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Il film, uscito nel 1962, potrebbe essere idealmente collegato a una trilogia precedentemente realizzata da Luigi Zampa ("Anni difficili", "Anni facili", "L'arte di arrangiarsi") in cui il regista coadiuvato da Vitaliano Brancati si occupava della storia del nostro Paese a cavallo tra il XIX e il XX secolo con pungente satira.
Questa pellicola può essere una appendice al precedente progetto ma non ha un soggetto originale in quanto la trama è il riadattamento in tempi moderni di una celebre commedia del russo Gogol "L'ispettore generale" già portata sul grande schermo in versione musical dal popolare comico americano Danny Kaye circa dieci anni prima.
Se l'ispirazione è lontana - considerando che il soggetto originale risale a cento anni prima della realizzazione del film - la satira sociale e di denuncia è invece drammaticamente attuale anche se il regista sceglie di spostare l'azione alla metà degli anni Trenta, alla vigilia della guerra di Spagna, in piena epoca fascista quindi.
Il film, oscilla per tutta la sua durata, tra la denuncia sociale sia pur fatta in toni lievi da "castigat ridendo mores" e la pochade (ne sono un esempio i dialoghi in camera tra i notabili del paese e le loro consorti). Non manca uno strascico di neorealismo poiché ci sono anche interpreti non professionisti che usano il loro dialetto e le molte scene in esterno vogliono focalizzare lo stato di abbandono e di miseria di certe sconosciute realtà.
Gli interpreti si rivelano tutti all'altezza, il film non fa che confermare nell'olimpo degli attori della commedia all'italiana dell'epoca l'ancor giovane Nino Manfredi, qui sulla scena per gran parte del tempo capace di passare dalla venatura comica simil romanesca al romantico e al drammatico a seconda delle situazioni.
Accanto a Manfredi un coro di grandi interpreti e caratteristi: su tutti Gino Cervi, già ottimo attore leggero nel ciclo di Don Camillo e Peppone a Gastone Moschin, salace e autoironico al tempo stesso. In tono minore le protagonisti femminili, il cinema italiano ha quasi sempre privilegiato storie al maschile con le attrici di contorno, ed è proprio quello che le protagoniste del film fanno.
Sono delle buone comprimarie, da Angela Luce procace moglie di un imbelle funzionario alla giovane attrice francese Michele Mercièr, non ancora divenuta la Angelique di una popolare serie di pellicole pseudo-storiche.
Un commento ovvio e spontaneo fa dire che, come già purtroppo affermato per altre pellicole "datate", il piacere di rivedere il film anche a distanza di tempo è immutato, stessa cosa non ci si sente di affermare invece per la maggior parte dei prodotti cinematografici di questi ultimi anni.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 26/06/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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