il suo abbigliamento, continua imperterrito a combinare pasticci. Lo stile è sempre quello delle comiche frenetiche e movimentate, ma salta subito all'occhio l'invenzione di un personaggio dotato di una personalità e soprattutto ben connotato socialmente.
Nella creazione di questa figura, Chaplin ha senz'altro reso oggettivo il mondo delle periferie povere in cui aveva vissuto fino a pochi anni prima. Questo è stato però il punto di partenza, perché in questo personaggio, col tempo, Chaplin ha riversato tutte le proprie fantasie ed idee, la propria personale visione della vita, facendone quasi un alter ego: "Mi infiammava di idee folli di tutti i generi che non avrei mai avuto se non mi fossi messo il suo costume e la sua truccatura".
Dal punto di vista storico rappresenta la prima entrata da protagonista del "quarto stato" nel cinema. Prima che il neorealismo italiano facesse entrare dalla porta principale la povera gente comune nell'arte cinematografica, Chaplin aveva già aperto loro una porta di servizio. Anche se attraverso la lente deformante del comico e del grottesco, la realtà si impone con tutte le sue ingiustizie e le sue storture.
Il pubblico che guardava le comiche di Chaplin era per lo più la grande massa di gente che non nuotava nell'oro. Era naturale che prendesse in simpatia quest'omino in mal arnese, ma che non si vergognava davanti a nessuno e che anzi cercava rispetto. Grazie anche all'ingegno ed all'agilità riusciva persino a cavarsela e comunque non si rassegnava mai. In Italia questo personaggio è noto con il nome francese che venne coniato nel 1915, Charlot, ma in realtà egli non ha nome, è semplicemente "The tramp", "il vagabondo". Con il suo fare un po' anarcoide rappresenta appieno lo spirito di tanta gente umile di inizio Novecento, che comincia a prendere coscienza di sé e a far notare la propria presenza.
Il successo del suo personaggio permette a Chaplin di avere mano libera nella creazione dei propri pezzi: egli ha l'accortezza di mantenere l'impianto di base con le sue botte e le facili seduzioni, ma ne rallenta notevolmente il ritmo e rende i personaggi più umani e caratteristici. Si ha quindi l'impressione di avere davanti una persona, non più una macchietta.
All'inizio il vagabondo è un furbastro cinico, che pensa solo a come spillare qualche spicciolo per poter andare a ubriacarsi o a sedurre qualche ragazza al parco; nel settembre del 1914 esce però "The New Janitor" ("Charlot portiere"), la prima comica di valore artistico in cui il vagabondo acquista spessore psicologico e sociale.
La storia si svolge in un ufficio, in cui il vagabondo giunge per svolgere il suo lavoro di pulizie; il ragazzo dell'ascensore gli sbatte però la porta in faccia, ed il vagabondo è costretto a farsi tutte le scale a piedi. La scarsa solidarietà fra poveri riapparirà frequentemente nella poetica di Chaplin (vedi i ragazzini che si divertono alle spalle del vagabondo in "Luci della città"). Svogliatamente Charlot inizia a (far finta di) lavorare. Entra in una stanza in cui incontra alcuni impiegati ben vestiti e altezzosi; nel raccogliere le cartacce, getta nel cestino dei rifiuti anche un libro contabile che era caduto in terra per caso, e viene rimbrottato aspramente dall'impiegato (contrasto fra mondi diversi che verrà ripreso spesso). Si mette quindi a cincischiare con uno spazzolone ed un secchio arrivando anche a penzolare nel vuoto (uso comico di oggetti comuni e gag basate sulla paura). Anche il caso ci mette poi lo zampino: sotto la finestra c'è il direttore dell'ufficio che guarda caso si becca la strizzata dello straccio e addirittura il secchio in testa (potenza comica della coincidenza). Inferocito, il direttore arriva in ufficio e licenzia su due piedi il vagabondo, che cerca di commuoverlo mimando dei bambini da cullare (insensibilità ed egoismo dei ricchi). Il vagabondo sconsolato aspetta la fine dell'orario di lavoro per poter salutare la segretaria che aveva fatto breccia nel suo cuore (l'amore conta più di tutto).
Nel frattempo uno di quegli impiegati che pareva così per bene, a causa di un debito di gioco, deruba la cassaforte e tiene in ostaggio la segretaria (inganno delle apparenze); non vedendola arrivare, il vagabondo risale le scale e scopre il malfattore. Grazie all'agilità ed alla furbizia (unica maniera che ha per affrontare i più forti), il vagabondo riesce a neutralizzarlo ed a chiamare la polizia (onestà del vagabondo). Il poliziotto, non appena giunge sul posto, arresta naturalmente il vagabondo (giustizia prevenuta verso i più poveri) e solo l'intervento della segretaria riesce a risolvere l'equivoco. Il direttore deve riconoscere l'onestà del portiere e gli dà un premio in denaro che è ridicolmente basso, come si vede dalla faccia del vagabondo; si impegna comunque a riassumerlo (lieto fine a metà).
Torna suSpeciale a cura di amterme63 - aggiornato al 03/04/2009