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L'introduzione del film mostra una trasmissione radiofonica condotta da Alan Berg. Un nome che potrebbe dire poco, ma dalla sua figura, con le dovute e sostanziali differenze ispireranno Oliver Stone per Talk Radio. Barry Champlain è ispirato ad Alan Berg. Il suo personaggio nell'economia del film non è assolutamente centrale, ma sarà una delle molle all'interno della narrazione del film che si concentra sul gruppo di suprematisti bianchi che lo uccise. Un gruppo denominato The Order.
Il contesto della vicenda è ambientato nella prima metà degli anni ottanta e come tanti casi di indagine, inizia partendo da fatti apparentemente scollegati fra loro: la scomparsa di un uomo ed una serie di rapine a delle banche. Un agente dell'FBI da poco trasferito in Colorado, dopo una dura esperienza di indagine sulle cosche mafiose collegate alla Famiglia Lucchese di New York. Esperienza che sicuramente lo ha segnato nel profondo e che probabilmente ha segnato in maniera indelebile i suoi rapporti con la famiglia, che viene ogni tanto evocata ma di cui non ha più alcun tipo di contatto.
L'incarico avuto nel Colorado è quello di indagare sui gruppi suprematisti bianchi e sulla National Alliance, una delle sue propaggini maggiori, presenti non lontano dalla cittadina in cui si è installato in un compound organizzato a tutto tondo in cui vige, in maniera distorta, il motto Dio, Patria, Famiglia, con tanto di simbologie religiose accanto a quelle naziste, quest'ultima cosa non proibita in America in quanto permesso dalla libertà di espressione.
Il regista australiano Justin Kurzel ha un discreto curriculum al suo attivo e The Order rappresenta la continuazione di un certo tipo di discorso che verte principalmente sul disagio personale morali di individui (Snowtown e Nitram) o di piccoli gruppi (La storia della banda Kelly). Gruppi o individui, appunto, accomunati dallo stesso malessere sociale prima e morale poi, tale da renderli delle vere e proprie schegge o mine vaganti pronte ad esplodere alla prima occasione.
The Order è la storia di un piccolo gruppo di suprematisti bianchi, capeggiato da Robert Mathews, a sua volta dissidente dal gruppo principale della National Alliance del reverendo Butler. Entrambi hanno gli stessi obiettivi comuni e la stessa fonte di ispirazione per condurre la loro lotta contro il governo federale. Sono i Turner Diaries, vera e propria bibbia di ogni suprematista bianco, che individuava i nemici da combattere e come combatterli in un percorso a sei tappe per arrivare allo sterminio di tutte le etnie non bianche ed ebrei. La fase dell'approvvigionamento fa parte di queste sei tappe e le rapine in banca sono la fonte principale per foraggiare la propria attività terroristica. Se il leader della National Alliance propone un approccio che mira all'infiltrazione interna, attraverso la lotta politica, nelle alte sfere del governo allo scopo di influenzarne le scelte, Robert Mathews vira decisamente verso la lotta armata applicando in maniera letterale e pedissequa le istruzioni del Turner Diaries.
Tratto dal saggio letterario The Silent Brotherhood di Gary Gerhartd e Kevin Flynn e basato su fatti realmente accaduti, il film di Kurziel mostra la volontà di ricostruire a livello storico uno spaccato di un mondo che si è gradualmente evoluto all'interno degli Stati Uniti, partendo dal suprematismo bianco che sarebbe passato poi ad azioni ben più clamorose nel corso degli anni e posteriori rispetto agli avvenimenti descritti, come l'attentato ad Oklahoma City e l'assalto a Capitol Hill del 06 Gennaio 2021, segno dell'evoluzione di tale fenomeno che certamente ha influenzato quell'evento. Il gruppo The Order rappresenta l'ala più movimentista, quella che non vuole più aspettare e che rinuncia ad un'azione più a lungo termine come quella proposta dal leader ufficiale Butler. Spaccatura che si manifesta nella riunione politica indetta dall'organizzazione in cui Robert Mathews si alza e si oppone apertamente al proprio leader, raccogliendo consensi e provocando una spaccatura profonda nell'intero movimento.
The Order ha la struttura tipica del poliziesco, ma con atmosfere altrettanto tipiche del thriller politico dalle tonalità cupe, immerso in un contesto dominato dai grandi paesaggi dello Stato di Washington che offre anche l'estetica del western. Tale contesto è quello che si presenta al cospetto di Terry Husk, agente dell'FBI, totalmente diverso da quello di provenienza, prevalentemente urbano. Adesso è nell'America rurale profonda, ventre molle di un qualcosa che non viene ancora percepito appieno dal governo federale. C'è questo fenomeno, ma non si hanno ancora le conoscenze per capirlo e della sua reale pericolosità. Con i suoi baffi da cowboy, il personaggio di Jude Law, condotto in questa sua ricerca dalla collaborazione con il vicesceriffo locale Jamie Bowen (interpretato da Tye Sheridan), si trova a dover indagare non più dall'interno, come accaduto con la famiglia mafiosa dei Lucchese in cui agiva come infiltrato, ma rimanendo all'esterno. E' un uomo mosso puramente dal suo senso del dovere cui dedica anima e corpo al proprio lavoro. Un uomo che rappresenta un certo tipo di America che deve indagare su un'America diversa.
In certi aspetti non è dissimile il suo antagonista, Robert Mathews, cui presta corpo Nicholas Hoult. Può essere visto come un estremista e magari anche un fanatico, perché il substrato religioso è presente, tuttavia non è un irresponsabile o uno sconsiderato. Le sue azioni sono mirate e studiate nel dettaglio. Sono ardite ed audaci, ma sempre cercando di mantenere il controllo della situazione senza forzare eccessivamente la mano. Bob Mathews è un uomo in guerra con il governo federale. I Turner Diaries sono l'ispirazione delle sue azioni che dovranno condurre ad un rovesciamento violento del governo. Un credo dalle caratteristiche quasi messianiche che non ammette compromessi con nulla, fino alle estreme conseguenze.
Semmai ha quelle caratteristiche ipocrite, piuttosto comuni in quei soggetti che al giorno d'oggi sono definiti populisti, Credono in certi valori, vogliono che siano rispettati, ma sono i primi ad infrangerli. Prova ne sia che la sua vita si divida in due famiglie, ex compagna con figlio adottato e compagna attuale in attesa di suo figlio. Possiamo quindi affermare che nella sacra triade di certo populismo, cioè Dio, Patria e Famiglia, quest'ultimo elemento è stato liberamente interpretato. Proviene dalle classi popolari, quello strato sociale dell'America profonda povera e che trova nella diversità o nello straniero, il più facile degli alibi alle proprie miserie.
Con The Order, Kurzel cerca di raccontare una storia che rappresenti l'embrione di ciò che sarà in parte l'America di quarant'anni dopo, quella attuale, quella del trumpismo a cui molte volte, anche a sproposito è associata. Ciò che il film evidenzia è una fase embrionale in cui indubbiamente assistiamo alla radicalizzazione di certi atteggiamenti, una polarizzazione politica in cui il proprio oppositore non è visto come un avversario da battere a livello prettamente politico, ma un vero proprio nemico, la cui vittoria mette in discussione tutto ciò che si è conquistato fino a quel momento e che percepisce soprattutto la perdita di tali conquiste. Non ci sono più le ideologie, gli strati bassi della popolazione, a cui Trump ha saputo indubbiamente parlare, hanno la chiara percezione di un'elite governativa ostile e da combattere, dove l'assalto a Capitol Hill rappresenta l'espressione maggiore di questo malcontento dell'America profonda.
In The Order invece siamo ancora alla fase del suprematismo bianco. Ebrei e non bianchi sono esclusi dal disegno che è diretto ai soli bianchi. Può fornire alcune risposte alle origini di tale fenomeno, tuttavia non spiega la sua evoluzione, cioè il perché neri o ispanici di seconda generazione abbiano votato Trump. The Order non lo spiega perché ha il limite, se così vogliamo definirlo, di tipo temporale. L'azione più eclatante è l'omicidio di Alan Berg, ma da quest'ultimo a Capitol Hill troppa acqua è passata sotto i ponti e neanche il documentario presentato alla Settimana della Critica di Venezia, Homegrown, per certi versi opposto a livello temporale a The Order, presente a Venezia in concorso, offre risposte esaustive pur mostrando certamente una visione da prima linea di Capitol Hill ed i suoi antefatti.
The Order riesce a coniugare sia i contenuti che indubbiamente offrono tanti spunti di interesse, mostrando un quadro generale di una situazione embrionale che deve ancora evolversi, con i meccanismi del genere a cui non apporta sicuramente significative varianti, ma dallo stile piuttosto diretto, con una sceneggiatura solida e priva di eccessivi fronzoli e supportata da un cast di tutto rispetto con due ottimi antagonisti interpretati da Jude Law e Nicholas Hoult, senza dimenticare ottimi comprimari come Tye Sheridan e Jurnee Smollett. Presentato in Concorso all'81° edizione della Mostra del cinema di Venezia, non ha raccolto premi ma è stato comunque apprezzato sia da pubblico e dalla critica proprio per la sua solidità d'impianto e pur non riuscendo del tutto ad approfondire determinate tematiche, possiede delle indubbie qualità che riflettono la bravura del suo regista, descrivendo non il disagio di un individuo o gruppi di individui, ma quello di una nazione.
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 01/02/2025 19.14.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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